Passato e Presente - anno I - n. 3 - mag.-giu. 1958

Praxis ed empirismo se si evolvesse cesserebbe di essere un luogo di mera evidenza pragmatica e si tecnicizzerebbe o addirittura si scientifìcizzerebbe) possa realizzare « la mobilità e fluidità della vita e della storia » (p. 128), o addirittura rappresentare « l'elemento di apertura e di progresso» (p. 114), Preti non dice. Tuttavia, supposto che il senso comune possa avere, cosf inteso, una funzione attiva, quale è quella che Preti gli attribuisce? Preti ne limita le facoltà alla verifica pragmatica della classe delle conseguenze o conclusioni. Il ~enso comune non può pretendere di accedere alle complesse elaborazioni della scienza. Esse appartengono soltanto all'alta cultura e inoltre alle diverse specializzazioni dell'alta cultura. Quello che il senso comune può fare è verificare praticamente i « risultati >>che derivano dall'elaborazione scientifica. Può solo registrare, attraverso la facoltà dell'evidenza pragmatica, se le con- .seguenze sono positive o negative, pregevoli o dannose. La sua « attività » risulta dunque «passiva», e sulle sue spalle deve anche sopportare gli eventuali passivi di quella attività. Il suo giudizio nasce quando l'azione è compiuta e quando, spesso, il suo esito è irrimediabile. Il senso comune appare cosI come una sorta di rustica civetta di Minerva, giunge a cose fatte, quando già fa notte. E se per le scienze naturali il problema è meno grave (ma lo è molto ugualmente) perché la pregevolezza dei loro risultati è più facilmente verificabile (ma chi mi dice se non si poteva fare di meglio e di piu, se veramente si fossero utilizzate tutte le forze disponibili, p,ur in questa sezione di tempo, vper condurre a fondo la ricerca?), per le scienze sociali il problema è gravissimo per due ordini di ragioni: il primo, che la scienza stessa, anche supponendo in essa la massima democraticità, manca di parametri per autodeterminare la ricerca e i progetti conseguenti (poiché i dati, non rilevabili che arbitrariamente dall'esterno, sono di patrimonio del senso comune); il secondo, che il senso comune non è in grado, come mero senso comune, di giudicare di tali progetti o risultati, non possedendo un sistema di misura del socialmente possibile. · La definizione di democratizzazione del sapere sopra data ed ottenu~a con gli strumenti che abbiamo visti, patisce cosI una ben forte riduzione. Il « sapere tutto quello che gli altri sanno », il « sapere universale», la « cultura accessibile a tutti» vigono soltanto per quella sottile zona fra umano e biologico dove fra ombre e luci « ogni uomo, quando esce dal proprio specialistico mondo (posto che ne abbia uno) rientra nell'immediatezza pre-culturale del senso comune, e rimane disponibile per tutti i pregiudizi e tutti · i tabu del tipo di quelli che dominavano prima della rivoluzione scientifica >>(p. 11.6). Cosicché a Preti non resta che effettuare il salto e chiarire che « il punto di vista della "totalità" si affaccia solo con la filosofia>> (p .. 115) e « l'unità della scienza è possibile solo "in alto " » (p. 128). La filosofia è « arte regia» (p. 94). In questa zona rarefatta ed aristocratica il filosofo Biblioteca Gino Bianco

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