Storia di un cane sforma direttamente in bestia. L'animale è la « naturale )) allegoria dell'uomo. Poiché la crudele inintelligibilità del mondo è un dato fondamentale, irreducibile, e chi lo vive, e abbaia sempre piu flebilmente al brutto potere ascoso che lo cerca fin nel fondo delhr tana, vive l'essenza stessa del mondo. Ben altra è la posizione del razionalista e comunista Déry. Per lui l'impossibilità di comprendere il mondo non ha affatto carattere strutturale, ma è il risultato di una costrizione esteriore, di una degenerazione dei principi, di un abuso del potere, cioè di fatti a loro volta razionalmente afferrabili e individuabili. Cane e uomo restano quindi ben distinti, e invece dell'allegoria abbiamo il parallelo. « Naturale >> la « totale dipendenza dagli uomini )> lo è soltanto per Niki, e del resto anche qui non c'è nulla di assolutamente naturale nemmei:io per la condizione animale, poiché c'è qualche cosa che ·sostiene e corregge anch'essa. « Solo un reciproco affetto può render sopportabile una simile dipendenza, e nel caso di Niki questo affetto era saldissimo da ambo le parti. Quando invece... Ma lasciamo stare >> (pp. 125-26). Déry non lascia poi tanto stare, e descrive inesorabilmente il vuoto che si crea intorno alla signora Ancsa dopo l'arresto del marito, la sua spaventosa solitudine e -il progressivo abbandonarsi ad essa. Ma, una volta di piu, questa solitudine, per atroce che sia, non è una « condizione umana», bensi una condizione disumana. La mirabile figura del gigantesco minatore Jegyes-Molnar, l'amico di Ancsa che tien testa perfino all'A VH, è proprio nella sua ymassiccia presenza impassibile e taciturna, quasi vegetativa, una prova della naturalezza della solidarietà umana. « Si dice - scriveva sconsolatamente Karl Kraus - che il cane è fedele. Ma è fedele all'uomo, non al cane». La fedeltà canina, eppure profondamente umana, di Jegyes-Molnar, è fedeltà al proprio simile. E vi è quasi uno scambio di parti tra la sensibilità spesso capricciosa e sempre acuta e vibrante, nella gioia e nel dolore, di Niki, e l'apparente imperturbabilità e mancanza di sistema nervoso di Jegyes-Molnar (si ricordi la scena in cui l'uomo spaventa il cane col suo modo non umano di ruotare le orecchie, perché « era del parere che un cane dovesse abituarsi alla paura»). Tale ricambio uomo-animale nei due aspetti che la fedeltà assume non implica neanche qui una tendenza all'annullamento dei tratti specifici per farne un unico simbolo di tipo kafkiano, bensi una relativizzazione fondata sui limiti oggettivi della natura umana e canina, per cui il cane è come si suol dire « umano », e l'uomo, checché ne pensasse Karl Kraus, è. « fedele come un cane >>. Questo continuo confronto e questa continua relativizzazione dei due · modi di esistenza non sarebbero possibili senza un mediatore, un giudice che sta al di sopra di entrambe e che è lo scrittore stesso. Il suo intervento comincia già dalla prima fase ( « il cane - che lasceremo per il momento senza nome - ... ))), ciò. che ricorda l'inizio del prototipo di questo modo ~i scrivere, il Don C hisciotte ( « In un villaggio della Mancia del cui nome s·iblioteca Gino Bianco
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