Italo Calvino è l'anti-ideologicità del proletariato, l'ambivalenza delle sue prese di posizione, in cui i piu diversi residui di 1norale tradizionale e di pregiudizi si sommano alla spinta storica, mai da essi pienamente compresa. Questo tema fa delineare a P. alcune figurette assai belle (la vecchia madre di Tvierzin, quando protesta contro la carica di cavalleria zarista e insieme contro il figlio rivoluzionario, o la cuoca Ustin'ja che sostie.qe la verità del miracolo del sordomuto contro il commissario del governo Kerenski) e culmina nella piu cupa apparizione del libro: la fattucchiera partigiana. Ma siamo già in un altro clima; con l'ingrossarsi della valanga della guerra civile, questa rozza voce proletaria si fa sentire sempre piu alta e prende un nome univoco : barbarie. La barbarie insita nella nostra vita d'oggi è il grande tema della letteratura contemporanea, le .cui narrazioni grondano del sangue di tutte le carneficine che il nostro mezzo secolo ha conosciuto, il cui stile cerca l'immediatezza del graffito delle caverne, la cui morale vuole ritrovare l'umanità attraverso il cinismo o la spietatezza -o lo strazio. Ci viene naturale di situare P. in questa letteratura, a cui già appartenevano in verità gli scrittori sovietici della guerra civile, da Sciolokov al primo Fadeev. Ma mentre in gran parte della letteratura contemporanea la violenza è accettata, è un termine attraverso il quale si passa per superarlo poeticamente, per spiegarlo e purificarsene (Sciolokov tende a giustificarla e nobilitarla, Hemingway ad affrontarla come un virile banco di prova, Malraux a estetizzarla, Faulkner a consacrarla, Camus a svuotarla), P. esprime la stanchezza di fronte alla violenza. Possiamo salutarlo come il poeta della non-violenza, che il nostro secolo non aveva ancora conosciuto? No, non direi che P. faccia poesia del proprio rifiuto: egli registra la violenza con la stanca - amarezza di chi ha dovuto lungamente assistere ad essa, di chi non può rac.contare che atrocità su atrocità, registrando ogni volta il pròprio dissenso, la propria estraneità 1 • 1 Quest'angoscia della violenza della guerra civile ci richiama alla memoria Prima che il gallo canti di Cesare Pavese. Il secondo racconto (La casa in colljna), quando il libro usci, nel '48, ci parve avesse toni quasi di rinuncia, invece oggi rileggendolo pensiamo che H Pavese andò piu avanti di tutti, nella strada di una coscienza morale impegnata nella storia, e proprio in un terreno che è stato quasi sempre dominio degli altri, di concezioni del mondo mistiche e trascendenti. Anche in Pavese, la stessa sbigottita pietà del sangue versato, il sangue anche dei nemici, morti senza un perchè; ma come la pietà di Pasternàk è l'ultima incarnazione d'una tradizione russa di rapporto mistico col prossimo, la pietà di Pavese è l'ultima incarnazione d'una tradizione d'umanesimo stoico, che ha informato di sé tanta parte della civiltà d'Occidente. Anche in Pavese: natura e storia, ma contrapposte: la natura è la campagna delle prime scoperte dell'infanzia, il momento perfetto, fuori dalla storia, il mito; la storia è la guerra, che « non finirà mai))' che « dovrebbe addentarci anche più a sangue)). Come Zivago, il Corrado di Pavese è un intellettuale che non vuole sfuggire alle responsabilità della storia: vive in collina perchè è la sua collina di sempre, e ~rede che la Biblioteca Gino Bianco
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