Italo Calvino continua la polemica di Tolstoj (« Tolstoj non ha spinto il su~ pensiero fino in fondo ... », p. 591): non sono i grandi uomini a fare la storia ma neanche i piccoli; essa si muove come il regno vegetale, come il bosco che si trasforma in primavera 1 • Da ciò derivano due aspetti fondamentali della concezione di P. : il primo è il senso della sacralità della storia, vista come un farsi solenne, trascendente all'uomo, esaltante anche nella sua tragicità; il secondo è un'implicita sfiducia nel fare degli uomini, nell'autocostruzione del loro destino, nella modificazione cosciente della natura e della società; l'esperienza di Zivago approda alla contemplazione, all'esclusivo perseguimento d'una perfezione interiore. Per noi che - nipoti diretti o indiretti di Hegel - intendiamo la storia e il rapporto dell'uomo col mondo in maniera diversa se non opposta, il consenso alle pagine «ideologiche>> di P. è difficile. Ma le pagine ~arrative ispirate dalla sua visione commossa della storia-natura (soprattutto nella prima metà del libro) comunicano quella tensione verso il futuro che riconosciamo pure come nostra. Il momento mitico di P. è quello della rivoluzione del 1905. Già i poemi da lui 'scritti nella sua stagione « impegnata >>degli anni 1925-27 cantavano quell'epoca 2 , e Il dottor Zivago prende le mosse di là. È il momento in cui il popolo russo e l'intellighenzia hanno in sé le potenzialità e le speranze piu diverse; politica e morale e poesia marciano senz'ordine ma allo stesso passo. « I ragazzi sparano », pensò Lara.· E non si riferiva solo a Nika e a Patulja, ma a tut~a.la città che sparava. « Bravi ragazzi, onesti, - pensò. - Sono bravi, per questo sparano >> (p. 69). La rivoluzione del 1905 racchiude per P. tutti i miti della giovinezza e tutti i punti di partenza d_'una cultura; è una vetta da cui egli fa correre lo sguardo sull'accidentato paesaggio qel nostro mezzo secolo e lo vede in prospettiva, nitido e dettagliato nelle pendici piu vicine, e, man mano che ci s'allontana verso l'orizzonte dell'oggi, piu rimpicciolito e sfumato nella nebbia, con solo qualch~ segno che affiora. La rivoluzione è il momento del vero mito poetico di P.: natura e storia che diventano tutt'uno. In questo senso il cuore del romanzo, dove 1 C'è in P. un doppio uso della parola storia, mi sembra: questo della storia assimilata alla natura e quello qella storia come regno dell'individuo, fondata da Cristo. Il « cristianesimo >> di P. - soprattutto espresso negli aforismi dello zio Nikolàj Nikolàevic e del suo discepolo Gordon -- non ha nulla a che fare colla terribile religiosità di Dostojevskij, ma si situa piuttosto nel clima di lettura simbolico-estetizzante e d'interpretazione vitalistica dei Vangeli che fu pure di Gide (colla differenza che qui s'appoggia su di una piu profonda pietà umana). 2 I_ poemi L'anno novecentocinque e Il luogotenente Schmidt sono stati trado!tl da_ Angelo Maria Ripellino nel volume: Boris Pasternàk, Poesie, Einaudi, Torino 1957. Biblioteca Gino Bianco
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