Passato e Presente - anno I - n. 3 - mag.-giu. 1958

Pasternàk e la rivoluzione libro, ma la vastità del mondo che vi si n1uove è tale da poter reggere questo e altro. E l'assunto principale del pensiero di P. - che natura e storia non appartengano a due ordini diversi ma formino un continuo in cui le esistenze umane si trovano immerse e dal quale sono determinate - è dichiarabile meglio attraverso la narrazione che 1nediante proposizioni teoriche. Le riflessioni diventano cosf una cosa sola col respiro di tanta umanità e tanta natura, e non sovrastano, non prevaricano; cosicché - come sempre nei narratori veri - il significato del libro è da ricercarsi non nella somma delle idee enunciate ma nella somma delle immagini e delle sensazioni, nel sapore di vita, nei silenzi. E tutte le proliferazioni ideologiche del romanzo, queste discussioni che continuamente s'accendono e si spengono, di natura e di storia, d'individuo e di politica, di religione e di poesia, come riprendendo vecchie discussioni con amici scomparsi, e che creano come un'alta can1era di risonanza alla rigorosa modestia delle vicende dei personaggi, nascono (per adottare una bella immagine che P. usa per la rivoluzione) « come un sospiro troppo a lungo trattenuto)). P. ha soffiato in tutto il suo romanzo il desiderio d'un romanzo che non esiste piu. Eppure potremmo dire paradossalmente che nessun libro è piu sovietico del Dottor Zivago. Dove mai poteva esser scritto, se non in un paese in cui le ragazze portano ancora le trecce? Quei ragazzi del principio del secolo, J ura, Gordon e Tonja, che fondano un triumvirato « basato sull'apologia della purezza )), non hanno forse lo stesso viso fresco e remoto dei Komsomolni j vtante volte incontrati nei nostri viaggi di delegazione? Ci chiedevamo allora, vedendo l'enorme riserva d'energie del popolo sovietico sottratta al vertiginoso affanno (girare a vuoto di mode ma anche smania di scoperta, di prova, di verità) che ha conosciuto negli ultimi quarant'anni la coscienza nell'occidente (nella cultura, nelle arti, nella morale, nel costume), ci chiedevamo quali frutti avrebbe dato quell'assidua ed esclusiva meditazione dei propri classici, nel confronto con una lezione dei fatti quanto mai aspra e solenne e storicamente nuova. Questo libro di P. è una prima risposta. Non la risposta d'un giovane, che piu aspettavamo, ma quella d'un vecchio letterato, piu significativa ancora, forse, perché ci mostra la direzione inaspettata d'un itinerario interiore maturato nel lungo silenzio. L'ultimo superstite dell'avanguardia poetica occidentalizzante degli anni '20 non ha fatto esplodere al « disgelo )) una girandola di pirotecnie formali lungamente tenute in serbo; anche lui, da tempo interrotto il dialogo con l'avanguardia internazionale che era lo spazio naturale della sua poesia, ha passato gli anni rimeditando i classici del natio Ottocento, e anche lui ha puntato lo sguardo sull'ineguagliabile Tolstoj. Però ha letto Tolstoj in tutt'altro modo dall'estetica ufficiale che troppo facilmente lo vadditava come modello canonico. E in altro modo da quello ufficiale ha letto l'esperienza dei suoi anni. Ne è uscito un libro non solo agli antipodi dell'ottocentismo di vernice del « realismo socialista)), ma purtroppo anche il piu aspramente Biblioteca Gino Bianco

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