Passato e Presente - anno I - n. 1 - gen.-feb. 1958

Galilei e la determinazione pragmatica del metodo 41 deva il compenso di una manifestazione « estensiva >> della quantità di lavoro ·ad esso dedicata, e perciò implicava la sua diffusione, il suo realizzarsi nell'opera di una intera società attiva. L'estensione che il -pensiero di Aristotele aveva avuto come metafisica poteva essere ormai rovesciata solo dalla collaborazione di innumerevoli scienziati e tecnici impegnati in un comune lavoro 1 • Quel che ci premeva concludere era dunque soltanto questo: come, con il Seicento, dentro l'urgere delle potenzialità della prima rivoluzione industriale moderna, si ponga per la prima volta lo schema, a11cora abbozzato, del metodo sperimentale; e in che modo esso porti con sé -eome condizione della sua autofondazione non metafisica il problema 1 Cosf descrive il Banfi i precursori del metodo (quelli che Galilei chiama « i miei matematici )) : « Un altro motivo sprona i nuovi matematici su questa via: l'origine e la finalità tecnica del loro sapere. Nessuno di costoro è un'autorità accademica. Essi _provengono tutti, come proviene Tartaglia, piu nettamente auto-- didatta, dalla classe dei nuovi tecnici a cui la vita rinascimentale e la politica dei principati offre largo campo di azione>> (L'uomo copernicano, Milano 1950, p. 26). E gli uomini del metodo: « Galileo è l'uomo di questa cultura viva ... cultura dei nuovi ceti di artisti raffinati, di tecnici industriosi, di curiosi dilettanti, di mercanti e d'uomini d'armi e di stato, cultura il cui sapere ... riposa essenzialmente sull'esperienza concreta, sulla dottrina tecnicamente provata, anzi espressa dalla tecnica stessa e si diffonde piu che nelle aule universitarie, nelle botteghe d'arte, nelle piazze, nei ritrovi privati, nelle nuove accademie>> (op. cit., p. 27). Infine gli allievi del metodo: « I discepoli non sono i futuri dotti o eruditi accademici, ma uomini di mondo, gentiluomini e borghesi, gente d'armi e di commercio, ansiosi di apprendere dall'insegnamento privato, ~oncreto di esperienze e di pratica, quel sapere tecnico-scientifico che la nuova civiltà richiedeva in tutti i suoi campi>> (op. cit., p. 30). Cfr. anche BANFI, Galileo Galilei, Milano 1949, pp. 9-56 e in particolare pp. 42-43. Per una ampia collocazione del galileismo all'interno della rivoluzione scientifica (e industriale) del Seicento cfr. l'intero volume di JoHN V. NEF, La nais- -sance de la civilisation industrielle~ Paris 1954. In particolare (interessante anche per la datazione): « La rivoluzione scientifica non era né la causa né la conseguenza della prima rivoluzione industriale. Senza lo scopo nuovo della ricerca della quantità nella produzione industriale, il mondo non avrebbe conosciuto a tal punto il desiderio di moltiplicare la produzione e la circolazione dei beni pressoché « ad infinitum >>.Senza i cambiamenti fondamentali nei metodi d~ pens~ero, il mo~do . non avrebbe ottenuto . i mezzi necessari per la realizzazione d1 questo des1der10 >>. « Queste due tendenze nuovi desideri e nuovi mezzi s~ sono affermate durante il secolo che ha seguito 1~ Riforma, fra il 1540 e il 165~ circa, e soprattutto dopo il 1570. Noi crediamo, di conseguenza, che questo secolo fu l'epoca della n~scita della ~iv~lizzazione industriale >>(pp. 77-78). Dello stess<?au~ore, T he Geneszs of Industrzalzsm and of Modern Science, Chicago 1952. Per il_ ch~a cultura!e del tempo cfr. CAssrRER, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinasci.mento, Firenze 1950, e EuGENro GARIN, L'educazione in Europa (14001600), Bari 1957. Bi-bliotecaGino Bianco

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