Passato e Presente - anno I - n. 1 - gen.-feb. 1958

Una riduzione «popolare» di un Gramsci ufficiale III tempo accademica e partitica - per un pubblico anch'esso generico; o piuttosto perché diventi uno strumento vitale di polemica e di ricerca, un test di confronto e di conoscenza? Bisogna decidersi. Quando si dice che Gramsci ci ha dato « l'esempio di rigorosa applicazione e di creativo sviluppo del metodo marxista» (p. x1) che cosa si vuol dire? Non esiste una applicazione ma uno sviluppo del metodo, e una discussione su esso e sui suoi stessi principi; non esiste cioè il metodo, ma una metodologia in atto della ricerca; e su questo si deve discutere. Un altro criterio dei compilatori è quello di presentare un Gramsci dal « piu facile» (e accessibile all'esperienza del militante marxista) al « piu difficile », per « facilitare la lettura » (p. 1x) e l'interpretazione dei testi. Ma tale procedura deriva dalla tesi, che dovremo vedere a parte, del « partito-orius », e non è giustificabile in una reale interpretazione. Perché non chiarire, in uno strumento adeguato e opportuno, lo sviluppo del pensiero gramsciano, in luogo della immobile distinzione in temi e problemi (esigenza del resto sentita anche rispetto alla corrente edizione einaudiana, non « popolare » ma acritica, non ordinata cronologicamente e criticamente e anch'essa incompleta e persino censurata?) Il carattere p'edagogico è inoltre dichiarato nella affermazione secondo la quale sarebbe necessario da parte nostra, e dei lettori, un atteggiamento di <~apprendimento». Ma non si tratta di una lezione, e non ci piace il tono della proposta esemplare, del « folgorante messaggio umanistico» (p. x1), con il cattivo gusto mistico dell'aggettìvazione: insomma non ci interessa la imitatio Gramscii. Gramsci è un pensatore che meno di ogni altro nella tradizione marxista si presta alla mitizzazione, a un qualche culto e rito politico, filosofico o scolastico. Perché affermare questo atteggiamento di « apprendimento » piuttosto che cercare e praticare quello della libertà di interpretazione, e cioè di quella autentica educazione che è la ricerca? E perché confermare, con fastidioso diplomatismo, la validità e « la ricchezza umana e la alta concezione del1 'uomo e della moralità » in Gramsci (p. 1x), con la lunga citazione di opinioni e testimonianze di avversari, di « scrittori e giornalisti non com-unisti >> (magari insieme a nobili ma non necessari documenti « memorialistici » di compagni di partito)? Come se Gramsci fosse di una «parte», di una « amministrazione » ideologica ed etica. Ma Gramsci è intimamente anticlericale e .antiecclesiastico, e non ha bisogno di. riconoscimenti di moralità né da parte di amici né da parte di avversari, né dalla propria né dall'altera pars. Vive nella sua opera e nel suo pensiero, e deve essere oggetto di interpretazione, di consenso o dissenso, al di fuori di testimonianze di autorità e autorità di testimonianze. · A questo atteggiamento « devoto » potremmo aggiungere quello della umiltà, o diciamo meglio umiliazione, per cui si dice che « l'appassionata Biblioteca Gino Bianco

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