Omnibus - anno II - n.24 - 11 giugno 1938

Firenze, giugno. QUANDO' il cinematografo, molti anJlf ni fa, accendeva il nostro entusiasmo e ingrassava le nostre speran- ,:e, ave\ amo trovato I in un « competente • del tempo un consigliere sicuro: quando costui lodava un film e c'incoraggiava a vederlo, sapevamo ch'era sciocco e ci dispensavamo di andarci ; quando il nostro consigliere invece ci segnalava un film come cosa da non dovercisi accostare, noi ci trasformavamo in ubrc per correre al cinematografo, e non era voha che non ci si rivelasse un nuovo capolavoro. Infallibile nella scelta dei film, il sistema del giudiz.io capovolto si è dimostrato altret• tanto infallibile nei riguardi del teatro di prosa. La rappresentazione di Come vi iarba, descritta da alcuni nostri amici ehe avevano assistito alla prima come scadentissima e noiosa, è apparsa a noi, nella realtà della seconda rappresentazione, come lo spc11acolo più bello, più intelligente, più completo, più affascinante di quanti abbiamo. veduto_ da. quan~o frequ~nt,i~- mo i teatri coperti e I teatri scoperti. Le qualità di Shakespeare sono varie, e fra esse ognuno sceglie quella che più gli garba. La sua qualità fondamentale è di essere il segno di una civiltà. E e civiltà> qui sta per condit.ione picnamente felice, che nclla vita dei popoli è l'equivalente di db che t1ella vita dell'uomo è lo stato di grazia. Dovendo fornire prove alla tesi secondo la quale Shakesp<"arc non è Shakcspcarc ma lord Stanlt"y, la determinazione di questa e qualità fondamentale > ci sembra la più suadente di tutte. Più manifesta questa qualità fondamentale in Come vi gorba che nelle altre opere. Siamo al di là del dramma. Di qualunque dramma. Abbiamo penato e ora e.i riposiamo. Sia,no in una vita risanata e pacificata. Ogni movimento, ogni rumore, ogni ifarro di dramma sono nascosti ormai sotto una pelle impermeabile, e da questa parte nulla trapela, nulla si avverte, come nelle case ben tenute gli odori della cucina non arrivano in salotto. Questa situuione altamente civile consente un conversare spassionato. L'insopportabile connessione di causa cd effetto non opera più. Il e doloroso > motore della vita è e in folle •· Infatti, Come vi garba è una conversazione sceneggiala. Non siamo in ansia per nessuno. Non aspettiamo solu2ioni. Non parteggiamo per ncs.suno. Orlando e Ro~linda, Federico e iJ duca, non usurpano i nostri organi usenziali. Ci chiedono appena quella comprensione mhurata, che usa tra persone per bene. Coloro che amano farsi attan3«liarc le viscere dal dramma non troveranno in Come vi garba tenaglie alla misura dei loro intestini. Questi spettacoli sono riservati agli uomini molto savi, molto intelligenti, mo~to tranquilli. Che è e civiltà matura >, se non quel breve momento in cui ci è consentito il godimento del superfluo? Cosl si giustifica •_. superflWtà dello stile di Shakespeare. Uno dei personaggi di Come vi garba dice che la poesia è ipocrisia. Sante parole. Ecco la chiave ritrovata. L'ultima epoca shakespeariana è stato il Liberly. In nessun'altra opera di Shakespeare scorrono tanti fiumi di parole inutili: la nostra simpatia e il nostro incanto. Quei personaggi assurdi e d~ cui. nc.ssuna legge e 53namentc > drammatica giustifica la pre- • senza sono in verità prestigiatori che si fann~ uscire bobine intere di vocaboli dalla bocca, chilome1ri di aggettivi, matasse di superlativi. Uro dei più sciocchi luo~hi comuni, a proposito del teatro, dice clic il teatro non è letteratura. Nemmeno a farlo apposta, i soli lavori che ci hanno divertiti in questi ultimi tempi SOno l'Adelchi di Man2oni, i Dialoghi di Platone, e Come vi ~a,ba di Shakespeare. Tre opere nelle quali non l'az.ione • fa > spettacolo, ma la parola. Nel treno che ci portava a Fircn,:c ab• biamo incontrata ur,a nostra conoscente che ci domandò se andavamo a stroncare Copeau, e senza aspettare la nostra rispos!a aggiun5t: e Del resto Copeau è stato già stroncato >. Di quella signora avevamo un'opinione fh·orevole, ma ora ci siamo ricreduti. L'antipatia che c'ispirano gli esteti coinvolge lo stesso Jacqucs Copcau, in quanto rappresentante fra i più autorevoli dell'cstc• tismo teatrale. Anche la rcgìa di Copcau appartiene atle cose « superate >. Se le parole non sono opinioni, ~superata> è la cosa che è stata oltrcpa»ata da un'altra cosa né ci ritulta che Copeau, per quanto fradicio di estetismo, sia stato superato fi.. nora da altro regista meno fradicio di estetismo di lui. E pcrò il Come ui garbo, quale è stato allestito da Copeau nel giardino di Boboli, è, ogC ancora, quanto di meglio si può fare in fatto di allcs1imcnto scenico. Diremo anz..i che in Come u, garba Copcau si è mostrato mtno melenso, meno sciatto, meno falso e, per tutto dire, men~ eslcta di molti suoi colleghi, e anche d1 se s1esso. Meno esteta soprattutto che nf"!la Santa Uliva. e in altri e misteri> del genere. Bisogna riconoscergli oltre a ciò il merito di alcune felici trovate, dell'unità dello spettacolo, del e legato>, dcll'assenia di buchi, del ritmo costante, del « passo di ballata>. Trovata le minacce di Federico a Celia lanciate dal buio, trovata l'aspetto di picnic dato al banchetto del duca, trovata il carattcrc festaiolo della lot1a fra Orlando e Carlo. FIRENZE • DIETRO LE "QUINTE" DI "OOKE VI GARBA" (Fot. Om11ib111) Se le qualità del regista sono manifeste soprattutto nelle trasformaiioni che egli opera sugli attori, le qualità di Copcau rag. giungono dimensioni molto rispettabili. San. dro Rufini, che tante volte abbiamo veduto e sempre con pochissimo diletto, nella parie di Giacomo ci è piaciuto e ci ha divertiti. I moti repcn1ini del suo animo, le sue crisi di malinconia, i suoi slanci inconsiderati, erano ammantati nella solennità romantica di un giovane Goethe alla scoperta della campagna romana. Malgrado alcune intonaz.ioni di bimbo imbronciato perché il fratello maggiore gli ha rubato la pastorella, Nerio lkrnardi si è rivelato un attore «aitante>. Nella parte di Touchstonc, Umberto Meina.ti è stato perfetto: è la prima volta che le insopportabili lcpidez,:c dei personaggi buffi di Shakespeare, un attore riesce a rendercele, nonché sopportabili, gradite. e Buona sorellina • Nc.!)a Bonora, quanto si conviene alla parte di Celia: la sua voce, a fondo dolce, ha quel tanto di acidulo in superficie che hanno le caramelle al limone. Quanto a Rossana Masi nel personaggio di Rosalinda, è stata una rivelazione. Sapevamo noi di avere in Italia un Katharinc Hepburn, e con le spalle dritte per di più, e senza smancerie, sen:r.a isterismi, scnu dolorismi alla Dusc? Che fierezza, che cavalleria in questa « grande fanciulb. > ! Che lampi in qucllo sguardo! Che lcallà in quei gesti! La bravura di questa attrice, i suoi accenti cordiali e suadcntissimi, 10no andati crescendo di scena in scena, finché alla fine, quando essa, dimcs$0 l'abito maschile, si è ripresentata donna nel corteo di Imene, una luce ,i è accesa in noi, che, cancellando \'Cnti secoli di colpo, ci ha riparlati al 1cmpo i1, cui le dcc scendevano talvolta fra i mortali. Che più? La stessa musica di Pizzetti, cosi triste di solito e salmodiante, si era ringalluz,:ita fino a dimenticare Jc convenienze, e ad attaccare la sampognata dcl pastore nel ten:o atto del TritttJno. Intelligentemente colorati i cos1umi, simpa1ico l'ombrellone da spiaggia aperto sulla tenda del duca: Lucicn Coutaud dimostra di sapere che serietà e stupidità molte volte sono sinonimi. Indovinata la rete di fili d'oro sul viso delle danzatrici e d~na di passare dal teatro nella vita. Nella rotonda, che ospi1ava le pause degli attori e l'orchestra diretta da Mario Roui, era. stata riprodotta, per un fine che ci sfugge, la sorgente del Tettuccio di Montecatini. Un testo le11crario si giudica meglio con l'ocJ°io che con l'orecchio; tuttavia la traduzione di Paola Ojetti ci t sembrata fedele, intonata, e con quel tanto di e berninfano • che deve avere una versione ita~ liana di Shakespeare. ALBERTO SAVINIO aJ.à~OO~ VA.LA.DIEH 1J N'ILLUSIONE di eleganza costoU sa e mondana circonda sempre la Casina Valadier, insieme ai tanti ricordi di feste organizzate dal maestro Pichetti nel 1925, di tanti fiumi di champagne rispettabile e di tante follie contenute in giusti limiti. Anche l'architettura esterna, che ricorda il palazzetto, il padiglioncino di caccia cd il nido fra i boschi, ci riempie di trepida ammirazione, e non parleremo poi dell'interno, dove le colonnine, gli abat-jour e l'orchestrina formano uno scenario veramente intimo ed insieme assai lussuoso. Certo ci piacerebbe molto andarci la sera, a cena, ma non ci siamo riusciti mai, e conosciamo solo una Casina Valadicr del pomeriggio, di domenica. Arrivandoci verso le cinque, si è quasi sicuri di trovarci le mamme, che si portano i figli per premiare con una « cassata > l'ammissione senza esami. Queste mamme generalmente si sono sposate giovani ed hanno avuto presto figli; così per tutta la vita pensano di avere sprecato la giovinezza., e di essere ancora adolescenti; si vestono in modi vaporosi, con pettinature fanciullesche; considerano i figli, fino a quando hanno compiuto i dicci anni, come dei veri bébés~ dai dicci anni in su come i cavalier-servcnti-di-mammà, e raccontano poi volentieri che il loro bahy diciottenne, quando le accompagna, viene creduto da tutti un corteggiatore o un 6dan1.ato. Al tavolo vicino al nostro c'erano, domenica scorsa, appunto due di queste «mammine>, con quattro bambini intorno : di condizione modesta, evidentemente, e inebriati tutti dalla festa insolita, ma ben decisi a non mostrare la loro gioia, nascondendola anzi sotto un certo disprezzo per il cameriere, le « c~ate > e gli astanti. Il più piccolino, che ogni tanto lanciava strilli di gioia, veniva severamente rimproverato. Le due 'iignore si erano, certo di comune accordo, l fatte gli occhi :., seguendo qualche insegnamento di giornale illustrato; così avevano le palJ)<'brc colorate di verde una1 e di celeste l'altr.1, colpi di lapis nero agli angoli esterni, e di matita rossa agli angoli interni. Si sentivano molto belle, parlavano a fior di labbro, fumacchiando, e, dandosi ogni tanto di gomito1 ::iccennavano a qualche passante che dal basso levava gli occhi verso di loro, poi scoppiavano in piccole risate nervose, che i bambini interrompevano chiedendo clamorosamente una pa• sta o un bicchiere d'acqua. 11 maggiore dei ragar.Li presto co• minciò ad agitars~: voleva una siga• retta e la mammina gli passò la sua, col bocchino d'oro sporco di rosso, perché « tirasse solo un:i boccatina >. Poi decisero di andarsene; naturalmente le due madri pensavano che il bello sarebbe cominciato proprio allora, e che i mariti sono un castigo di Dio: le signore si alzarono sontuose e sparirono in dirczionC;.di Piazza del Popolo e degli autobus affollati. Intanto calava il sole, calavano -gli ombrelloni, ed arrivavano gli impiegati del ministero, con signore, per prendere l'aperitivo. Arrivavano generalmente a quattro a quattro, sempre due coppie insieme, e si capiva bcni-ssimo quali erano i due che invitavano e i due invitati, dalle smorfiette che si facevano le due dame, bevendo il « Carpano > col dito mignolo in aria : l'invitata lo trovava delizioso, l'invitante lo definiva una porcheria. Sulla terrazza c'erano quasi unicamente dei « ministeriali :t i le signore si lanciavano sorrisi birichini e teneri, e, conservandoli fermi sulle labbra. dicevano duramente ai mariti di salutare il commendatore Lazzi, o di osservare che la signora Antonini si « era fatta :t le volpi, « mentre ~appiamo benissimo :., aggiungevano, « che lui guadagna meno di te>. L'orchestrina suonava con entusiasmo pezzi vecchissimi, evidentemente dimenticati lì dal maestro Pichetti, e davvero pareva che molte cose avessero preso l'aspetto, polveroso e malinconico, di fantasmi, ma le signore « ministeriali > non vedevano le ombre delle belle, che con sottane e capelli cortissimi, con charlestons e gran bevute, avevano creato la leggenda della Casina Valadier: e tranquillamente, chiacchierando di serve, aumenti di stipendio, affitti e scuole, regnavano. IRENE BRII'/ Firenze, giugno. 'jj) E:R L'ANNUNZIATA recita della g- Valchiria nel giardino di Boboli la curiosità della popolazione di Firen7 .c fu grande, anzi grandissima. Eccitata dall'impazienz..1., tutta la città s'incamminò dopo il tramonto verso il Palazzo Pitti ed entrava man mano nel parco in fondo al quale era stato costruito in men che r..on si dice uno scenario panoramico da teatro wagneriano, servibile per tutti e tre gli atti dell'opera. La folla continuava da due ore ad affluire, silenziosa, misteriosa, fra due ali lucenti di guardie comunali con o senza bicicletta: era come l'avanza~ ta notturna di un esercito che vuol fa. re una ~rpresa al nemico. li recinto eletto se ne rimpinz.1.va) e la platea di scranne ne scoppiava addirittura. Diecimila occhi spalancati aspettavano che incominci:tssc la recita. Lo spettacolo preparato nella più fitta tenebra era là pronto e invisibile al di là. d'una specie di cortina di amianto, dietro un sipario di luce. Qualche riflettore a imbuto sventagliava lo spazio così ampio che il ciclo pareva colarvi polverosamcnte dentro con tutte le sue stelle, comprese anche quelle della Via Lattea. Dinanzi ai nostri occhi (eravamo ;i~~i aic°cc~~i~~:~i r)ras!t 1 ~f:~~i:: s~~t lare da ogni lato il programma, il libretto dell'opera, aranci ... gelati ... e altre voci gemebonde, in quel luogo di di-.tru.z.ione. Dove tutti questi fantasmi della buona educazione seduti nel buio pesto, sussurravano· appena, o non fiatavano più per lo sbalordimento. Si vedeva qua e là nel buio acre qualche faccia di cera e di belletto, e una ilarità macabra balenar muta negli occhi di qualchc"spettatore. La recita non era ancora. comincia- •ta, ma int.mto che cosa si poteva desiderare di più nuovo e stravagante di questa valle di Giosafatte in attesa del verbo divino? Il breve orizzonte locale continuava a fumigare finché tutta una fiPa.di riflettori si spense, e un'altra ancora se ne spense. Dolci, umili lampioncini andavano spegnendosi qua e là, sen1.a far botti, malinconicamente. La terra madre era come tramontata, non si vedeva che il ciclo: un cerchio limitato cinereo, un cielo da apocalisse. nel quale i bassi pipistrelli dell'Arno svolazzavano spintati, paurosi, a zig zag, biancheggiando come una manciata di biglietti da visita lanciati su dall'Erebo. Bisogna sapere che le prove, sul posto, fino a quella generale, erano state condotte fra vento, pioggia e maltempo, e si temeva molto che la sera fissata per la rappresentazione scoppiasse un temporale a infradiciar ogni cosa e a mettere in fuga il pubblico, a far restituire i quattrini, e a far ripartire in treno le Valchirie, \Votan, Siglinda, e gli altri eroi, dèi e semidei tedeschi venuti apposta da Monaco. Ma l'estate, precisamente l'estate, giunta come a un appuntamento, scoppiò tacita e alta proprio in quel momento. Scendeva lenta dal ciclo, s'avvicinava nell'ombra, a traverso i grandi alberi del Giardino Reale di Boboli, scivolava continua e lieve sul prati contornando le bianche statue di marmo che sui loro piedcstalli vigilavano immobili i lati della scena, della scena per ora invisibile. Una luna pallida, quasi svenuta nel calore della sera, cedeva, rilassata, facendo di sé bersaglio a una turba di moscerini e di farfalloni notturni, pendula lampada senza olio, in quel ciclo rotondo e artistico, che non appartiene, che non conviene affatto agli dèi, alle Valchirie e ai cavalli alati del Walhalla. Illuminato òbliquamente, un esotico abete gigante, che incombeva sulla ri~ balta, sembrava coperto di neve calda, di neve alla vaniglia. E la luna mac-i.1 lenta e avida guardava quell'albero, con la sete di quel sorbetto. D'un tratto il muro di luce artificiale che nasconde il teatro cade, si spegne fra noi e l'orchestra, cd ecco, a me,-..zo busto fuori di una siepe di bosso, apparire il maestro dir_eltore ,11ignorKarl ElmcndorfT, con gli occhiali a stanghetta, e in alto la bacchetta, che trema di cominciare. I.'orchcstra a precipizio è già entra• ta in azione; crepita fra gli istrun1cnti la tempesta iniziale della Valchiria, e anche quel che sarebbe lo scenario dell'èra della pietra col suo focolare, e la capanna di Hunding sorge a poco a poco dal fondo classico di questo giardino aulente, a cui Shakespeare, Michelangelo e Petrarca sembrano aver dato il fiato così leggero. Un odore di magnesio e una nube di nebbia acre si sparpaglia sul pubblico, invade la valle e si pone fra l'orchestra e i cantanti che sembrano ormai cantare da lontano miraggio, in una atmosfera di presepio. La neve illusoria, sparita dai rami dell'albero i e dietro quello la luna di ncciaio viv~ e tagliente splende come una mannaia. Tutta la platea è sommersa dall'oscurità. Quel che l'orchestra suona in que- ~to momento è bellissimo, nel silenzio perfetto del giardino, e del pubblico che sembra annullato, abolito, sottratto, e pietrificato e assimilato alla natura. In quanto ai due artisti che canticchiano laggiù, a mezzo la collina, essi non sono che una visione incerta e fantomatica di questa sera: un incubo. Sulla bocca degli antri primordiali s'affacciano i trogloditi grifagni, irascibili e cornuti sotto i quali i tromboni ringhiano, e i comi fan sentire la loro rauca minaccia. Le voci, e i gesti, e i passi di costoro, li percepiamo piuttosto attraverso la memoria che abbiamo dell'opera, che non nella debole realtà di quella lanterna magica. Ecco scendere dall'alto delle rupi Hunding, l'uomo delle caverne. La sua grossa favella di ammazzatore si perde quasi tutta, e rimane impigliata nella sua barba folta e fuligginosa. Per una buona mezz'ora il pubblico non dà segno alcuno di esistere. L'attenzione è così profonda, che •ai finisce man mano per distinguere ogni parola del dramma, cosi che non ci rimarrebbe più che di conoscere la lingua tedesca per sapere, sillaba per sil• laba, quel che accade, quel che dicono laggiù quei personaggi coperti di pelli d'orso, di intenzioni cattive e di odore selvatico. Quasi un'ora è trascorsa ormai dal principiare dell'opera; la respirazione dei nostri vicini diventa di più in più pesante, e il loro raccoglimento sembra mollare. Ma qui vien la scena d'amore, e il pubblico non « abbandona >, come si dice sul ring. Fatto si è, che in r.1pporto alla di .. stanza., se l'orchestra è una stazione an cora accessibile a noi, la scena tuttavia ne è un'altra, tròppo remota. Adesso le statue del Giardino di Boboli sembrano più numerose e vicine, muti testimoni di questa notte rotta da uno spettacolg._ così bizzarro. Un imperatore roman"!J',e la Venere dei .Mediçi, completamente nuda, che si protegge come può con le mani, curiosa di vedere, e un amorino, con l'arco e la f.rcccia, che rimane interdetto. Statue qua e là si affacciano dalle alture, dai picdcstalli, dai viali, su questa zona musicale, artificiosamente in• scenata, e sembrano domandarsi con qualche alterigia: « \Vagncr? Riccardo Wagner. Ma chi è questo Wagncr? :,,. La barbara mitologia arde cupamente nell1 isolamento notturno. La Valchiria all'aperto, è stata l'hara kiri di \Vagner. 1 utto il suo s.1nguc sonoro è andato perduto fra l'erba del magnifico giardino. La sua forza di gigante si sfasciava sotto la luna, e la sua minacciosa energia cedeva in preda ai morsi delle zanzare. Insomma, possiamo dire d'aver passato una notte quasi intCra in questo parco proibito, solenne e antichissimo wnza udire la voce del cùculo, il pispigliare deçli uccelli, il canto dell'usignuoloJ ne quello più acuto del grillo, né lo stormire di ali, o di foglie. Torno tornoJ tutto sembrava fuso nel bron1 • zo il giardino, muto e monumentale ; anche il pubblico, ripeto, sembrava pietrificato. La rappresentazione, durata quattro ore e mezzo, fu forse un po' noiosa, ma d'una noia incantevole. Seduti senza peso, lo :pirito all'erta, trasparenti di commozione, tutto il pubblico: cinquemila anime fosforiche intercomunicanti. E la luna nel suo cammino era passata, quasi vola!.a, dall'altra parte, pronta a nascondersi poiché il sole non avrebbe tardato a sorgere. La Valchiria all'aperto fu il Sogno d'una notte di me,t,ta estate. BRUNO BARILLI LEO LONGANESJ. Direttore rtaponsablle RIZZOI.I & (. .'11, pn l'Arte d,lla Su1mpa . M1h1n,1 Rll>ROl)UZIUNI ESIH,UITE CON MATF.RIAU.. ►·oTO(,RAFICO • 1-ERRANIA •.

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