Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980

56 C. Biuasi Va/ussi, N. Filippini, C. Giglio/i Sabei/i della sfera familiare, di una amicizia libera da controlli, di uno scambio di cono- scenze altrimenti avvolte nel mistero e di un più libero incontro con i ragazzi e i ''morosi''. "Eravamo contente perchè si andava via cantando e si veniva a casa cantando. (... )c'era la compagnia. Facevamo tanti canti, tanti canti. .. e si andava d'accor- do, non si litigava mai". (36) "Quando eravamo in cima al monte cantavamo, eravamo in 22 (... ) Quando facevamo i turni di notte - e anche la notte sempre a quel prezzo - venivamo fuori alle 11. Quando eravamo sul monte suonava il 'rengo · di Verona, era mezzanot- te; bisognava che parlassimo piano perchè saltavano fuori i cani, quando a mez- zanotte suonava il 'rengo' allora guardavamo le luci perchè non c'erano le luci da nessuna parte, a Verona sì( ... ) andavamo in fila una davanti all'altra( ... ). Una sera avevamo la quindicina, che avevamo tirato i soldi, e c'è uno che viene ... a quell'ora a mezzanotte! 'che non ci prenda tutte le buste che abbiamo!' già ci fa- ceva paura! Allora la prima che era davanti ha taciuto, ha visto che avevamo paura e dice 'non state ad avere paura, sapete, butele!' e invece dopo vediamo che è D. che era venuto a chiamare la levatrice''. (37) '' Andavi magari da quelle più vecchie delle ragazze e allora ascoltavi, sapevi, potevi sapere, se no in casa ... che ti dicessero questo e quell'altro ... guai! Guai se ti sentivano anche parlare... ti dicevano che sei nata sotto le foglie di un brocolo ... ''. (38) Era proprio questa inevitabile libertà di movimento a fare di queste ragazze fi- gure nuove, potenzialmente sovvertitrici di un ordine antico e di un modello fem- minile gelosamente custodito e rigidamente imposto. Le operaie diventano così agli occhi della comunità "mate"; e il termine fa intravvedere sia la loro anoma- lia rispetto ai modelli culturali sia il grado di sospetto e timore con cui erano guardate. E una donna ci racconta ... '' Dicevano che siamo mate i benestanti qua del paese, quelle che stavano a ca- sa, che avevano due tre campi, che adesso ci vanno anche i signori in stabilimen- to; le benestanti che loro avevano un pochi di campi e andavano nei campi a lavo- rare, ci dicevano che siamo mate( ... ) ci dicevano che siamo mate perchè cantava- mo per le strade, che a vent'anni mi sono comprata la bicicletta 'le mate da stabi- limento si son comprate la bicicletta' dicevano." (39) ... e mentre l'ascoltiamo prende corpo tra noi il fantasma della diversità: que- sta giovane donna è definita mata-diversa perchè fa sciopero, canta per le strade, se ne va in bicicletta, abbandona la casa, insomma tenta di inventarsi un approc- cio nuovo con la vita. E la comunità, che abbraccia rassicurante nel suo seno pro- tettivo chi, docile, si uniforma alle sue leggi, diviene 1natrigna per il diverso, se poi il diverso è una diversa, il suo seno sterile sviluppa pesanti rigetti. La ragazza operaia si trova avvolta da una sottile massiccia emarginazione; e gli anziani, ar- roccati nella conservazione, non le vogliono diventare suoceri: '' A me mi hanno domandato uno lì che erano sioreti, allora la vecchia niente; a lui piacevo, mi ha sempre voluto bene, e lui sarebbe stato il mio ideale, ma la vec- Bi · ·e t · ) a , ,IJ Ile dello stabilimento non erano mica serie, c'era il det-

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