Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980
54 C. Bittasi Valussi, N. Filippini, C. Giglio/i Sabelli La ragazza doveva stabilirsi presso i padroni in città lasciando la sua casa e fa- cendovi ritorno molto saltuariamente per brevi saluti, abbinati alla consegna del- lo stipendio. In questo lavoro non c'erano limiti allo sfruttamento padronale, an- zi, la condizione di isolamento e solitudine, il rapporto personale e chiuso con i padroni, la lontananza dalla famiglia, la mettevano in totale balia dei suoi datori di lavoro; non era fissato un preciso orario di servizio nè la qualità delle mansioni e delle competenze, la sua disponibilità doveva essere illimitata. Tutto ciò era ma- scherato da una serie di motivazioni etiche: il padrone rivestiva ufficialmente una funzione educativa nei riguardi della ragazza e si faceva garante nei confronti dei genitori anche della sua verginità. Le donne che hanno vissuto questa esperienza la ricordano e la descrivono sof- fermandosi su due aspetti particolari che contraddistinguono il lavoro di dome- stica e lo rendono difficilmente assimilabile ad altri lavori: da una parte il rigido controllo esercitato sulla loro persona, dall'altra le umiliazioni e le prevaricazioni cui erano quotidianamente sottoposte. A volte la ragazza riesce a riconoscere la ferocia di tale controllo estraneo che la opprime, la reprime e la nega senza nemmeno ammantarsi dei buoni sentimenti e della naturalità di cui si paluda il controllo della '' fameia'', e lo rifiuta: '' Stavo meglio in stabilimento che a servizio perchè il pan dei paroni ha sette groste e dopo in ultimo c'è il grostin che l'è grosso ... (... ) una volta i siori se ne sfottevano delle serve, sa, perchè tutte cercavano lavoro ... ( ... )ti facevano man- giare quello che avanzavano loro: .. " (30) "A 12 anni sono andata a servizio, facevo la serva. (... ) era dura, sa, era dura ... tante di quelle umiliazioni ... non erano neanche dei peggiori padroni, ma tante di quelle umiliazioni. .. sul mangiare per esempio ... facevano il caffè, mai una volta che abbiano detto 'ne vuoi un goccio?'. Loro avevano pasticceria e alla festa portavano a casa le pastine, forse una volta ogni due mesi mi davano una pastina ... Pensi che lavoravo in Via S. e tutte le sere, estate e inverno, dovevo an- dare a dormire in C.so S.A. dai genitori della padrona( ... ) e l'avevano sì il posto ìn casa se avessero voluto( ... ) ma sa io ero la serva, mi mandavano a dormire là e là dormivo in soffitta insieme alPaltra serva( ... ) dopo mi facevano dormire in ca- sa forse perchè sono venuti a sapere che la sera quando andavo là, sa, qualche giovanotto ... allora mi facevano dormire in un sgabuzzino su una branda di quel- le che si chiudono, la sera la aprivo e la mattina la chiudevo. Ho resistito tre anni e dopo ho detto mangio polenta e cipolla ma questa vita non la faccio più. Allo- ra, dopo sono andata in stabilimento''. (31) Questa giovane donna dei primi anni del XX sec. attua dunque un violento ge- sto di ribellione: sfugge al controllo - pilastro della sua oppressione - che l'am- biente circostante compatto sferra contro di lei e che può perpetrare solo finchè i suoi movimenti sono limitati ad un ambito familiare ... E lei abbandona la casa... e va in fabbrica. Ma il lavoro di domestica diventerà inevitabile e sempre più frequente quando la crisi economica che sconvolge l'Italia al termine della prima guerra mondiale e B :1 1 co segue e ver .· inoso aumento della disoccupazione maschile rendono pre- 1 0eca 1no anca
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