Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980

Lavoro e soggettività delle donne 53 Il lavoro della ragazza fuori dall'azienda familiare La stessa logica che sottostà agli spostamenti della manodopera femminile all'interno dell'azienda contadina (dalla casa ai campi e viceversa) determina an- che la sua fuoriuscita, la sua diversa utilizzazione in determinate situazioni o pe- riodi. Quando un magro raccolto, una morìa di bestia1ne rendono problematica la solvenza degli obblighi verso il padrone, quando il campo diviene troppo pic- colo in relazione ai bisogni interni o la famiglia attraversa un momento partico- larmente difficile (nel caso, ad esempio, del distacco di un nucleo della grande "fameia"), è la ragazza la prima ad essere impiegata 1n un lavoro salariato per- chè rappresentando l'anello più debole e l'elemento più intercambiabile, la sua assenza è l'unica a non creare squilibri nell'organizzazione interna del lavoro fa- miliare. La si può mandare a lavorare fuori per brevi periodi, come bracciante nei mesi di raccolta, oppure, più stabilmente, la si i1npiega come operaia nelle fabbriche circostanti, o la si manda a servizio nelle famiglie dei signori. Le zone offrivano diverse possibilità: i paesi collinari e dell'alta pianura ad est di Verona, ad esempio, potevano più facilmente rispondere al richiamo di quell'industria tessile e alimentare che in questa zona si andava sviluppando ai primi del '900. Le donne solitamente introducono il discorso con un riferimento alla partico- lare situazione di povertà che le ha costrette ad un impiego esterno e non si tratta mai solo di un semplice accenno, ma di una vera e propria giustificazione e moti- vazione del fatto. Vendere la forza lavoro della ragazza rimaneva pur sempre per la famiglia una scelta grave, che da un Iato rendeva ufficiale e noto d1 fronte alla comunità pae- sana lo stato di povertà, dall'altro soltanto dalla povertà veniva giustificata e resa accettabile: "Non ce n'erano soldi, pochi, pochi! oh ... ho fatto una vita! ... Appena sono stata sui 12 anni sono andata in stabilimento a S. Martino" .(27) "Sono andata a lavorare che avevo 13 anni e dopo è venuto anche mio papà, così tra me e lui mantenevamo la famiglia anche se gli altri fratelli erano piccoli, così si poteva pagare l'affitto". (28) '' Io quando sono stata giovane ho sempre tribolato perchè mio papà non ha più potuto lavorare( ... ) C'erano quelle che stavano a casa( ... ) noialtre ci toccava andare a lavorare se volevamo mangiare, se stai a casa chi è che ti dà da mangia- re? A servizio o in stabilimento'' (29) Affinchè l'impiego fuori casa fosse socialmente accettabile, l'ambiente di lavo- ro doveva essere tale da garantire lo stesso controllo esercitato dalla famiglia: tale condizione era assicurata solo dal lavoro di domestica. Nelle interviste non c'è in- fatti eco di critiche e giudizi negativi rivolti alla donna che va a servizio, malgra- do il maggior distacco dalla sfera familiare; essa lavora sempre all'interno di una famiglia che ne cura l'educazione e soprattutto ne controlla i contatti con l' ester- no: valori e modelli culturali non vengono intaccati. BibliotecaGino Bianco

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