Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980

48 C. Bittasi Valussi, N. Filippini, C. Giglio/i Sabei/i emergono come tappe fondamentali all'interno di un percorso lavorativo stabili- to fin dall'infanzia, a sottolinearne difficoltà, asprezze, pause. Anche i grandi eventi storici (le guerre, il fascismo, la resistenza) vengono ricordati solo quando arrivano ad intaccare il loro quotidiano e sono vissuti esclusivamente come causa di profondi mutamenti che interferiscono sulla qualità e quantità del loro lavoro. Dalle interviste che abbiamo effettuato uno degli aspetti che appare più imme- diato è lo spazio occupato dal lavoro nella vita della donna, fin dall'infanzia e senza soluzioni di continuità; altrettanto chiaro appare come la forza lavoro fem- minile sia essenziale all'equilibrio dell'azienda contadina. Eppure nella maggior parte delle fonti ufficiali ne è totalmente taciuta l'esistenza, salvo quei casi in cui l'assenza degli uomini, come durante le due guerre, ne evidenzia il peso determi- nante per la stessa sopravvivenza dell'azienda. Così il Vanzetti concede che se il settore agricolo non uscì sconvolto dalla prima guerra mondiale, ma anzi man- tenne pressochè intatto il suo livello di produzione, ciò si ottenne, oltre che per le 'abbondanti e feconde precipitazioni' anche 'a costo di un duro lavoro prestato da coloro che non erano chiamati alle armi e da donne, vecchi, ragazzi'. (4) Ed il Franzina parla dell'enorme mole di lavoro che doveva pesare sulle spalle delle donne nei periodi di intensa emigrazione. (5) Dalle relazioni della più grande inchiesta sull'agricoltura promossa dal mini- stro Jacini alla fine dell'800, risulta invece che la donna lavorava in campagna la metà dell'uomo, con un rapporto che il relatore numericamente esprime da 5 a 10. (6) Dal che arguiamo che secondo lui la donna in campagna doveva godere di molto tempo libero o quanto meno non lavorava per metà della sua giornata. In perfetta linea con ciò Mussolini, con disinvoltura, lanciava simultaneamente la campagna per la ruralizzazione dell'Italia e quella contro il lavoro femminile sen- za sentirsi in contraddizione, dal momento che il lavoro femminile nei campi era una prestazione naturale e dovuta, che nulla aveva a spartire con l'attività ma- schile, quella sì lavoro! I giornali fascisti dell'epoca alternavano a calde esorta- zioni per un ritorno al focolare domestico, apocalittiche descrizioni delle deva- stanti conseguenze del lavoro sul fisico e sulla psiche iemminili, arrivando a met- tere in imbarazzo perfino quei camerati che, preoccupati dei possibili esiti distorti di una battaglia politica tanto mal condotta, si sentivano in dovere di precisare che 'la donna ha sempre lavorato (... )lavora non solo e non tanto in cucina( ... ) quanto nella pastorizia, nell'agricoltura, nelle arti della tessitura e della filatura". (7) E l'ambiguità e il miscononoscimento dell'effettivo lavoro della donna nelle cam- pagne si trasmette intatto nella nascente repubblica: leggendo il nuovo patto di mezzadria e interpretando faticosamente le tabelle Serpi eri (sulla cui base viene calcolata la quota di ripartizione del prodotto) si scopre, ormai senza sorpresa, che l'antico concetto secondo cui la donna lavora e produce la metà dell'uomo è non solo sopravvissuto alla resistenza, ma è uscito pressochè incolume da quanti altri sconvolgimenti politico-culturali hanno attraversato la storia fino ad oggi. (8) Se cerchiamo di affrontare l'imperscrutabile mistero che lega la donna al de- stino di non veder giustamente riconosciute e valutate le proprie "tribolazioni" lavorative, ci troviamo di fronte a una serie di pregiudizi, luoghi comuni, rigide BibliotecaGino Bianco

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