Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980
28 Questo era un atteggiamento falso che puniva lei e me. Non andavo con lei per me, ma con lei contro di loro. Amavo lei in quanto rappresentava una rivincita contro la mia natura. La mia felicità significava solo: "finalmente sono anch'io come gli altri". Su questi presupposti è chiaro che il rapporto era viziato: lei se ne rendeva conto, io no. Oggi so che quella ragazza la feci soffrire. Lei prese giustamente la decisione di troncare con me. Trovai ingiusta quella decisione. Cercai di colpevolizzarla. Ma questo, era un inutile nascondere le mie responsabilità. Finii col vedere l'amore come un fatto negativo, che puntualmente si inseriva nella mia vita e dal quale ri- cevevo solo dolore. Decisi di non innamorarmi più. Occorreva rimuovere gli ef- fetti, a costo di diventare arido ed insensibile. Ormai mi sembrava chiaro che non ero capace di amare in maniera disinteressata. I miei affetti sconvolgevano la mia vita ed a volte, quella degli altri. Avevo il terrore di essere quello che in effetti sa- pevo di essere. La conferma definitiva non tardò ad accadere. In un cinema, un pomeriggio, un ragazzo un po' più anziano di me, mi mise una mano sulla gam- ba. Ho resistito e dubitato per molto tempo, ma non l'ho respinto. Tremavo come una foglia. Lui avvertì la mai ansia e mi incoraggiò. lo risposi. Dopo piombai in una cupa disperazione e in una folle vergogna. Fuggii da quel cinema ed andai in cerca di rifugio da un prete che mi seguiva spiritualmente fin dalle medie. Ero molto religioso. Fino all'anno precedente avevo partecipato alla vita parrocchia- le. Quel prete per me era come un padre spirituale. Di me aveva capito tutto già da molto tempo. Ricordo i suoi consigli. Mi diceva che l'uomo è come un iceberg di cui nessuno conosce il fondo, neanche l'interessato. lo, in modo particolare, dovevo fare un grande sforzo per conoscere quali erano i miei punti deboli. Mi accennò molto delicatamente, ma molto chiaramente i suoi sospetti. Io mi offesi e smisi di frequentarlo. Lui non mi venne a cercare, si limitò ad aspettare. Quando mi r~vide, non si meravigliò di quanto gli raccontai perchè forse sapeva che ciò sarebbe successo. "Finalmente ti conosci un po' di più" disse. Il problema, secondo lui, non sta- va nella omosessualità, ma nella pratica dell'omosessualità. Avrei dovuto aumentare il mio impegno sociale, indirizzare i miei interessi affet- tivi, non verso una sola persona, ma verso un ideale che comprendesse molte per- sone. Dovevo sublimare. La religione era per me un rifugio che mi dava molta forza, ma c'era una con- traddizione. La mia vita era un continuo mortificarsi, reprimersi, colpevolizzar- si. Non era più il Dio dell'amore e del perdono, ma il Dio degli eserciti che non vuole amore, ma fedeltà e obbedienza. Erano cominciati gli anni della contestazione. Soprattutto all'interno della Chiesa si respirava la nuova aria conciliare. Le idee più progressiste trovavano consensi, se non nelle alte gerarchie, almeno all'interno di alcune organizzazioni. Non ebbi così grosse crisi di coscienza nel trasferire il mio impegno dalla parroc- chia al movimento studentesco, prima, e nel movimento operaio, quando entrai Bi ~ ab ·e . inoBianco
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