Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980

24 Giampiero Zendali mo avere la forza anche di fare progetti, magari che ci portano ad abbandonare la fabbrica, cercando soluzioni altrove, costruendoci una realtà più comprensibi- le e più direttamente legata ai nostri bisogni e alle nostre esigenze; ma ~omunque sempre a testa alta, senza pensare che fin'ora abbiamo buttato via inutilmente e in maniera irreparabile anni della nostra vita, magari i migliori. In ultima analisi in fabbrica, ci siamo finiti molto spesso non per nostra scelta, ma per causa di forze maggiori (o mangia 'sta minestra o salta 'sta finestra) e ci siamo vissuti nostro malgrado per tutti questi anni. Scoprendo magari poi nella politica, nel sindacato un mezzo per poterci liberare da questa castrazione. Per questo, ci abbiamo creduto fino in fondo, fino a prendere sul serio i messaggi che venivano proclamati negli anni scorsi, e che inneggiavano al cambiamento e ad una vita migliore. Ci abbiamo creduto fino al punto di soffrire tremendamente quando questa prospettiva è tramontata; una sofferenza vera, profonda, che ci prendeva e ci prende ancora tutto il corpo, facendoci star male; quasi fossimo af- fetti da una sorta di malattia misteriosa ed inguaribile. Ci troviamo ora dispersi. È diventato difficile parlare di politica. Tutte le per- sone che lanciavano proclami adagio-adagio hanno trovato la loro sistemazione. Noi ci troviamo sempre qui. Continuiamo a timbrare il nostro cartellino e ci sen- tiamo tremendamente soli e isolati. Abbiamo il nostro pesante fardello di ricordi che molto spesso ci impedisce di considerare serenamente il presente che viviamo e le sue occasioni. Su tutte queste cose ed altre ancora, abbiamo molto bisogno di discutere. Con pazienza, dobbiamo trovare anche il modo migliore e piacevole per farlo, senza fretta o preoccupazione di arrivare subito, perchè dobbiamo imparare a ri- spettare i nostri tempi individuali di maturazione e comprensione. Però con la consapevolezza che dobbiamo cominciare e che, senz'altro, conta molto di più per noi capire cosa pensa il nostro compagno di lavoro e capirci tra noi che abbia- mo ancora voglia di porci il problema, che sapere cosa dicono i "grandi bonzi" con le loro interviste pubbliche. E non è neanche tanto un problema di tempi stretti o lunghi che ci deve preoccupare, quanto proprio un problema di tempi nostri e della nostra comprensione reciproca e con la gente. Tanto, come dice un nostro carissimo amico, "il tempo è rotondo" e la vita "un lungo cammino verso se stessi''. BibliotecaGino Bianco

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