Ombre Bianche - anno II - n. 4 - aprile 1980

Quattro storie 23 4. Giampiero Zendali Delegato Consiglio di Fabbrica I.R.E. Philips (Varese) Finite le ferie, siamo rientrati in fabbrica. Dopo il primo momento di novità, in cui si prende atto dei nuovi cambiamenti avvenuti e della ristrutturazione, do- po esserci raccontati dove abbiamo passato le ferie e se ci siamo divertiti, il ritmo di sempre ci cade addosso come una cappa di piombo, facendoci tornare nel soli- to tram-tram fatto delle solite facce e del solito cartellino da timbrare ogni matti- na. Quasi per malocchio ci troviamo di fronte ai soliti problemi: la catena che gi- ra sempre inesorabile, i compagni di lavoro che non capiscono un cazzo, i capi che rompono le balle. Controllando la busta paga ci accorgiamo che 10.000 lire conquistate nel contratto non sono in paga base, causa l'interpretaziope distorta dell'accordo da parte dell'azienda. E ci vien voglia di buttare tutto all'aria, pian- tar casino anche senza capire in che modo. Ma poi un senso strano di "responsa- bilità" o di "paura" ci assale e si rimane lì silenziosi ad aspettare che venga l'ora di fine turno. Il fatto magari che ci fa uscire dal torpore è l'assemblea (molto affollata) in cui si discute il caso di un incidente sul lavoro particolarmente grave. Siamo colpiti più per la grande affluenza di gente che per la gravità in sè dell'incidente. Allora si comincia a pensare che forse, sui problemi che la toccano da vicino, la gente si muove e partecipa. Però non sappiamo ugualmente cosa dirci e con1e cominciare ad affrontare l'argomento. Ai primi cenni di discussione ci sentiamo confusi. Ci accorgiamo subito che il passato ci pesa addosso come una macina, impedendoci di parlare apertamente e serenamente delle cose che abbiamo soLto mano e che viviamo, si va a finire presto nei soliti luoghi comuni e nelle frasi fatte. lo credo che abbiamo un immenso bisogno di discuterne aperta1nente, senza la preoccupazione angosciante di cosa fare in concreto, perchè il solo fatto di essere in fabbrica, di timbrare il cartellino tutte le mattine (o quasi) è più che concreto. È, ad opera finita, un terzo della nuova vita attiva, che non possiamo non rico- scere o nnnegare. Anzi questa è la condizione da cui partire per capirci, per cominciare a pren- derci sul serio, così per quello che siamo e riusciamo a dirci, senza pensare di es- sere degli eroi o dei falliti. Consci che viviamo una condizione vissuta da migliaia di altre persone; che magari apparentemente parlano solo di calcio e di figa, ma poi scavando a fondo, si scopre che nessuno ha mai parlato loro direttamente in termini diversi di cose più nobili (senza toglier nulla alla figa). Rinunciare quindi a prender coscienza di questo fatto, vuol dire perdere l'occa- sione di verificare da sè l'importanza di credere nelle persone cast' con1esono, per poter quindi lavorare a formare una coscienza comune e condivisa, in cui ognuno si sente importante per quello che è, perchè si sente ascoltato ed impara quindi ad ascoltare; per poterci capire e risolvere i nostri problemi. Non solo: ma potrem- BibliotecaGino Bianco

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