Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979

76 Federico Bozzini lunghe discussioni di questi anni fra tecnici ed addetti han depositato come piatte banalità nell'organizzazione. Tutti arrivavano in reparto con grandi attese. Generalmente avevano avuto esperienze di rapporti con altri medici e, insoddisfatti, si rivolgevano all'istituto di Medicina del Lavoro con grande fiducia. La loro speranza esplicita era che qui, i medici democratici, i compagni in camice bianco, riuscissero a trovare in loro qualla malattia organica che gli altri medici, più integrati nel sistema, non erano stati capaci di vedere. Un ulteriore elemento che può aiutarci a capire è che la fiducia nei confronti dei medici dell'istituto era sempre direttamente proporzionale alla quantità di impe- gni e di obblighi che affermavano d'avere. Il meccanismo è semplicissimo e può ben essere illustrato da un esempio che, per la ripetitività con la quale è stato rile- vato, possiamo considerare classico. Il nostro sindacalista arriva in reparto. Vie- ne ricoverato per esami ed accertamenti. Lui accetta sotto condizione: due o tre giorni dopo ha una riunione, un appuntamento, una cazzata qualunque alla qua- le non può assolutamente mancare. Arriva il giorno dell'impegno. Lui "chiede il permesso", il medico glielo nega, e lui, "per la fiducia che ripone nei sanitari", si rimette sotto le coperte, sereno tranquillo e giustificato. Sia ben chiaro, con ciò non vogliamo dire che queste persone che arrivavano in reparto mentissero a pro- posito del loro malessere. La loro sofferenza era reale. Quello che cerchiamo di capire e spiegare è il modo complicato, poco chiaro e pieno di conflitti con cui vi- vevano il loro star male nell'organizzazione. I medicj, prestandosi al loro gioco, accettando il ruolo fuori linea del medico stregone tradizionale, dando un nome alla loro malattia, li hanno aiutati non tanto (o, se proprio vogliamo, non solo) a curarsi, quanto a legittimare il loro bisogno di cure e soprattutto di riposo nei confronti di un'organizzazione totalitaria ed esigentissima. Il camice del medico ha in sostanza legalizzato quel diritto che loro non avevano il potere contrattuale soggettivo di prendersi. A ben guardare, quella che veniva compiuta in Istituto è sempre stata, in quasi tutti i casi, una diagnosi per esclusione. Poichè le analisi di laboratorio e gli esami clinici dicono che l'aspirante-paziente non ha questo nè quest'altro, dunque la causa del suo malessere deve essere quest'altra ancora. E fra le cause patogene che tutti (medici e sindacalisti) concordemente scartavano a priori c'era quella di far risalire il loro star male alla condizione in cui vivevano nel sindacato. In buo- na sostanza, i medici, almeno fino ad un certo punto, hanno sempre escluso, con- fortati calorosamente in questo dai pazienti, che la loro potesse in qualche modo configurarsi come una malattia professionale. Giocando la loro parte, aiutandoli nel definirsi malati, offrendo al sindacalista prove documentali e testimoniali scientifiche della sua malattia individuale, i sanitari lo hanno contemporanea- mente aiutato nel non mettere sotto accusa l'organizzazione. Definendo malato il sindacalista, hanno definito assieme contemporaneamente sano il sindacato.

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