Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979
Come si misura un metro 57 Ma allora perchè si parla di violenza e non di questo qualcosa o di questo qual- cuno e, magari, dei loro concreti atti violenti? Il motivo qualche volta è chiaro. Sarebbe complicato fare i conti con la concreta realtà di chi si pone in relazione a questa società con forme di espressione e di lotta violente. Bisognerebbe prendere atto e, al limite, correre il rischio di comprendere e condividere la complessità de- gli aspetti che motivano questa scelta e questo comportamento. Più semplice è cogliere il gesto violento, rapportarlo ad un criterio di valutazione astratta e quindi assoluta e conseguentemente condannare tutta la persona o il segmento sociale: globalmente, senza appello, senza rischi e senza fatica. 2. ' Accanto al carattere sfuggente che la violenza dimostra se sottoposta ad analisi politica, esistono socialmente diffusi e radicati dei criteri molto precisi di valuta- zione dei gesti e delle ideologie violente. Il metro con cui noi giudichiamo concre- tamente violenti o non violenti certi atti è soggettivamente certo, ma abbastanza inesprimibile concettualmente, tanto da essere oltremodo difficile generalizzarlo in maniera stabile ad un'intera società. Ogni segmento sociale, al limite, ogni individuo ha un suo specifico sistema di misuraa riguardo. Il problema dell'unificazione di un sistema metrico per la vio- lenza è, appunto, un problema. Anche quando si tenta di esporre in maniera one- sta e chiara il proprio metro, è difficilissimo risultar convincenti. Ma non è una questione ideologica e nem~eno politica, anche se la violenza con- creta può essere, a volte, rivestita ideologicamente e politicamente. La violenza o, meglio, la disponibilità soggettiva o di gruppo a compiere gesti che contengo- no un certo livello di violenza è una realtà precedente a qualunque mediazione culturale. Ci sembra che i criteri di giudizio siano essenzialmente morali. E quin- di prepolitici. Forse è proprio per questo che il livello di violenza concretamente più opportuno nelle forme di lotta è sempre difficilmente argomentabile a priori. Forse è per questo che gli atti politici pro o contro la violenza fanno così poco uso della ragione graduale e discorsiva, ma finiscono inevitabil~ente per invitare a tagliar corto, a schierarsi, a prendere posizioni totali. O con questo o con quel- le: o con noi o contro di noi. Non siamo chiamati semplicemente a misurare un fatto o un gesto; siamo pressantemente sollecitati a chiarire il nostro sistema di misura. Ed è questo che si fa quotidianamente quando accettiamo la sollecitazio- ne dello schieramento, quando ci dichiariamo innocentisti o colpevolisti, quando si firmano appelli pro e contro, quando si partecipa ai funerali delle vittime o ai- processi degli accusati. Partecipare ad una manifestazione contro il terrorismo ha soprattutto il signi- ficato etico di rendere sòcialmente manifesto il proprio metro di giudizio nei con- fronti della violenza. Essere in piazza significa con chiarezza: quel livello di vio- lenza lì è oggi incommensurabile rispetto al mio attuale sistema di valori. Non l)OSSO quindi misurarmici. È nettamente estraneo al mio universo morale. Quelli che lo praticano sono miei nemici non solo politici, ma anche morali e, quindi, tali.
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