Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979

32 Massimo Tramante stanno così, i soggetti sociali emarginati e non garantiti. Quello che è in gioco og- gi a Torino mostra come l'inchiesta "7 aprile" non sia altro che il tentativo di at- taccare separatamente quello che appare il settore proletario, anche nelle sue espressioni organizzative, (apparentemente) più debole o (sempre apparentemen- te) più isolato, ma che in realtà quello che si vuole colpire - ancora una voltcl - è quel potere operaio irriducibile contro la natura di sfruttamento e di alienazio- ne del lavoro salariato che si esprime in fabbrica e da lì passa poi nel sociale. Il potere capitalistico stesso - oltre che le anime belle garantiste - si è incari- cato di mostrare la reale natura del processo ''7 aprile''. L'Europeo, espressione del ceto capitalistico moderatamente riformista, titola il suo fondo di questa set- ~ timana '' A Torino e a Padova due pesi e due misure'', e nella sua logica antipro- letaria ha però ragione: a Torino e a Padova (intendendo l'inchiesta "7 aprile") quello che sono in gioco sono i comportamenti e le sedimentazioni organizzative di dieci anni di lotte e la possibilità di usare questa forza accumulata negli anni che verranno. Per questo sono fiducioso. Come comunista sono naturalmente ot- timista e adesso che comincia ad esserci una larga consapevolezza di come l'in- chiesta "7 aprile" sia inserita nello scontro tra le classi, nei rapporti di forza rea- li, mi sento molto più sicuro e partecipe, non più (ma sono mesi che lotto per non esserlo) oggetto passivo. Cari compagni di Ombre Bianche, quanto segue è una lettera che avevo scritto ai giornali subito dopo l'ordinanza del 2 luglio con cui il Giudice Istruttore metteva in libertà la compagna Carmela (n.d.r. Carmela Di Rocco), dando un primo duro colpo alla credibilità comples- siva dell' "inchiesta Calogero", dato che contro Carmela - come si è saputo poi - c'erano gli stessi testi ritenuti capisaldo dell'inchiesta. Nessun giornale, nep- pure Lotta Continua o Il Manifesto, pubblicò quella lettera in cui - semplice- mente - tentavo di spiegare ''chi sono''. Da allora sono passati più di tre mesi ancora, altri compagni sono usciti, l'in- chiesta è sempre più minata al suo interno eppure noi siamo ancora qui: ''impu- tati minori", ma in galera. Gli imputati "maggiori", è vero, stanno peggio di noi: nelle mani delle "bande Gallucci" sono stati trasferiti in carceri speciali ai quattro angoli d'Italia e là oltre alle durezze della repressione hanno probabil- mente dovuto fare i conti con quelli che poco prima gli avevano definiti "agnelli- ni" e "signorini". In questi tre mesi noi abbiamo visto il giudice solo una volta, su nostra sollecitazione, per un breve colloquio in cui abbiamo - tutti - richie- sto un confronto coi testi. Personalmente, io ho fatto presente al Giudice Istrut- tore che i testi indicati dagli atti processuali pubblicati da Il Mattino di Padova, A. Romito, M.L. Pavanello, A. Pavanello, li conosco bene e che con due di loro -(Romito e M.Luisa Pavanello) avevo avuto rapporti del tutto normali fino al mo- mento del mio arresto. L'altro, A. Pavanello, non lo vedevo da almeno cinque anni, se non di più. Non ho voglia di parlare qui dei testi, certo per un comunista è umiliante sco-

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