Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979

Due lettere 31 Martedi, 16 Ottobre. Guardo e ascolto alla televisione l'assemblea dei delegati operai di Torino. Parla Angelo Caforio, operaio licenziato: uno dei 61. C'è una grande tensione, anche in noi che guardiamo e ascoltiamo alla televisione, chiusi in cella al Carcere Due Palazzi. La partecipazione evidente a quello che dice Angelo da parte della stragrande maggioranza dei militanti, delle avanguardie operaie presenti al Palasport; l'af- ferinazione che ne esce che contro la natura di sfruttamento e di alienazione del lavoro salariato è doveroso, è legittimo lottare, sono secondo me la prova eviden- te che questo tentativo di estendere (ed era logico attenderselo) i metodi e i conte- nuti dell'inchiesta "7 aprile" agli operai in fabbrica, alla loro forza accumulata, espressasi anche di recente a luglio a Torino e in molte altre situazioni, non riusci- ranno a passare. Certo, come scriveva martedi 18 Franco Carlini su Il Manifesto : "Il metodo '7 aprile' è arrivato in fabbrica. Anche il sindacato si fa tribunale e distingue il grano dal loglio''. Questo però vale soprattutto per quella parte del sindacato, certo quella più rappresentativa a livello istituzionale, che ha accettato ormai da anni la logica del rilancio produttivo, della ristrutturazione, della soli- darietà nazionale, per quella parte del sindacato che concepisce il sindacato stes- so solo come istituzione ''democratica'', interna al sistema rappresentativo e componente necessaria dello sviluppo capitalistico. Ma c'è nel sindacato un'altra componente, quella che viene accusata di "civetta- re" con la violenza e la forza operaia: è quella che concepisce il sindacato come livello mediativo - di necessità - ma non coercitivo o addirittura negativo del potere operaio e delle sue espressioni in fabbrica o nella società. Certo la posizio- ne di questa componente è ambigua, ma è necessariamente ambigua e la sua for- za è proprio questa ambiguità dichiarata. Sul versante antiproletario e anticomu- nista l'ha capito bene Giorgio Bocca, in questo caso alleato della visione stacano- vista del PCI e delle Confederazioni. Chi si richiama alla "democrazia operaia", sa che essa è per i padroni, per il ceto capitalistico, ''illegale'' perchè negatrice di quella ''civile convivenza sul luo- go di lavoro" che altro non è se non il comando e la produttività d'impresa. Del resto quei delegati dell'FLM di Torino che al congresso di Magistratura Demo- cratica di Urbino hanno parlato di una ''nuova legalità di massa'' emersa dalle lotte di giugno-luglio, sanno bene che essa in realtà per il ceto capitalistico italia- ·no nelle sue varie articolazioni, sindacato e partiti revisionisti compresi (basta leggere L'Unità in questi giorni, basta ricordare Minucci quando dice "che assu- mendo studenti e disoccupati, la FIAT ha raschiato il fondo del barile") è "ille- galità di massa", da colpire e combattere con ogni mezzo. E dunque anche per noi imputati maggiori o minori dell'"inchiesta 7 aprile" la situazione è eccellen- te. Finalmente il discorso della nostra liberazione esce dal "ghetto" e diventa parte integrale (e questo vale per gli altri, non per noi che questo lo sapevamo e lo abbiamo sempre detto) di uno scontro politico, di potere, misura dei rapporti di forza nel nostro paese. Tempo fa Franco Piperno parlava di ''una ipoteca ope- raia di massa sul regime democratico che destituisce di fondamento ogni tentati- vo di generale involuzione autoritaria'', ma che questo poteva anche tradursi nel fatto che non si assoggettano alla disciplina capitalista. Ma in realtà le cose non

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