Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979

Sputo, dunque sparo 13 Comunque lo si affronti, il problema si presenta sempre nella forma origina- ria, metafisica: tutto è violenza (con l'adeguato contrario: niente è violenza). Nel fare ciò non si tiene conto che: a) la definizione sociale scaturisce dal gioco di diverse interazioni e criteri; b) esistono dei fatti empirici; c) la sfera dei fatti va tenuta disgiunta dalla sfera dei giudizi (il che non significa non avere dei giudizi, ma evitare che questi diventino "pre-giudizi", giudizi anteriori alla comprensio- ne dei fatti e per ciò stesso condizionanti a priori la possibilità stessa di tale com- prensione). È difficile infatti sfuggire alla spirale del senso comune, anche se paludato di raffinata disquisizione. Si finisce sempre per definire violenti quegli atti che: a) supponiamo finalizzati a provocare dolore e/o a strappare qualcosa ad altri; b) giudichiamo moralmente ingiusti e riprovevoli; c) riteniamo che legittimamente richiamino il diritto alla repressione e alla punizione. Col che crediamo di aver raggiunto la definizione "oggettiva" dell'essenza del- la violenza. Senonchè tutto ciò altro non è che la griglia concettuale nostra , con cui noi organizziamo e dotiamo di senso alcuni fenomeni, e la ''Violenza'' torna a volatizzarsi in quanto oggetto reale. E questo per due motivi: il primo, perchè ciò che è violenza, e ciò che non lo è, subisce potenti modificazioni durante la sto- ria (la tortura giudiziaria nel XVI secolo, per quanto ci possa sembrare parados- sale, non era affatto considerata atto violento e perciò criminoso) e nel medesimo momento storico (per le BR è lo Stato il volto dispiegato della violenza e del più spietato terrorismo e per giunta contro le "masse"); il secondo, che spiega il pri- mo, perchè "violenza" è un giudizio e in quanto tale, necessariamente, rimanda a dei valori che funzionano da orientamento per i singoli e che mutano nell'inte- razione sociale. Violenza e criminosità Possiamo segnare dei punti fermi: a) non esiste la "violenza" ma dei fenomeni giudicati violenti; b) il fenomeno non necessariamente implica il giudizio. E veniamo allora all'altro rischio presente nel dibattito, e precisamente al ri- schio connesso ad un uso troppo "sportivo" (o, se vogliamo, più seriamente, "ideologico") del termine, che identifica surrettiziamente violenza e criminosità. Non tutto ciò che è criminoso è per ciò stesso violento e, specie nella nostra socie- tà, non tutto ciò che è violento è di per sè criminoso. Innanzitutto perchè la criminosità di un atto si definisce in specifico rapporto a norme giuridiche che la prevedano e che ne tutelino le potenziali vittime nonchè preqispongano adeguate misure di repressione. In secondo luogo perchè la soglia di criminosità, ancor che definita formal- mente, varia a seconda dei momenti che una società attraversa e delle possibilità di cui, sulla base di rapporti di forza di volta in volta instaurati fra i vari attori so- ciali, un attore dispone per far arretrare o addirittura sospendere, nei fatti, il giu- dizio di criminosità e la conseguente attuazione delle prescrizioni della norma.

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