Ombre Bianche - anno I - n. 0 - novembre 1979

12 Gianni Tagliapietra che possa far riflettere sulla trappola ideologica che scatta ogniqualvolta si iden- tifica ciò che si ritiene violento con ciò che è criminoso in riferimento a un deter- minato sistema di norme: è una equazione (dalle tristi conseguenze) che non si può fare semplicemente perchè i termini non sono eguagliabili e la sua attuazione maschera sempre una ragione autoritaria. Infine, tenendo d'occhio da un lato i fatti, e, dall'altro, il problema dei valori che ispirano i comportamenti, i giudizi e le norme, si procede all'analisi dell'uso corrente del tema ''violenza'' e dei suoi effetti nel vivo del dibattito e del compor- tamento politico attuale, soprattutto in riferimento al pensiero e alla pratica sin- dacale e alla natura non "disinteressata" ma corposamente politica di tale dibat- tito. Da tutto ciò si spera possa scaturire da un lato una serie di suggerimenti per l'esercizio di una più ampia autonomia di giudizio e di orientamento, e, dall'al- tro, una maggiore, esasperante se occorre, cautela nel maneggio di concetti so- spesi. Gli americani, che hanno inventato tutto, hanno inventato anche una parola particolare, un termine tecnico che si usa in sociologia e che serve a definire sinte- ticamente il ruolo di quelle persone, in genere prestigiose e a volte colte, che da noi si chiamano "mosche cocchiere" o, più comunemente, "bacchettoni". Que- sto termine è "moral entrepreneur" e definisce, all'interno del dibattito di una società in dato momento. storico come potrebbe essere l'attuale dibattito sulla "violenza", i personaggi che acquisiscono ruoli e prestigio sociale e politico di- battendo un tema sociale non caratterizzato da contenuti empirici allo scopo di identificare nuove forme di devianza. ''Moral entrepreneur'' significa ''impren- ditore morale'': e qui il pensiero può facilmente scorazzare fra gli identikit dei "moral entrepreneurs" nostrani grandi e piccoli (i Bocca, i Montanelli, i Ron- chey ecc.). Nel dibattito entrano pure in gioco, specie in Italia, gli stessi "devianti", costi- tuendosi essi stessi in "moral entrepreneurs" di se stessi (si pensi a tutta la ponti- ficazione propagandistica BR & C.): infatti la posta in gioco è la possibilità di manovrare la "societal reaction", vale a dire la reazione punitiva della società nei confronti degli individui e delle situazioni nel nostro caso indicate come ''violen- te". Altro ruolo che entra nel gioco è quello degli "zoo-keepers" (che tutto somma- to ci fanno la figura dei pirla) che potremmo chiamare "difensori d'ufficio" spontanei (ma l'espressione americana è più pregnante e si potrebbe tradurre con i "custodi dello zoo", o, più liberamente, gli imbalsamatori della devianza e an- cor più del deviante) e che sono persone che, pur non partecipando a quelle azio- ni né facendo parte di quei gruppi, ma anzi essendo abbastanza integrati nel "si- stema" ritengono tuttavia di doverne "sposare la causa". E infatti il ''difetto nel manico'' di ogni intervento sul problema della violenza, e presente abbondantemente anche nel dibattito della nostra redazione, è la note- vole dose di astrazione presente nell'approccio e nella discussione. Cosa che, se ci promuove sul campo "mora! entrepreneurs" con prestigiosi annessi e connessi, certamente non aggiunge un grammo alla nostra capacità di penetrazione cono- scitiva del reale, anzi forse ne aggiunge qualcuno alla nostra coscienza filistea.

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