Ombre Bianche - 1979 - numero unico

56 Marco Girardi occupavano tanto, erano magre. E tiro fuori questo scartoseto con dentro una lu- ganega. La prendo in mano, calda sì ma non che scotta. La metto nell'altra tasca in fretta. La carta si era bruciata dappertutto, era salva solo dove c'era l'onta della luganega. Ma caro mio, mentre attraversavo il cortile, e andavo a nascon- dermi per mangiare questa polenta e luganega, il sugo della luganega, che era bollente dentro nella carta, è uscito, e mi è andato giù per la gamba. Che razza di scottatura di olio bollente ... e non potermi lamentare per non farmi scoprire. Va- do fuori tirando la gamba, un dolore da matti. Vado dietro la siesa dell'orto, che era fatta di altee. E là 'na sboconà de polenta, 'na s-cianta de luganega e 'na rus- sada a la culata. Una volta la vita nei paesi era regolamentata dal suono delle campane. Quando a mezzogiorno suonava l'Angelus si sapeva che bisognava andare a mangiare - anche le prime fabbriche seguivano le campane. Se suonavano in una maniera si sapeva che c'era un matrimonio, in un'altra se era morto un uomo o una donna. Quando moriva un uomo, per esempio, la campana da morto suonava un unico segno. Quando moriva una donna, invece, suonavano due segni, uno corto e uno più lungo. Quando suonava la campana piccola si sapeva che era morto un picco- lo. Quando suonava il campanon grosso, a Rosà, si sapeva che portavano l'estre- ma unzione ad un malato. Allora dalle campagne si partiva - almeno uno per famiglia - e si andava ad accompagnare il Santissimo. Era una cerimonia sugge- stiva. Il primo giovanotto che arrivava prendeva un campanaccio grosso e si ingi- nocchiava sui gradini del sagrato della chiesa continuando a suonare. Significava che era in attesa della partenza del Santissimo. La gente si radunava vestita com'era ... E partiva la processione con in testa quello con il campanaccio - tin, ton, tin, ton, ... - poi gli uomini e i ragazzi e dietro il baldacchino - un ombrel- lo fatto apposta - le candele ed il sacerdote con i paramenti sacri, e poi le donne sempre a piedi. Veniva fuori una processione di anche 150, 200 persone. Mi ricor- do che anche quando ci trovavamo magari in mezzo al campo, e sentivamo pas- sare la processione, sentivamo il campanaccio, e si diceva: «Senti passano con il Signore ... » Allora si fermavano i buoi, ci si inginocchiava in mezzo al campo, in mezzo al bagnato. Magari non si vedeva neanche la processione. Quelli che accompagnavano il Santissimo arrivati alla casa del malato si ingi- nocchiavano fuori per terra, fintanto che il sacerdote non aveva finito la cerimo- nia nella camera del malato. E poi si scioglieva il corteo, chi andava da una parte, chi dall'altra. Una volta le feste erano molte di più di quelle di adesso. Oltre alle domeniche, le 17 festività infrasettimanali, la festa del patrono, ce n'erano altre, dove non solo s'andava a Messa ma la gente non andava nei campi. La domenica e le altre feste erano giorni di incontro. Ci si riuniva, subito dopo pranzo, in tanti gruppi di famiglie, e siccome noi avevamo una corte grande gio- cavamo, per esempio, a ba/eta. Si mettevano i soldi piantati nella sabbia, e chi riusciva a buttarli giù con una sfera di ferro erano suoi. Ma la stagione degli incontri più importante era la stagione deifilò, che durava dai primi di ottobre fino a tutto marzo. Nei filò, che si facevano in stalla - per- BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==