Ombre Bianche - 1979 - numero unico
Storia di vira 55 con un gruppo pilotato dal cappellano militare. Pare che mio fratello sia stato uc- ciso da italiani, da fascisti italiani nell'aprile del 1944 a eraide, Tessaglia- Grecia. È martire insomma contro il fascismo e quindi la famiglia nostra è stata colpita anche da quel lato lì. Eravamo 32 in famiglia, nel 1948. Oltre a mio papà c'era uno zio, fratello di mio papà, sposato in casa anche lui con una famiglia molto numerosa. C'erano delle zie ancora da sposare. C'era mio nonno Francesco che aveva fatto la guerra d'Africa nel 1898. Mio nonno aveva sei figli, tre femmine e tre maschi, però ne aveva avuti 9, gli altri tre sono morti. A quel tempo c'era tanta mortalità infantile. Anche quando ero giovane io, tutto il giorno, tutti i pomeriggi, si vedeva il parroco e il sacrestano che passa- no con la carrozzina per andare a prelevare i mortesini, i bacie piccoli che mori- vano nelle case. Nel 1948 a Rosà c'è stata un'epidemia di tifo. Qua non c'erano gli acquedotti. La gente si serviva soltanto dell'acqua del Brenta, la quale serviva per l'irrigazio- ne dei campi, per il bestiame, per lavare e serviva pure per la cucina. Tutti si ser- vivano delle roste, cioè delle roggie. A quel tempo ho avuto quattro fratelli con il tifo. Non c'è stata grande mortalità, i morti sono stati 4 o 5 in tutto il paese. Niente in confronto con la "spagnola" che ha invaso le nostre zone nel '19, dove quasi tutte le donne, dopo il parto, sono morte. Le famiglie contadine erano quasi tutte molto numerose. Una volta in una fami- glia si trovavano magari in tre fratelli, con una nidiata di figli ed il capoccia, il nonno. Le mamme in quei tipi di famiglia non erano neanche padrone dei loro fi- gli, comandava la nonna o le zie nubili: le madeghe. Come ho già detto, eravamo tanti in famiglia e mia mamma doveva sempre pen- sare per tutti perchè mia zia non si interessava tanto, però pretendeva, quando era mezzogiorno, che i suoi tosi fossero serviti per primi. La polenta si mangiava abbrustolita sulla brace; e mangiarla abbrustolita bene o male è diverso. Noi dovevamo fare la guardia, attorno al focolare, per aspettare che si abbrustolisse, a turno. Mia mamma, parlando con altre spose, che del resto vivevano nella stessa situa- zione, le avevano insegnato la tecnica per cucinare la luganega incartandola nella carta e mettendola sotto la cenere come una patata. Io ero il più magro, il più straseto della coà, ero molto giovane avrò avuto 10 o 11 anni. E mia mamma mi dice: «Severino, guarda che sotto la cenere del focolare c'è una roba ... , vattela a prendere e mangiala con la polenta». «Mamma; ma dove vado a mangiarla?» «Beh - dice - guarda, non mangiarla in un posto dove tua zia o gli altri ti ve- dono, mangiala di nascosto». «Vado in camera?» «No, perchè ti vedono andare su in camera. Va fuori per il campo». «Va bene, vado fuori per il campo». Vado in cucina, aspetto che non ci sia nessuno, mi taglio con un filo la polenta - un bel quadro di polenta - lo metto in tasca - tasche grandi ... le gambe non BibliotecaGino Bianco
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