Ombre Bianche - 1979 - numero unico
Vene10 è bello 31 ci tutto ciò che la borghesia accumula in ricchezza e potere. Il momento della conquista piemontese rappresenta dunque una fase storica di violenti mutamenti che può essere di estremo interesse analizzare per cercare di comprendere, nei fatti e nelle idee, l'atteggiamento dei contadini nostrani. Ma la storiografia ufficiale ha già confezionato questo periodo immediatamente "po- stunitario" in un giudizio che non invita certo alla curiosità e alla ricerca. "La fase transitoria, cioè del passaggio dal dominio austriaco all'amministra- zione italiana, si svolse pacificamente. Nessuna sommossa, nessuna agitazione preoccupante per le nuove istituzioni: tutto si compì, secondo il disegno modera- todi un travaso politico, che non alterò l'equilibrio sociale della nuova regione. I commissari del re apparvero ai maggiorenti della città, alla possidenza e ai ceti privilegiati come i garanti della tranquillità sociale. emmeno da parte repubbli- cana vennero gravi timori" (p. 176). Il capitalismo avanza nelle campagne rivoluzionando drammaticamente le con- dizioni d'esistenza dei contadini. elle regioni contermini la popolazione agrico- la, sottoposta ad uguali inumane condizioni, si ribellerà all'abbiezione in cui l'espropriazione borghese la spingeva. elle campagne lombarde ed emiliane, anarchici e repubblicani prima, socialisti poi troveranno facile terreno di propa- ganda, masse grandiose di seguaci. Nelle provincie venete niente di tutto questo. Nelle nostre campagne - questa è la versione della storia ufficiale - c'è pace so- ciale. Nostro trisnonno pellagroso, miserabile, affamato tiene la testa piegata sulla zappa quattordici ore al giorno per una pippa di tabacco e la quiete più as- soluta regna sovrana. Anche De Rosa, che pur afferma come Lanaro la bovina pazienza e l'idiota do- cilità dei nostri contadini, non riesce a scegliere esplicitamente fra le due possibili cause di questa passività. "Quiete che nasce da tranquillità materiale o l'atonia, la stanchezza, l'abbando- no che nasce da quella miseria che debilita il fisico, che scoraggia la resistenza, che finisce nell'abbrutimento?" (p. 204). È lo stesso discorso fatto sopra da Lanaro. Non si ribellano perchè mangiavano a sufficienza o perchè erano ormai rincoglioniti dalla fame? È ben strano il ritor- nare di questo problema da rivoluzionari da trattoria. Tanto per il cattolico, quanto per il marxista sembra sia assodato che il ribelle non è colui che ha appena mangiato nè quello che ha fame da troppo tempo, ma soltanto colui che fortuno- samente possiede un giusto appetito. Il carattere di questo dilemma alimentare, che la storiografia ortodossa strana- mente coltiva, è estremamente artificioso. L'incertezza sui livelli alti o bassi delle condizioni d'esistenza dei contadini veneti si manifesta solo a questo riguardo, quando si tratta di trovar le cause della loro passività. elle altre circostanze nes- suno ha mai dubbi. È un problema sintomatico. Ogni storico sente il dovere di accennarlo, ma nessuno si assume la responsabili- tà di risolverlo. Il pudore dell'unica soluzione possibile, che pertanto viene espli- citamente suggerita, ingenera la paralisi. Utilizzando gli apporti delle analisi terzomondiste De Rosa allude a quale può essere la conclusione di queste premesse. BibliotecaGino Bianco
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