Ombre Bianche - 1979 - numero unico
Vene10 è bello 17 una chiacchierata sulla teoria dei bisogni. Per cominciare il relatore chiede ai pre- senti di dire quali sono, a loro avviso, i bisogni profondi della gente, dei giovani, delle donne. Passa qualche minuto di silenzio penoso. Poi un amico risponde: gli investimenti. È proprio dalla constatazione che le redini ideologiche con le quali abbiamo ten- tato di governare il mondo stanno diventando catene che ci legano ad una visione della realtà e ad un conseguente comportamento stupido, parziale e repressivo, che sorge la nostra perplessità e la nostra crisi. r Larghe parti di noi stessi e fette sempre più ampie di società rimangono visibil- mente escluse dal nostro campo di comprensione, e conseguentemente ci trovia- mo ad assumere attivamente nei confronti di fette della nostra umanità e di seg- menti sociali crescenti un atteggiamento di sospetto infastidito e repressivo. Quello che non riusciamo a comprendere lo reprimiamo attivamente, anche se fortunatamente molta della fatica che costa la repressione ci viene risparmiata da un'abitudine virtuosa ormai meccanica. Se lasciamo mentalmente cadere le bri- glie con le quali per un'intera fase della nostra esistenza abbiamo tentato di dare senso al mondo di cose e di persone che ci circonda permetteremo a grosse fette di realtà di divenir visibili. La cosa veramente importante in questa fase non è tanto il comprendere o lo spiegare, quanto il vedere e il toccare. La semplice emergenza dei pezzi di realtà che per mutua convenzione avevamo stabilito di ritenere irrile- vanti diviene una provocazione per il punto di vista che li escludeva. Dobbiamo riscoprire la profonda verità del vecchio adagio: ci sono più cose sot- to le stelle di quante ne contenga la nostra filosofia. La ricchezza umana, anche dentro quel gabinetto sterilizzato che è l'organizzazione sindacale, è talmente enorme da far scoppiare qualunque Enciclopedia, qualunque Manifesto, perfino il documento dell'EUR. La riscoperta di questa totalità è l'unico obiettivo che può in qualche modo legittimare l'invito che ci sentiamo di rivolgere agli amici con i quali conviviamo nel sindacato ad accettare la crisi economica e sociale an- che come crisi dei modelli con i quali abbiamo finora tentato di comprendere l'economia e la società. Non è piacevole la dichiarazione della propria crisi, specialmente per chi, in un luogo di relazioni pubbliche come il sindacato, continua a rimanere al proprio posto. Le resistenze a questo gesto, che deve essere contemporaneamente indivi- duale e globale, sono fortissime e spesso più che giustificate. Le sollecitazioni esterne in direzione della crisi non hanno mai molta efficacia. È sempre e soltanto l'esperienza vissuta del contrasto profondo fra esigenze dito- talità e la miseria e la ristrettezza del campo di pensiero nel quale ci si trova ad esistere culturalmente che può mettere in crisi il nostro modello ideologico. Sono soprattutto le conseguenze violente e repressive di un ambito di pensiero ristretto, settario e parziale a far supporre e desiderare uno spazio culturale più ampio e fluido. BibliotecaGino Bianco
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