l’ordine civile - anno II - n. 11 - 1 giugno 1960

pag. • 6 civiltà, l'interno era selvaggio .-e abitato per lo più da pastori nomadi. I francesi e gli altri europei che arrivarono nel Maghreb, si dedicaro.no principalmente all'agricoltura, come coltivatori diretti, pur impiegando largamente mano d'opera indigena. Gli arabi non seppero adattarsi al mutare ·dei tem– pi: continuarono o la pastorizia o il loro primitivo sfrutta• mento agricolo ottenendo redditi proporzionalmente s~mpre minori. Così la più grande parte delle terre fu venduta ai coloni francesi, ed un'altra notevole parte fu confiscata ai capi ribelli, nel corso delle diverse insurrezioni che tràva– gliarono la vita del paese. Tuttavia sotto il dinamico influsso dell'elemento francese anche gli arabi aumentavano enorme– mente il loro tenore di vita sicchè ad ,esempio in Algeria da una popolazione valutabile attorno al 1830 a cinque o sei– centomila ,abitanti, si era già passati ad oltre un milione di abitanti ai primi dd novecento, fino agli odierni nove mi– lioni. Tuttavia la ricchezza in mano agli arabi non crebbe allo stesso ritmo, sicchè l'elemento musulmano cominciò sempre più ad appuntare gli sguardi sulle ricchezze degli europei. E' un fatto però altrettanto indiscutibile che oggi gli al– gerini saprebbero governarsi abbastanza bene da soli; come d'altra parte hanno saputo fare tunisini e marocchini. Quindi la società algerina ha veramente conseguito una notevole ma– turità e potrebbe benissimo reggersi da sola se non ci fosse il problema di quel milione di francesi che -da generazioni hanno profuso la vita e ricchezze per civilizzare e bonificare queste terre. Nonostantè che i nazionalisti algerini non amino molto ,dibattere il problema ed ,anzi talvolta abbiano fatto ampie assicurazioni ai •« colons )), non esiste persona in buona fede la quale possa credere -che la minoranza francese ver– rebbe las_ciata in pace a godere i suoi beni. E non si tratte– rebbe solo di espropriare i latifondi e di nazionalizza:ç.e in– dustrie: la stessa dinamica demograifìca ,degli algerini impor– rebbe prima o poi ai loro governanti di -comportarsi con gli ,europei allo stesso modo di Tunisia e Marocco e cioè tollerarli in un primo momento, per poi sostituirli e costrin– ·gerli a -emigrare in un secondo tempo. Nel migliore dei casi i francesi in Algeria verrebbero a trovarsi nelle condizioni di essere la classe socialmènte ed economicamente più di– namica e nel contempo quasi priva di ogni peso politico. L'.i,deale di De Gaulle è un'Algeria autonoma strettamente associata alla Francia: un'Algeria cioè che grosso modo ri– peta l'esperienza storica di cert·e repubbliche asiatiche del– l'Unionè Sovietica, in cui forti minoranze -di russi in po,si– zioni politicamente ed economicamente preminenti convivono con maggioranze indigene .profondamente unificate. Se una analoga soluz.ione per l'Algeria sia in sè giusta o ingiusta è problema di molto difficile soluzione perchè se è vero che gli algerini sarebbero maturi per la .propria indipendenza, si tro– verebbero prima o poi a -commettere un atto di profonda in– giustizia ,ai -danni della minoranza francese. All'altra estre– mità dell'Africa ci troviamo di fronte ad un caso apparen– temente analogo a quello algerino: una minoranza bianca vive in mezzo ad una grande maggioranza indigena, che a sua volta vuol .conquistare attraverso la pacificazione_ civile coi bianchi l'effettivo controllo del paese. I bianchi per im– dire ciò hanno applicato una durissima politica di -discrimi– nazione razziale, che recentemente ha fatto violentemente reagire ·l'opinione •pubblica mondiale, la quale ha cond~nn~to quasi unanimamente la politica di « apartheid >> ,dei -gover– nanti sud-africani. La tesi sostenuta ,dagli africal).i d_'origine europea è, molto più semplice che in Algeria: noi .~iamo ar– rivati in questa terra prima dei Bantù, quindi il paes_e è iiò– ·stro e non lo cederemo a nessun-o. Se anche questa potrebbe essere una ragione, esiste a nostro modo di vedere un_ altro ibliotecagi bia e l'ordine civile grave problema -da chiarire se cioe m realtà i negri siano veramente immuni -da quella malattia ehe si chiama razzi– smo. Noi pensiamo che invece ne siano molt-o profondamente contaggiati, nè è probabile ,che le ,« elitè >> più .progredite e civili tra i negri sud,africani possano tenere a bada la massa ·del loro popolo. ji può negare ai sud-africani il diritto di continuare a possedere il paese .che i loro padri con immensi sacrifici colomzzarono e civilizzarono? Noi pensiamo -di no, pur ritenendo che la politica di « apartheid », che in realtà è diretta ad un vero è proprio sfruttamento del lavoro negro, non sia assolutamente accettabile. {)uindi, benchè ogni .impostazione razzista, che consideri gli uni eletti e gli altri schiavi, sia falsa e pericolosa, non è aubitabile che non si possa obbligare un popolo più civile e progredito a dipendere politicamente da un popolo assoiuta– mente impreparato ad assumere la ,direzione -di una società •civile, e non è condannabile .pertanto una politica di sviluppo delle comunità negre_ in territori separati, o Bantustah, in cui i negri potranno sviluppare le loro naturali qualità, dimo– strando al mondo le loro -capacità civili in modo da ~mentire ogni teoria razzista. Dove invece l'attuale politica europea in Africa si sta forse rendendo colpevole di un atto contro la civiltà, -è laddove essa ha abbandonato o sta per abbandonare in balia -di se stesse vaste plaghe dell'Africa centrale, annun– ciando con appa·rente nobiltà di spirito la prossima creazione di stati indipendenti. Ma la realtà è ben -diversa, poichè gÌi europei stanno abbandonando l'Africa centrale e occidentale non per ideali ragioni di civiltà e ,di progresso, ma perchè non esiste veramente -più una vantaggi9sa prospettiva econo– mica per mantenere i vecchi -possedimenti. -Conviene piutto– sto quindi abbandonarli all'arbitrio di -capi locali spesso su– perficialmente occidentalizzati, i quali in ,cambio di « aiuti economici >>( che si trasformano quasi sempre in larghe pre– bende personali) garantiranno un pacifico sfruttamento déi territori, -come ad esempio già da tempo avviene in Liberia, dove poche migliaia ,di negri {)ivilizzati tengono in virtuale schiavitù il paese controllato e vendono i loro uomini e le ricchezze naturali del paese a quelle imprese internazionali che li •paghino meglio. Veramente pochi sono oggi i negri in condizioni di assumere ,compiti di carattere pubbli-co nei loro paesi, ed è altrettanto indubitabile che la presenza degli europe{ in Africa ancora per qualche decennio avrebbe per– messo un progresso. Frattanto in Africa, nei territori che gli europei hanno abbandonato o stanno per abbandonare, riardono furiose lotte tribali, audaci realizzazioni -civili stanno andando in rovina e persino ospedali, centri di profilassi sanitaria sono disertati in massa. E' -certo comunque che le genti di -colore sono chiamate a portare il loro contributo determinante alla formazione di .ul). costume di universale umanità: ma la storia non fa salti, anche se 1!1 tecnica le concede ormai ritmi singolarmente veloci. La ,comunicazione delle nozioni e degli abiti che Ja civiltà classi-co-cristiana ha accumulato per dei secoli, è ora possi– bile, per l'universalità stessa di quel legato storicQ: eppur •tuttavia essa va fatta con il senso e il rispetto dell'opera che si éo~pie. Il ritenere che l'Africa debba ritornare -!alla cul– tri~~- d~Il 1 i~pero del Mali integrata con lo svilupp~ tecnico • f '.Jn',~fro:ié e una illusione, in cui del resto cadono s~praùuu·o •gli"' eifròpei e gli africani più occidentalizzati, che più patte– ~ip~'~o alla crisi di fiducia in se stessa e nei valori, che è pro– pria deil'Europa moderna. Speriamo non cedano le energie più radicate e più popolari del popolo ·bianco e ,di -·quello nero, ,chiamate a-d una nuova e più iI_:I1-pegnativaconvivenza.

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