l’ordine civile - anno II - n. 4 - 15 gennaio 1960
lezza, 'a svolgere .la funzione cui gli in– tellettuali non [lltsf6ntJ sottrarsi, ecc., nella definizione e ricerca di cosa sia– no cultura e libertà, non si va oltre del– le ,cara~terizzazioni affrettate e gene– riche. Di ciò l'esempio più tipico è la pri– ma relazione di A pollonio, intitolata : "La cultura italiana negli ultimi quin– dici anni : valori correnti e costume del– la società italiana». Non è un'analisi storica documentata, da cui emergano delle prospettive concrete, è piuttosto una 'esercitazione retorico-emotiva, che dovrebbe suscitare una tensione- morale capace di sintetizzare letteratura e . vi-· ta, cultura e libertà. In realtà dietro • le belle parole non troviamo un pen– siero_ sostanzioso. Nella prima parte il relatore traccia il suo compito : "Fra· le tante cose che dovremo rimproverare a noi e agli al– tri, non ci sarà questa, del rassegnarci a una tesi predisposta. Una relazione porta al titolo, - la libertà dell'uo– mo di cultura contro ogni settarismo, contro ogni conformismo, - che impo– iie dignità e audacia, e non spaventarsi di alcuna faticosa altezza. Ma chiede– re e ottenere. coraggio può essere più facile che sapersi guardare dalle astra– zioni : c'è fra noi anche il gusto di prov– vedersi delle idee • atte a rovesciare il mondo: un'ideologia giacobina, frene– tica e vuota. Le idee sono vergini e ste– rili, e la storia è fatta d'ainore e di sangue" (pag. 12). Dunque guardarsi dalle astrazioni per "quel cercar la ,ve– rità nel vasto mondo e pagar di perso– na che si chia•ma cultura". Dopo aver combattute le astrazioni il relatore esclama: "Ma è ora, sotto.lineate quel– le aporie, di dirci grati per l'ardimen– to, altri dica per l'ingenuità, di pro·· porre questa endiade : cultura e liber– tà. Occorre coraggio nella nostra terra, adorabile e spietata ( ma è la nostra, e comunque se ne diciamo peste continue– remo ad amarla dopo ogni bestemmia e strazio), quando ci si accìnge a dir cose supr~.me". {pag. 16). In questa prima parte il compito del– l'uomo di cultura viene così delineato : "l'avere la ·mente sgombra, il non ce– dere alle suggestioni, il trattar di miti e oltrepassarli, il diffonder tra la gen– te parolette che diventino parole e ve– rità". {pag. 23). Dopo questa introduzione si passa a dire genericamente che i .·mali propri della cultura .italiana degli ultimi quin– dici anni si riassumono n·ell'endiade "massa-frana", che si contrappone al– enàiade : libertà-cultura. La scuola non si è saputa adeguare alle nuove esi– genze, cioè al fatto che strati sempre più larghi studiano, perciò la cultura ha perso il suo carattere umanistico per diventare una tecnica, con ciò si è smar– rito ogni senso e ogni scala di valori. Questa denuncia, che credo abbastanza giusta, non è approfondita, così che an– che le proposte per cambiare la situa– zione risultano assai generiche. Dopo aver escluso che un tentativo di rottura ( cita .il futurismo per il primo dopo– guerra) possa servire a cambiare la si– tuazione, la re.lazione si chiude con la esortazione : "incominciamo da ciascu– no di noi". E ciò che ciascuno di noi deve incominciare è lavorare all'instau– razione di un nuovo costume mediante l'intelligenza: "L'intelligenza è un fat– to di propalazione, di propagazione. E, noi abbiamo questo compito nella socie– tà italiana. Non rinunciamoci. Se sia– mo riuniti qui è perché questo compitò l'abbiamo sentito. Abbiamo accettato una investitura che potrebbe far tre· mare chiunque, di parlare di cultura· e di libertà ...". A b'l;,astanza buona è la seconda re– lazione di Gabrio Lombardi, intitolata: "La .libertà dell'uomo di cultura con– tro ogni settarismo, contro ogni confor– mismo". Il relatore constata la di/fusa convinzione negli uomi~i di cultu;-~ di oggi •( Zolla, Piovene, Antoni, Salvato– relli, Capograssi, ]emolo ...) che il pro– blema più .grave della cultura contem– poranea è il processo di "massif icazio– ne", per cui si va p~rdendo l'idea di persona. A ciò contrappone che questo processo forse è meno grave di quel che apparentemente non sembri, perché l'uomo comune vive e soffre più inte,;,. samente di quanto non si creda; da ciò deriva che g'li intellettuali tradisèono la loro funzione perché, o per pigrizia o per asservimento a interessi costituiti,. lasciano perdere, le energie vive degli altri uomini intomo a loro. Se la mas– sz1ficazione è un ·processo inevitabile, non resta che' rifarsi a Seneca e alla sua • teorizzazione del s,_;,icidio. Ma la pre– senza negli uomini di una ricchezza in· teriore, nonostante tutto, apre alla spe– ranza che la libertà sia possibile e che nella sua ricerca gli intellettuali abbia– no una funzione preminente. Anche il • Lombardi però, giunto ai· concetti fon– damentali, non li affronta: "Non starò qui, evidentemente, a tentare una clas– sificazione o anche solo una enumera– zione dei significati del termine -· li– bertà -. Dirò solo che la utilizzo nel significato di non impedimento, nel senso cioè. che l'individuo abbia una certa area di autonomia entro la quale poter esercitare una sua propria facol– tà di scelta". Affermato che la funzione dell'intel– lettuale è "il promovimento della .liber– tà e la ricerca della verità", si pone il problema fondamentale per i cattolici : "La libertà dei cattolici è la stessa li– bertà, di cui parlano i laici? In partico– lare la1ibertà di cui parlano gli uomini di cultura cattolici è la stessa di cui parlano gli uomini di cultura laici? O non sono i cattolìci per de/ inizio ne stes– sa conformisti, in un certo senso settari, menomati, come appaiono essere, su un largo settore dell'orizzonte della liber– tà?" ..Il relatore risolve il problema svi– luppando due idee: 1) che si è catto– lici perché si pensa in una certa ma– niera e non che si pensa in una certa maniera perché si è cattolici, cioè che l'adesione alla Chiesa nasce da una li- l'ordine civile ------ bera scelta; 2) che la libertà nel senso più profondo è nata col Cristianesimo, e si è mani/ estata nelle persecuzioni, quando individui senza alcun potere hanno . rivendicato una loro sfera di li– bertà contro lo Stato. E da questo è nata anche la laicità dello Stato. che è legata al concetto cristiano di ;ersona e di libertà. Alle due prime relazioni ne seguo– no tre più particolari dedicate agli stru– menti culturali : la scuola, il cinema, la radiotelevisione. Delle tre, particolar– mente carenti sul piano di un serio ap– profondimento critico, sono la secon· da, che è un breve riassunto della sto– ria del Cinema, buona per un diziona– rio enciclopedico, e la te;za, che è un catalogo dei programmi RAI-TV nel dopoguerra. Queste relazioni considera– no come preminente compito del cine– ma e della radiotelevisione oggi in lta-. Zia la cosiddetta "educazione popolare". I relatori non si fermano un momento a dire che cosa si debba intendere per educazione popolare, cioè il fine di cui il cinema e la RAI-TV dovrebbero es– sere i mezzi, e accettano acriticamente l'idea più bassa di educazione popola– re: cioè l'idea della "divulgazione" del– la cultura. La . visione è questa : esiste una massa di materiale che si chiama cultura che 'bisogna travasare nelle te– ste di coloro che fanno parte della massa. E' interessante citare a questo pro· posito alcune frasi dalla "Prima Radi– ce" di Simone W eil, per mostrare, si~ pure per inciso, con quale coscienza - e mentalità vada affrontato il problema dell'educazione popolare. Le frasi che cito si riferiscono in particolare agli operai: "In certi ambienti, in altri tem– pi, si parlava molto di cultura operaia. Altri dicevano che non esiste una cul-. iura operaia e una cultura non operàia, ma la cultura e basta. Quest'ultima_ os– servazione, in conclusione non ha fatto altro· che concedere agli operai più in– telligenti, e più avidi di imparare, il trattamento che si concede a studenti di ginnasio semi-idioti. Talvolta le cose sono andate un po' meglio, ma nell'in– sieme questo è il principio della vol– garizzazione, quale la si intende oggi. La parola è orribile quanto la cosa" ( pag. 72). "Quel che rende tanto diffi– cile comunicare a.l popolo la nostra cul– tura non è già la sua elevatezza, ma la sua bassezza. Si rimedia in modo as~,fi strano, abbassandola anche di più nri– ma di offrirgliela in frantumi"... "La verità illumina l'anima in proporzione della sua purezza, non già in propor– zione di una qualsiasi quantità". (pag. 73). "Non si tratta di prendere le ve– rità già tanto povere, contenute nella cultura degli intellettuali, per degra- • darle, mutilarle, privarle del loro sa– pore; ma semplicemente di esprimerle nella • loro pienezza ...". "L'arte di tra– sportare le verità è una delle più es– senziali e delle meno conoscil!,te. E' dif– ficile in quanto, per praticarla, occorre mettersi al centro di una verità, averla
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy