l’ordine civile - anno I - n. 5-6 - 15 settembre 1959
pag. ··24 inatici come ccPaisà » di Rossellini, si dimostrò a lungo andare solo un utile espediente per accozzare alcuni sketch comici, pare incontri ancora il favore delle cinematografie « comuniste ». Dal citato « Racconti su Lenin », al ceco– slovacco ccCinque fra un milione >> pre– sentato nella informativa, all'unghere– se in concorso· cc Almatlan Evek >> (An– ni insonni) di Felix Mariassy. L'inten– zione programmatica di quest'ultimo film era di narrare la storia degli ope– rai di Csepel, il più grande stabilimen– to metallurgico dell'Ungheria, attraver– so cinque episodi collocati in alcuni mo– menti particolarmente drammatici, ne– gli -« anni insonni >i: i primi giorni del– la guerra mondiale, gli anni attorno al 1930, la seconda grande guerra, la fine del conflitto. Purtroppo le intenzioni ccsociali », nonostante il programma evidente, sono le più lontane dalla sen– sibilità del regista che, sin dall'inizio, rinuncia del tutto a narrarci la vita della fabbrica, a ,darci, mediante alcu– ne storie, un'idea della vita degli ope– rai durante questi «anni insonni». Lo stabilimento cli Csepel è visibile, oltre che nei titoli di testa, in ,qualche spora– dico fotogramma. Così i cinque quadri decadono a frammentari bozzetti cli lo– no e valore diverso, al di foori di qual– siasi significato unitario. Storie inegua– li ma 'ugualmente rachitiche, cinque impressioni frettolose che, proprio per– chè danno per scontata e non appro– fondiscono la collocazione politico-so– ciale, a parte singole espressioni ver– bali legate a una facile dommalica ri– petuta ma non sentita, diventano del tutto autonome. Conseguentemente gli episo·di migliori sono quelli che più si rifugiano nel bozzetto ( citeremo il ter– zo: due fidanzati vincono alla lotteria una casetta ·prefabbricata che non san– no dove « ancorare »). Scritto· con mo– de~ta ma diligente calligrafia, « Anni insonni >> è un film che puntiglio·samen– te procede verso la fine come per scom• messa. In conclusione Russia e paesi satel– liti hanno presentato a Venezia i segni di una grande incertezza di stile e di tematica. Ai grandi soggetti politico– civili dei periodi d'oro del cinema rus– so, alla gonfia dommatica di stato dello stalinismo sta subentrando una specie di gusto per· il •<:repusc~lare, per il sen– timentale, che pascola all'ombra di as– sunti pedagogici rip~t~ti per dovere di reputazione, stancamente e ipocritamèn– te. Quall'do non si ha ad•dirittura il co– raggio di prendere a prestito procedi– menti narrativi tipicamente occidentali, naturalmente con tutte le confusioni e le copvenzioni a -questi connesse, come ne « Il treno della notte >l che appare appunto dissociato dalla non riuscita sinte,si, o come nell'altro ottimo film polacco premiato nella informativa, cc Ceneri e diamanti >> di Andrzej W aj– da, in cui addirittura è evidentissimo l'influsso della scuola recitativa di Elia Kazan. LEANDRO CASTELLANI Vittqrini e il "meriahò,, Elio Vittorini e Italo Calvino si so• no fatti promotori -di una nuova e in certo modo singolare rivista letteraria, « Il Menabò di letteratura », il cui pri– mo numero è uscito in giugno presso Einaudi; e diciamo singolare in quanto il nucleo centrale della rivista è pro– grammaticamente costituito -dai testi (in questo numero vengono presentati due romanzi): rivista dunque e nello stesso tempo collana. I testi sono accompa• gnati da una breve presentazione, da qualche saggio critico, e qui, da una bi– bliografia. L'iniziativa non può non richiamare subito l'attenzione, per i nomi dei due direttori, chè Vittorini è stato, lo si vo– glia riconoscere o no, al centro della vi– cenda letteraria nell'immediato ante– guerra e dei tentativi culturali e lette– rari del dopoguerra con il suo cc Poli– tecnico », e Calvino è tra i più dotati dei giovani scrittori. Né va scordato che gl'impegni e le mansioni editoriali di ambedue, unitamente al loro prestigio personale, li pongono nella condizione di essere informati come pochi del far– si della nostra letteratura, in una con– dizione perlan to di responsabile scelta e guida. Questo primo numero della ri– vista, per altro e per quanto si può ar– ,guire, sembra essere tutto legato a Vit– torini, sia per la scelta esplicita dei due romanzi ( che potrebbero bene essere il seguito dei cc Gettoni »), sia per il di– retto contributo critico e i proble.mi presentati (la letteratura dialettale e la letteratura di guerra). E va dunque constatata la pubblica ricomparsa di Vittorini, dopo tanti an– ni, sul 1 cc combattimento ll letterario. . Che cosa può significare questa ri– c_omparsa? Nelle pagine proemiali, che parreb– bero sicuramente sue, direi che due po– sizioni vanno notate. Innanzitutto, se non ci inganniamo, una condizione mo– rale. e culturale diversa dal Vittorini più noto, quello di cc Conversazione in Si– cilia >l e del cc Politecnico >>. In altri ter– mini alla carica e alla tensione morale e civile del rcmanzo, ai dibattiti della rivista tutti impegnati per un rinnova– mento, sembra qui essersi sostituito un atteggiamento e una norma di bilancio •e di. ricerca : « cercare di vedere a che punto ci troviamo nelle varie, troppe, questioni non solo letterarie oggi in so– speso, e per cercare di capire come si potrebbe rimetterci in movimento >>. E continua; cc La crisi della_ letteratura ( e in genere della cultura) in _Italia sem– br(I essere più che altro, oggi, di -defi- cienza critica >> ( e va dunque rilevata una certa misura di contraddizione, se a questo si crede, con quello che poi se~ue nella rivista : molti ·testi e pochis– sima critica). La diversità di tono e di impostazione, di attacco, è ovviamente giustificabile. Chè sembrano v-enute me~ no, poco per volta, e a volte precipito– samente, tutte le ragioni ideali per una battaglia, nè a1tra sembra ancora ri·tro– vata, anche in Vittorini. La coscienza l'ordine civile del punto cui siamo arrivati, del fondo che abbiamo toccato, anche in lettera– tura, è conditio sine qua non, per un giudizio non illusorio e non puramente partigiano. La seconda posizione che vorremmo· notare _èconseguente alla prima : il giu– dizio sulle cause della crisi.. Qui il li– mite, per quanto finora si può capire, della nuova rivista. Poichè si scambiano le constatazioni per cause poiché si cre– de più alle -cause esterne, ai cc continui arresti dall'esterno, artif_iciali, trauma– tici, non organici ll, che a quelle inter– ne, storiche e spirituali. Si ha così l'im– pressione della mancanza di un reale retroterra per una critica, .della dissolu– zione di un rapporto reale con la tra.– di~ione e dunque di una possibilità di comprensione con tutta la produzione letteraria contemporanea. Ci possiamo sbagliare, e del resto bisognerà attende– re che l'iniziativa invecchi un poco per giudicarla pienamente. Ma, per ora, la scelta stessa dei due t-emi, che inve– stono i ~omanzi e i saggi critici, sem- bra su questa linea. • I due romanzi: cc Il calzolaio di Vige– vano )) -di Ludo Mastronardi, e cc Pace a El Alamein >> di Giuliano Palladino, l'uno tutto teso alla rappresentazione di una vita cittadina, a trasporla quasi n_ei suoi t-ermini dialettali ( ma con margini notevoli di gioco tra le pagine auten– tiche), l'altro sulla falsariga di un me– moriale di guerra, .ma con frequenti isole liriche e •con troppe cadute di scrittura, sono documenti interessanti e dignitosi della giovane letteratura, ma soprattutto documenti; non arrecano, vogliamo dire, contributi nuovi, -si muo– vono secondo linee -già sperimentate ; e sperimentate, certo in altri momenti e con diverso timbro, da Vittorini stesso . Ma è particolarmente nei saggi critici che si può notare l'assenza -sopra .de– nunciata. Per fare un solo caso, che tut– tavia è a nostro avviso centrale, Giusep– pe Cintioli in .cc Letteratura di guerra >> non riesce a dirci o a persuaderci, sui motivi che hanno fatto sì che nessun libro vero e grande sia stato scritto sul– l'ultima guerra mondiale. Se il proble– ma critico nòn è mal posto, non basta parl~re di complicazioni ideologiche che hanno impedito il rivelarsi .della guerra come fatto di natura, bisogna pure avere la forza di qualificare que– ste ideologie, denunciarne chiaramente le complicazioni, arrivare cioè •a dare un gìurlizio su che cosa la guerra sia stata per l'umanità. Come si può co– µ:liere .-tltrimen~i lo scarto che avvi-ene in letteratura? Sono qui cel"to accennati e affermati alcuni problemi capitali delle nostre lettere, come della nostra cultura. Ed è per questo che presentando il primo vo– lume di Menabò, se ne va rilevato il -ca– rattere di prova che il titolo suggerisce, e se va denunciata anche l'assenza -di posizioni del tutto chiare e originali, ne va d,etta anche l'aspettativa che su• scita nella povertà dei nostri fogli let• terari. CLAUDIO LEONARDI
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