l’ordine civile - anno I - n. 5-6 - 15 settembre 1959

pag. 22 critica spitzeriana. Anche se, infatti, la cntica marxista ufficiale ha guardato l'opera di questo grande filosofo con una certa cauta diffidenza, chiaro che quel tanto di determinismo rilevabile nei procedimenti spitzeriani può ser– vire e serve - ,quando sia appena leg– germente gonfiato e alterato - all'in– casellamento rigido e senza possibilità di appello, tanto amato, appunto, dalla critica marxista. ·E' inevitabile tenere presente il fon– do positivistico e laico della formazio– ne spitzeriana, quando si consideri il suo metodo critico dal punto di vista dei cattolici. A dire la verità, però, più che di vera opposizione si dovrebbe par– lare, in campo cattolico, di una larga astensione dal giudizio approfondito, e quindi da una cordiale adesione. A noi pare che, anche prescindendo da ·più partieolareggiate analisi, impos– sibili in questa sede, si possa dire che la critica stilistica dia garanzie tali di a·pprofondimento .e di misura, da poter essere, anche solo per questo, promossa e raccomandata. Prendiamo due o tre punti di importanza fondamentale: la critica stilistica ben difficilmente può prestarsi ad un fraintendime'nto dell'o– pera ·d'arte in chiave apologetica, pre– dicatoria, extra-estetica. Il fatto di es– sere continuamente legata ad una parti– colareggiata -documentazione ed esem– plificazione del testo fa sì che un even– tuale arbitrio critico venga sùbito mes– so in evidenza, quasi automaticamente. E' pur vero che la genialità del critico entra nell'operazione del rilevamento stilistico come qualche cosa di perso– nale e irripetibile: è il famoso «klie'k>> di cui parla Spitzer, la chiave di ingres– so nel mondo spirituale dello scrittore preso in esame, che è gratis data alla mente indagatrice del critico. Ma que– sto principio arbitrario non può fare a meno di inserirsi sùbito. in un com– plesso ,di dati di .fatto formali e storici che permettono semmai approfondimen– ti e precisazioni, non dispersioni e vie sbagliate. Così, le maglie della critica stilistica, strette ,come sono, lasci ano passare molto di rado quei frammenti di sensazioni personali che sono tanto cari alla critica ermetizzante. L'even– tuale pericolosità della stilistica è che essa possa trasformarsi, nell'intenzione di qualche disavveduto, in un 'estetica. Non ·ci .possiamo nascondere che, spe– cialmente nei chiusi orticelli di ambien– ti religiosi, abbia più immediato suc– cesso una critica letteraria -di tipo er– metizzante, che dovrebbe al contrario essere la più lontana d·a una coscienza religiosa. E a proposito di queste con– traddizioni, rimane esemplare la rubri– ca letteraria di un mensile cattolico ge– novese ( « Il Gallo ») che contrasta in modo evidente, con tutte le sue appros– simazioni ermetico-misticheggianti, con l'autenticità mistica -e altamente spiri– tuale dei semplici scritti di una Katy Canevaro. E se è vero che quel giorna– le. ,è letto non precisamente per i me– riti delle sue indicazioni letterarie, re– sta il fatto, significativo, che in ambien- ti anche intellettualmente v1vac1 attec– chisca una specie di ignoranza della realtà terrena e della storia, quando si parli di poesia. Il volume recentemente uscito con– tiene fra i saggi più belli quello su Charles Péguy; è il celebre saggio del 1928, che fino ad ora si poteva leggere in tedesco nelle Stilstudien. Questo sag– gio si può prendere forse come pietra di paragone. I fenomeni di dissoluzione e il peso del decadentismo operanti ne– gli scritti di Péguy ,(di questo volonta– rista al -quale è tanto facile perdonare gli eccessi, e, nonostante tutto, tanto ca– ro alla sensibilità di ognuno di noi) ven– gono indicati dallo Spitzer con una ine– guagliata precisione ed efficacia. Ecco le parole conclusive del saggio, che c1 sembrano ancor oggi insuperate: « Lo stile di Péguy rispecchia... la tragica tensione fra le diverse direzio– ni del suo spirito. Una ispirazione po– polaresca lotta, in lui, con quella dotta e scolastica; un semplice misticismo con le sue tendenze intellettualistiche; la tensione verso la vita e la realtà con quella verso la verità, la distilil.zione e l'astrazione; il suo temperamento poe– tico con una natura polemica. Ed ecco che il suo stile accavalla un francese popolaresco a latin'ismi dotti, e mesco– la metafore ed enfasi, slancio verso la totalità e divisioni a partizioni atomiz– zanti, poesia e prosa. Péguy credeva di appartenere ad una « generazione sa– crificata », e ha « sacrificato » sia la coerenza del suo essere che quella del suo stile. Ma il lato più tragico di Pé– guy è che egli stesso ci ha insegnato le leggi, in base alle quali possiamo giu– dicarlo : « Ciò che è profondo e miste– rioso non è necess.11riamente oscuro e tormentato. Nulla è più puro delle pie– ghe •del manto della preghiera antica ». Péguy non raggiunge dunque con la sua lingua la naturale e perfetta purezza, senza pieghe e senza affanni, del senti– mento mistico: la sua natura è troppo scientifica e razionalistica per permet– terglielo. Così lo slancio vitale, invece di diventare una infinita melodia, si ridusse in lui ad un incessante martel– lamento. Ma questo volo -di Icaro fallì anche per i limiti naturali delle forze umane : questi limiti regnano anche nella lingua, e nessun uomo, che voglia esprimere un ·contenuto sia mistico che razionale, può superarli. 'La stessa lin– gua, con i suoi limitati complessi sono– ri, che noi •chiamiamo parole e frasi ; la lingua, che è per il prodotto di un uomo dal respiro così corto, traduce il continuum della infinita melodia in uno staccato verbale, sicchè invece dell'in– finito mare si affacciano soltanto le sparse creste delle sue onde, e l'eterna evoluzione e trasformazione è sostitui– ta da numerazioni finite. E' la stessa lingua a frenare lo slancio vitale ». Ci pia·ce, in queste parole, special– mente il distacco, perchè in esso tra– spare una lucidità ,del critico che non è impiètosa. Questa corrispondenza al– l'ordine della storia garantisce la sti– listica dalla genericità e dall'improvvi- .. r ordine civile sazione. Uscita dall'àmbito universita– rio per la vitalità di alcuni suoi rap– presentaHti, fra i quali lo Spitzer è in primo luogo, la stilistica si avvia forse ad influenzare anche la cosiddetta cri– tica militante. Non è davvero un male se questo vuol dire che la giustezza de; giudizi estetici viene ad essere più lar– gamente confermata da una meticolosa e sensibile documentazione filologica e storica. PAOLO Go. 'NEL u Venezia 1959 Con l'assegnazione del Leone d'oro, ex-aequo, a « Il generale Della Rovere » di Roberto -Rossellini e a « La grande guerra » di Mario Monicelli, e degli al– tri premi a « Il volto » di Ingmar Ber– gmann ed alle interpretazioni .di James Stewart e Madeleine Robinson, si è con– clusa il 6 settembre c.m. la XX Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Quattordici film sono stati proiettati in gara ed una quarantina nella sezione informativa, oltre alla in– teressante retrospettiva che ha ri pro– posto all'attenzione della critica le mi– gliori opere presentate a Venezia dal 1932 al 1939. Mentre è necessario .dire che la « se• zione » in fondo meno interessante è stata proprio quella ufficiale dei film in gara, dimostratisi talvolta mediocri, talvolta opacamente ,dignitosi, talvolta anche squallidamente superflui, è op– portuno però non trascurare questa oc– casione, comunque preziosa, per fare il punto sul cinema del 1959-60 quale perlomeno è apparso dai- sintomi -della rassegna veneziana. Senza seguire cro– nologicamente l'ordine di presentazio– ne, prendiamo in considerazione, fatto un rapido cenno dell'unico, e purtroppo quasi inutile, film inglese, le opere pre– sentate dalla Russia e paesi satelliti, per rimandare ai prossimi numeri l'e– same degli altri dieci film. Poche parole su ~< The boy and the bridge» _(Il ragazzo e il .ponte) di Ke– vin Mc Clory, regista al suo primo lun– gometraggio ma già aiuto di J ohn Hu– ston. Un bambino, che crede il padre oi;nicida, fugge di casa e si rifugia den– tro il mastodontico Tower bridge, il ponte di Londra. Nella grande costru– zione, fra meccanismi, scalette, piccole stanze, travi .di ferro, ravvisa il castel– lo della sua fantasia, ritrova un mondo di fiaba che può fornirgli il rifugio e la protezione non trovata in fami– glia. Nasce un progressivo, vicende– vole « affetto » tra il bambino è il pon– te : il ponte accoglie e adotta il bimbo che a sua volta ne diviene un poco il genietto. La riconciliazione fra· padre e figlio mette termine a questa esile fiaba, che talvolta pargoleggia idealiz– zando un'infanzia di maniera, accarez– zando una pseudo-clima d'evasione psi– cologicamente approssimato. A parte una fotografia ottima, che virtuosisti– camente gioca sugli elementi più cc fo. togenici » del ponte, il film è un'ope-

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