l’ordine civile - anno I - n. 5-6 - 15 settembre 1959
l'ordine civile ziatamente quando si reputa di essere liberi, anche di fronte alla verità ben assodata, cessa assolutamente di aver significato anche la libertà, così come non sarebbe libero chi dicesse che è possibile portarsi da una città ad un'al– tra continuando a rimanere nella pri– ma o girando attorno alla sua circon– vallazione. La contraddizione non è li– bertà è invece negazione di pensi.ero e di autentica libertà). Per questa via ci pare si riveli an– cora di più la gratuità di certi mezzi di diffusione della cosiddetta << cultu– ra » e quindi la colos ale opera dise– ducativa di questi potentissimi mezzi di ... educazione alla « civiltà delle im• magini » che si susseguono sul video come sulle pagine di un rotocalco con l'accompagnamento di insulse didasca– lie, appositamente costruite per essere rapidamente dimenticate. Converrà notare che non basta aver fissato due o tre fotogrammi di un tafferuglio tra dimostranti e polizia o di un certo incontro tra due pezzi gros– si o di un banchetto nuziale per aver cc informato » con serietà e con frutto ·i· propri ascoltatori o lettori o spetta– tori. Essi dovrebbero - se si vuole che il nuovo <e tempo libero », che la. ci– viltà automatizzata dovrebbe poter as– sicurare ad ogni persona ( in tutto il mondo e non solo in alcuni Stati o zo– ne privilegiate), non sia una nuova pos– sibilità ingigantita di imbotti.mento dei cervelli - essi « spettatori » dovrebbe– ro essere messi in grado di poter rif let– tere su quello che accade e sui proble– mi umani del momento. La riflessione è il segno di maturità ed il vero discriminante tra l'informa– zione evasiva, epidermica e la informa– zione orientata alla formazione inte– riore. Infatti senza idee e senza il loro si– gnificato e valore sono la fonte di un maggiore svuotamento della persona umana e non arricchimento giovevole. La cultura - si continua a dire - non è erudizione, e che cosa si fa di diverso dall'erudizione attualmente, quando si notifica telegraficamente una sequela di fatti, fatterelli e fattacci senza il mini– mo spunto offerto alla riflessione delle persone? Ad esempio « lascia o raddop– pia? » ed ogni genere di « quiz >> ra– diofonici, televisivi e su rotocalchi, a che cosa possono servire se si reputa che abbia la stessa· dignità - ammet– tendo la gara - il ricordare i secondi, anzi i decimi di secondo, di una deter– minata graduatoria di una •qualunque corsa che poi più nessuno ricorderà ( ivi compreso quel <e fenomeno >> che pure ha vinto) ed il ricordare, con logica si– stemazione, una vicenda storica ·o una acquisizione scientifica o un'opera d'ar– te che può arricchire effettivamente chi l'ha studiata e chi si impegna ad ascol– tare?· << Lascia o raddoppia? >l ora è· mor.to , ma quale è la sua glor1a? Converrà non chiederla manzonianaménte ai po– steri, perchè noi testimoni di tale vi- cenda non ci faremo mai bella figura. Se si vogliono, per slanci di mecena– tismo più o meno ben calcolato, distri– buire dei soldi per premiare l'impegno, gioverà premiare quello autentico, non quello male applicato e del tutto im– produttivo sotto ogni aspetto. Non reputiamo di scoprire l'Ameri– ca con questi rilievi che potrebbero moltiplicarsi a prop,osito di canzonette e di festivals (più o meno corretti), ma finchè tutti si limiteranno a girare ì'in– terruttore della radio o del televisore, èd a « bere » qualunque intruglio ven– ga loro propinato, questo non farà ono– re nè ai programmisti ( che devono semmai educare il gusto del pubblico e non peggiorarlo!), nè agli ascoltatori e contribuirà solo a far nascere una vita associata ed una civiltà che vivac– chiando tra una banalità ed un'altra. ANGELOMARCHESI A proposito della critica stilistica Vive e cresce nella mente di chi ve– de la necessità della poesia una specie di immagine ideale del critico e della sua parola: tagliente intuizione dei mo– tivi centrali di un'opera, capacità di esprimerli con asciuttezza e misura; penetrazione profonda della verità e adeguatezza di mezzi filologici, storici, culturali, che la sappiano documenta– re. Il critico deve vedere quello che i distratti guardano con indifferenza. La verità intuita dal poeta, ed espressa in modi che riflettono la sua particolare visione del mondo, deve essere spiega– ta; e in questo caso si può insistere, senza snobismi, sulla consistenza etimo– logica del verbo spiegare: ciò che è in– voluto e nascosto nell'espressione indi– viduale del poeta va portato alla luce. In quest'opera di socratica saggezza, in questa vocazione dell'intelligenza, non è facile eccellere. Molti critici mediocri sono l'inevitabile peso che fa da con– trasto ad una mente acuta, e forse po– tremmo affermare che è più facile tro– vare un romanziere geniale, un vero poeta, che non un critico sicuro e pe– netrante. Posti di fronte ad una pagina di Leo Spitzer, si ha sùbito la sensazione del– l'altissimo piano sul quale si colloca ogni parola di questo complesso perso– naggio della critica letteraria contem– poranea. L'eccezionale lucidità di men– te, accompagnata da una immensa cul– tura, attrae immediatamente chi legga anche poche pagine di uno dei saggi sulla letteratura francese di Spitzer, rac– colti per l'editore Ei~audi, a cura di Pietro Citati. (LEO SPITZER: Marcel Proust. e altri saggi di letteratura fran– cese, Einaudi, Torino, 1959, pp. XXIX- 388, L. 2.500). Una fine ed intelligente causerie di Pietro Citati fa da prefa– zione al volume, che segue a distanza di circa cinque anni quello pubblicato dal Laterza a cura di Alfredo Schiaffi. ni, che senza alcun dubbio era più im– pegnativo, ma anche meno accessibile ad un pubblico medio. La fama di Spitzer si è, così, notevolmente diffu. pag. 21 sa da noi in questi ultimi· anni; profes– _sore di filologia romanza alla J ohn 's Hopkins University di Baltimora fin dal 1936, da quando cioè il regime na• zista rese impossibile a tanti ititellet– tuali la presenza in Germania, Spitzer continua dall'altra sponda dell'Atlan– tico l'opera scientifica iniziata negli an– ni della seconda guerra mondfale; si può dire che nessun aspetto, nessun problema della filologia romanza gli sia ignoto; e dai romances medievali spa– gnoli, ai simbolisti francesi, non ci so-· no autori o fenomeni letterari dell'area romanza degni di rilievo che siano sfug– giti alla sua curiosità. Anzi, la stilisti– ca di Spitz:er ha contribuito in non pochi casi a impostare in morlo del tutto nuovo ed originale le questioni, riso}vendo e appianando i problemi e approfondendo la conoscenza dei mo– tivi fondamenta:li delle varie lettera– ture. Non è questa la sede per riparlare del metodo di Spitzer; ma la pubbli– cazione recente di questo libro costitui– sce un fatto culturale di rilievo, spe– cialmente perchè da noi sono vivace– mente sentiti i legami tra le premesse metodologiche di Spitzer e quelle di Croce. Il vuoto lasciato dalla scompar– sa del grande filosofo napoletano si fa in queste circostanze abbastanza evi– dente, dato che è naturale confrontare la mediocrità di intelligenza e di risul– tati degli epigoni crociani con l'aurea misura del maestro. In realtà, l'eccellenza dei risultati di Spitzer nasce da una vitale aggressività del critico nei riguardi del testo preso in esame. Poco margine è lasciato alla fallibilità del gusto o all'apprezzamen– to compiaciuto ,ed estetizzante dei dati formali di un'opera letteraria. I dati formali servono infatti per ricostruire l'animus dello scrittore, e soprattutto per collocarne la figura in una giusta prospettiva storica. Le grandi doti di versatilità anche mondana non impe– discono poi a Spitzer di considerare il suo metodo critico, cioè la stilistica, co– me un semplice mezzo propedeutico al giudizio estetico vero e proprio; ed an– che se in questo atteggiamento fors.e è presente una certa dose di professo– rale civetteria, è cer.to che queste affer– mazioni, da lui ripetute sia nei saggi iniziale e finale delle Stilstudien (1928), sia in quelli, altrettanto e forse più importanti, di Linguistics and Li– terary History (1948), e perfino poi nella corrispondenza con scolari e re– censori, sono indice di una esemplare correttezza mentale e morale. Un meto-· do come la stilistica spitzeriana non manca di suscitare echi e consonanze significative in ambienti _determinati e specialistici. Più rigoroso e quindi più facilmente schematizzabile di quello di altri ra"ppresentanti della stessa corren– te ( pensiamo ad Eri.eh Auerbach, più artista. di Spitzer, ma forse meno utile per la formazione di una scuola) il me– todo spitzeriano si presta però ad essere utilizzato per fini eterogenei. Nulla è più facile che il fraintendimento della
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