l’ordine civile - anno I - n. 4 - 10 agosto 1959
pag. 20 Il primo ministro sovietico, parlando tempo fa in una assise di partito, a coloro che lamentavano uno scarso impegno ideologico degli scienziati e -dei tecnici, rispondeva che gli scienziati debbono essere lasciati in pace perchè i loro cer– velli possano dare i migliori frutti: avrebbe poi pensato il partito a •«politicizzare » tale frutti. Dietro tale battuta si nàsconde una realtà che la logor– rea del primo ministro no.I!-può nascondere, una premessa di cose che, senza alcun dubbio, già pesano nelle decisioni dello statista russo. La realtà è data dal fatto ehe la ideologia non riesce già più a condizionare l'impegno tecnico e scientifico. La premessa di cose è data dal fatto che il primo ministro paventa l'arrivo del giorno in cui i tecnici e gli scienziati finiranno di operare entr.Q la torre di avorio del « sapere per il sape~e » o per h> st_imolo del vantaggio immediato e per– sonale., Paventa il giorno in cui essi saranno forza organizzata, coscienti delle loro possibilità, e potranno, se lo vorranno, muovere all'assalto anche -della dirigenza politica. Il primo ministro russo sa che se dovesse giungere quel giorno non saranno ·Certo gli schemi marxisti che arresteranno la loro marcia. Sarà così anche per l'Occidente. Entro ,quali limiti e prospettive ideali nuove sarà possi– bile inquadrare tale moto è la domanda più impegnativa che si porrà, senza retorica, a tutti gli uomini pensosi dell'avve- nire della civiltà. • Non mi nascondo che la trattazione, forzatamente rapida e superfieiale, di tale argomento ha lasciato non poche do– mande sospese e non poche risposte inevase. Ma quello che mi premeva era richiamare l'attenzione di quanti intuiscono e sentono la realtà del problema, al fine di chiedere uno sforzo di approfondimento dello stesso, in con– siderazione anche del peso che esso già esercita nella vita del Paese. Grato dell'ospitalità NICOLA Gmso Cosa debbono fare • I giovani? ,Caro direttore, il problema dei giovani è, necessariamente, un problema perenne, ed è inevitabile ehe ogni qualvolta nuove fresche energie umane si presentano dinanzi alla società, si guardi ad esse con preoccupazione e con speranza, come dinanzi •ad uno sconosciuto che non sj, rivela. Ma che cosa si deve dire -di questa attesa endemica? La verità è che la gioventù non ha compiti o problemi o preoccupazioni sue proprie particolari. Dal momento che quella giovanile non è una condizione di classe o di cate– goria, ma una condizione transitoria avente attinenza con fattori meramente estrinseci e temporanei, ci si potrebbe ri– sparmiare la fatica improba, oltre che inutile, di isolare pro– blemi e compiti da assegnare ad un gruppo di gente che non è tenuta insieme da altro che dall'essere nata (poniamo) tra . il '33' ed il '38. I problemi dei giovani sono i problemi di tutta la comunità sociale. E se esiste un problema tipico del giovane ( come singolo, beninteso) questo è quello di inse• rirsi nella società. E' però vero che in linea teorica, i giovani potrebbero offrire alla comunità il contributo di una mentalità e sensi– bilità nuova, di un ·« occhio » diverso ed originale con cui guardare la realtà, ma il guaio è che essi finiscono sempre col guardare con lo stesso occhio degli anziani, cosicchè la comunità cambia le sue prospettive solo lentamente ed im– percettibilmente. . 1n l'ordine civile In vero, bisognerebbe non aver letto mai nessun libro, non aver avuto mai nessun maestro ed, in breve, essere vissuti in completo isolamento per essere certi di valutare le cose con originalità. Oppure - e questa è ipotesi più -realistica - bisognerebbe conquistare una cultura ed un metodo. Ma purtroppo questa è cosa riservata a pochissime menti: la mag– gioranza di noi giovani invece, è incapace di raggiungere l'astrazionl}-e quindi la cultura. Privi come siamo di esperienza diretta, siamo altresì inca– paci di cavare fuori l'universale dalla esperienza indiretta. Voglio dire questo: tutto quello che impariamo a scuola o dai libri o tutto ciò che ci riferiscon,o i nostri maggiori do– vrebbe venire macerato da noi, ridotto a materia prima, ad essenza, in modo da fornire materiale per la costruzione di un metodo, di uno strumento di ·conoscenza. Ah ... se ci fosse possibile leggere o ascoltare qualcosa e dimenticare imme– diatamente tutto il fatto, eppure, ciò non ostante, risultare ~rricchiti di un « quid >> che non era espresso, che non era detto, che forse non era conosciuto nemmeno da chi parlava o scriveva, ma che esistendo oltre il limite del conosciuto, si è riuscito a percepire. Viceversa quasi sempre noi giovani o rigettiamo « in toto » l'esperienza indiretta, per una malintesa esigenza di affermazione della nostra individualità, oppure di essa af– ferriamo soltanto la parte esteriore; ci impadroniamo dei motivi caduchi e caducati del pensiero o dell'azione dei nostri maggiori e li teniamo in vita fittiziamente, ( o meglio: strin– giamo presso di noi e ci illudiamo di trasmettere la nostra vita ed il nostro calore a cadaveri putrescenti). Cosicché quella parte di noi (parlo della '« intellighen– ihia ») ·che in potenza potrebbe portare il contributo di una nuova sensibilità, di una nuova visione libera da pregiudizi nella interpretazione ·della realtà, finisce con l'essere cieca di fronte alla realtà ed attenta soltanto ai pregiudizi ereditati dagli anziani. Nè ci sarà bisogno di esempi concreti per acclarare quan– to ho detto. Basta pensare quanta passione (fasulla!) poniamo nella polemica astrattismo-realismo in arte •(ad esempio) senza ren– derci conto che essa è superata e che si trascina innanzi da mezzo secolo ormai e che come tale andrebbe lasciata ai vecchi. E che dire della polemica statali.imo-libera iniziativa in politica economica? Se quarant'anni fa essa poteva essere com– prensibile e giustifieabile, oggi essa puzza di vecchio a mille miglia di distanza. • Ciò non ostante i nostri giovani ingegni si perdono a bi– zantineggiare su di essa. E che dire del tempo e delle energie che sprecano tanti giovani intellettuali socialisti o comunisti nell'esegesi degli incarta-pecoriti testi ottocenteschi del mar– xismo? E che dire dei giovani missini che parlano ancora del congresso di Ferrara del 1932 e tengono in piedi la vecchia polemica tra spiritualisti ed idealisti, grave di almeno un tren– tennio di vita? E che dire -dell'antifascismo di coloro ehe non si rendono conto del fatto che il fascismo è roba morta e sepolta da 15 anni? E degli ardori resistenziali di giovinetti che all'epoca della guerra partigiana poppavano beatamente, che diremo? Non mi si accusi ,di cinismo se dico queste cose . E' ehe non mi va assolutamente .di mettere la mia pas– sione e quei pochi grammi di materia grigia che ho, al ser– vizio delle polemiclJe dei nostri maggiori. Sì, studiamolo il fascismo, il marxismo, la resistenza, ma con l'obiettività fred– da, staccata degli storici che entro quei fatti transeunti vanno cercando l'universale, i valori eterni che pure devono esserci. Ci servano sì le esperienze delle generazioni passate, ma viva– bacco, non per mettercele indosso e tenzonare come pagliacci travestiti. Molto cordialmente GIANCARLO ELIA VALORI
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