l’ordine civile - anno I - n. 2 - 10 luglio 1959
pag. 4 non può stare >>.Infatti, un simile regno ha basi di argilla: i terremoti sociali della guerra e della crisi economica, che porta la disoccupazione di ma sa, lo farebbero facilmente crollare, perché non vi è l'unità degli spiriti. E, come lo stesso Mannheim (in Freedom Society etc.) nota: cc la rlisoccupazio– ne di massa e le guerre sono inerenti al sistema », o, per lo meno, sono entro il regno del reale ,contemporaneo. Aggiunge Mannheim: cc Ogni qualvolta una grave crisi accada, diviene evidente che le mutue obbligazioni sono valide soltanto se sono radicate nella coscienza; e la •Coscienza, sebbene sia l'espe– rienza più personale dell'uomo, è una guida nella vita comu– ne solo se una interpretazione morale e religiosa di fatti spe– rimentati in comune è accettata e a similata dai membri di quella comunità >>. Ora che la disintegrazione, o malintegrazione, sociale in que to senso sia un fenomeno più vasto, non v'è dubbio; ma sembra difficile negare che la sua manifestazione più cospi– cua, almeno in Italia, sia l'ormai quasi antica protesta seces– sionistica degli operai - in contrapposto con l'America dove un solo sistema di valori unisce ancora il paese. Qui da noi la classe operaia ha, e non da ieri, formato un vero movi– mento deviante, risolutamente in contrasto con la vecchia so– cietà, dando inizio ad una alterna vicenda di forze centrifu– ghe (il movimento deviante) e di forze centripete (i gruppi nazionalistici) che ha domina lo la nostra storia recente. ( Ma sembra ragionevole credere ch~·Italia e Germania iano state semplicemente le prime a dover affrontare lati r!i disintegra– zioi;ie. sociale; ragio.n_ per cui, studiando la e< crisi generale » italiana, in questo suo aspetto p1·incipale, noi studiamo forse il destino della civiltà occidentale). Certo, il problema è, ripetiamo, anche per l'Italia, più vasto. E qui sia concessa un'ulteriore precisazione ul concet– to di disintegrazione ( e rispondiamo con ciò a chi trova trop– po conservatrice la nostra concezione di equilibrio sociale e. ancora più, di comportamento deviante). oi non parliamo di disintegrazione se un ordine sociale vigente viene meno ed è sostituito da un altro; ma solo quando, come Mannheim di- 1·ehbe, cc vi è graduale indeboli_mento della struttura sociale esistente e delle forze che la sostengono, senza la simultanea ere cita di un nuovo ordine >>.Una di quelle situazioni sì lu– cidamente descritte da Pareto ubito dopo la prima guerra mondiale, quando assisteva al contrasto tra le leggi vigenti ed i loro deboli sostentori, da un lato, e i disordinati e con– traddittori, ma distruttivi conati dei sindacati, dall'altro. E al Pareto ci richiamiamo anche perchè mai vi fu 11n più tipico governo di « volpi >>che temporeggiano, tergiversano, corrom– pono, incapaci del tutto di padroneggiare i loro tempi e pen– sare, nonchè imporre, coerenti e forti soluzioni; e mai vi fu tanto bisogno di una « élite >>di uomini veri e rari che abbia– no la fervida immaginazione e la fede necessaria per pensare a stabilire un ordine nuovo, ,che ri ponda ai tempi. Uomini che ricostituiscano, nel rinnovamento, l'unità del sistema so– ciale. Cosa tanto più difficile in quanto sulle fessure fanno forza possenti entità esterne. alla ocietà nostra, per i fini della loro dominazione mondiale. E pare che la soluzione pre upponga, comunque, la ca– pacità di « far prevale1·e le forze cent1·ipete su quelle centri– fughe », ristabilendo per prima cosa il coordinamento tra tutte le grandi organizzazioni della società. Come scrive Mann– heim : « ... ammettere che una grande ocietà non può conti– nuare senza un certo coordinamento delle sue istituzioni, non significa essere in favore delle corporazione, sia in en o me– dioevale, che fascista. Ma è ugualmente impossibile andare avanti considerando gli individui come milioni di atomi astrat– ti, senza tener conto clel significato morale ed educativo delle loro associazioni. ino a quando le varie funzioni sociali rappre entate dalle associazioni restano non coordinate e le associazioni non vengono considera te come parte organica della comunità, è troppo facile manipolare l'individuo ... Il moderno e a tuto tecnico della propaganda può raggiungere l'inclivicluo come consumatore, studente, radio-ascoltatore, o turista, nei giorni òi salute o di malattia. Il ri ultato è il disorientamento generale». Ma quest'azione di coordinamento è da un lato condi– zione, da un'altro parte viva, del1'opera di -costruzione di quel l'ordine civile tessuto di relazioni sociali ( o struttura sociale, come altri amano dire) che deve tener insieme, forte ed elastica, la gran– de società. Il fatto è che i rapporti sociali ono oggi sclero– tici; abbiamo .di fronte uno di quei proce j di « over-formali– zation », come diceva Cooltey, per cui alcune grandi organiz– zazioni, come l 'e ere iLo o la burocrazia statale, sono solo dei « meccanismi >>con gli uomini come rotelle; non c'è « vera unità ». E la stessa condizione vale per la fabbrica. divisa per giunta lungo linee di classe. E' importante riconoscere coraggiosamente che, sotto que– sto fonda men tale ri petto, I 'Unione sovietica ed altri pae i comunisti asiatici ci hanno opravanzati; hanno saputo adot– tare una struttura sociale molto più adatta ai tempi, per loro almeno. E questo è, secondo noi, il vantaggio che hanno nella lotta attuale, vantaggio che potrebbe anche diventare·· deci– sivo, se noi tardassimo troppo a rinnovarci e a rico truire così la nostra cc vera unità>>.· Per mettere in luce la loro superiorità, ba la tudiare la struttura sociale d'un esercito comunista: quale 1·icco, capi]- lare, onni-inclusivo sistema di relazioni sociali! Che sapiente impiego delle tecniche psicologiche! Chi ha letto gli studi su– gli eserciti comuni ti, riassunti per e empio dal colonnello Bonnet, e da altri francesi che hanno fatto le guerre di Indo– cina e di Algeria, può faéilmente immaginare la forza supe– riore di quelle organizzazioni militari. Se noi mettiamo a confronto con quelli gli eserciti dei più antiquati paesi europei ( antiquati. intendo. come strut– tura sociale) po siamo meglio vedere la differenza. Anzi, po– tremmo prababilmente citare anche il nostro esercito della 2a guerra mondiale: chi ricorda la « over-formalization >>di quell'esercito, dove fra l'altro la nella di tinzione e divisione tra ufficiali e truppe impediva ogni reale rapporto e quasi aveva sapore di discriminazione sociale (I), già facilmente immagina la ua inferiorità, tanto più che gli italiani ( e, a dire il vero, perfino i tedeschi fino al 1943; ma nel loro eser– cito il gruppo primario esisteva davvero, come gli tudi di Shils e altri hanno mo Irato) non seppero mai introdurre « una guida morale >> entro le piccole unità dell'esercito. Le grandi organizzazioni da noi inventate, e ercito, bu– rocrazia statale, sindacati, non hanno mai acqui tato l'ela ti– cità e la respon ività ai bisogni umani, che pure ono neces- (1) I soldati, cioè <'oloro che non avevano un certo titolo di studi, dovevano ·viaggiare in acceleralo, 3l classe; non potevano frequentare certi locali pubblici e, in quelli non vietati, dovevano prendere gli ultimi posti; dovevano accettare compiti degrandanti, come « l'attendente scopa casa e fa la spesa "; dovevano sopportare re frizioni persino in fatto di compagnia femminile.
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