l’ordine civile - anno I - n. 2 - 10 luglio 1959
l'ordine civile turali dell'epoca, ma nello slesso tempo - cre– diamo - li superò con la forza ciel genio. el primo periodo della sua formazione la Duse respirò dunque l'aria verista del secondo ottocento, che nel teatro si profiìava più aper– tamente che nella poesia. e ~i maniEestava, pe1 ricordare dei nomi, nelle figure storiche del teatro ciel Cossa, o nei per onaggi umili ciel Bersezio e del Gallina, o nella prosa scarna del Verga. Tra il 1860 e il 1890, si venne formando tutta una poetica più o meno deli– beratamente opposta a quella romantica. E !_a parte più viva di questo teatro fu la rap· presentazione della media e piccola borghesia, dal realismo affettuoso delle « Miserie cli Mon– sù Travet». al verismo discreto dei « Tristi Amori», dei "Disonesti ». e della « Moglie ideale». Questo teatro verista, pur rimanendo in un ambiente tipicamente borghese, si muo– v'eva nel gioco raffinalo delle complicazioni d\imore: l'adulterio per un certo periodo in It~lia, come in Francia, ne fu l'argomen:o prin– cipale. Ed emblematica rimane « La Moglie Ideale» cli Marco Praga (1890). e la figura cli Giulia, complessa. sfuggente, fu attentamente studiata e mirabilmente resa dalla Duse. Comincia così nel teatro, come nella narra– tiva, quella che fu chiamata la disgregazione del personaggio. quella fine analisi psicologica dei sentimenti che rende i caratteri complessi e carichi cli ombre. I personaggi cli Gallina, di Praga, di Verga seguono, in vario modo, il passaggio dal disegno risoluto del Manzoni, alla dispersione. alla psicologia sfuggente di Bor– ·gese e dell'ultimo Pirandello. La fisionomia del teatro e del romanzo si viene profonda– mente alterando. il motivo ispiratore diventa uno stato d'animo, un problema interiore. E la Duse fu la voce che espresse tutti i· fer– menti che tormentavano e dividevano la psi– che moderna. Scavare il personaggio fino a toccarne il fondo, l'anima più segreta, rendere semplice con un gioco cli mille sfumature la complessità dei caratteri, fu l'arte grande di questa attrice. Sensibilissima agii impulsi ester– ni reeava in sè il tormento, le contraddizioni, le disillusioni dell'età in cui visse. Ma posse– deva -però il rarissimo privilegio della grande arte: la semplicità. le situazioni psicologiche più compie se e involute, filtrate dalla sua spiritualità, diventavano vere, perché profon– ·damente vissute e· sentite e come tali rappre· .sentate. Tutti avvertirono immediatamente èhe si trat– tava di un'arte nuova: finalmente la finzione aveva ceduto il posto alla realtà. Ogni sera sul palcoscenico era una creatura vera e reale che piangeva, amava, soffriva, e non una delle solite teatranti dai gesti convenzionali e dalle parole artificio·e e retoriche. Tutte le gamme del sentimento erano toccate con profonda umanità e portate a unità nella stessa per– sona. In questo modo la Duse, ci pare, capì, con la comprensione propria dell'arte la radice del suo tempo. Tra romanticismo decadente e po– sitivismo, un senso pieno della vita stava fi. nendo.; si iniziava l'ultima fase di una deca– denza dei valori morali e civili che - arriva ino a noi. L'« Italietta » degli ideali piccolo• borghesi, della fede nel progresso materiale e particolare, di una sicurezza in definitiva tutta esteriore, era contraddetta e vinta ogni sera che la Duse recitava. Perché, cousapc– volmente o no, essa portava a verità dramma• tica, a universalità, le contraddizioni che quella sicurezza, quella fede, quegli ideali tenevano in sè sopite. Essa portava in scopertura i pro• blemi dell'animo che quel mondo obliterava. Solo così, penso, e non solo con la sua capa– cità e sensibilità di attrice, si può spiegare co– me tanto spesso la Duse sia stata superiore al contenuto e alla qualità dei testi che rappre– sentava E se diciamo che la Duse rappresenta un "mito», lo diciamo non tanto per la sua mi– sura d'artist11, certo incomparabile, ma perch • ci sembra sia sfuggito a troppi spettatori c ,e il suo era anche una voce dello s1>i rito, una cl • nuncia morale~ una ricerca di vita piena, le– gata alle realtà più grandi. La sua vita lo confermerà, poi. L'incontro con D'Annunzio le valse, crediamo, sopratul• to come e perimento di dolore. Per mille mo– tivi. Ma forse in definitiva perché il suo cam– mino verso la profonditi, e la semplicità della vita veniva interrotto. Era in fondo il mondo slesso <'Oniro cui aveva rilevato il dran11natico vuoto, che si prendeva la rivincita. Contro gli uomini piccoli, chiusi nella quotidianità, di cui lei aveva mostrato il dolore naseosto e misconosciuto, l'uomo grande, l'eroe, il vate si palesava altrettanto povero, per il suo pirito. E la sua arte ne perse moltissimo. Solo negli anni dal 1909 al 1921, nella pace di Asolo, lontana dai rumori del mondo, la Duse dovette ritrovare di colpo quegli anni che sembravano perduti: in fondo al dolore presente e passato, vide per la ·-prima volta il volto di Cristo. E la Ùuse r·!1e-si presentò a"li >pettatori dopo dodici anni di silenzio fu una crealtHa trasparente, purificata nella serena ac– cettazioue del dolore. Aveva dovuto avere la seusazione cli perdere tulio per ritrovare in un punto tutto. Dalla fase ·verista, all'incontro dannunziano. al teatro di lhsen. E questo le dava certo maggiori occasioni del teatro verista, le occa– sioni di una parola <li un,versalità. E lei stessa ne sentiva, per sè, l'importanza, quando scri– veva: « Mi sono trovata sull'orlo dell'abisso. ho patito che mi sembra di morire, mi mi i a recitare Ibsen che mi risanò. Che lampi di luce sono venuti eia lui pur nei giorni, più duri E' lui che mi ha insegnato: rhe sia bella la fine n. In Ihsen trovava i temi stessi della sua giovinezza, ma su tutto un altro pia– no: il dramma tra la quotidianità piccola e brutale e la grandezza necessaria allo spirito. Ma fu capita anche in questo caso la Duse? Capita oltre il fascino della sua arte? Certo si avvertì che in lei e.ra un fatto importante, che in eguale misura non si ì, ripetuto fino ad oggi: il richian10 alla verità, ad una u,na– nità vera e grande, che l 'ar.te porla con sè e consegna a tutti gli uomini. GrcuoLA Tuccr I nuovi diabolici Da un anno a questa parte sta rifiorendo sui nostri schermi, fatturato per lo pii, dagli ingle– si per mercati americani o in proprio dagli stessi statunitensi, tutto quel tipo di film or– rifici basati sull'apparizione di qualche mo· stro, di qualche creatura del male, o addirit– tura del .-1 iavolo in persona. E' si rano veder rifiorire questa narrativa cinematografica di ge– nere, che pare incontri negli Stati Uniti una soddisfacente fortuna, proprio quando la si credeva completamente sconfitta dalla nuova serie« fantascientifica», che si era presa la cura di razionalizzare ogni fatto soprannaturale superiore alla ragione facendolo derivare da conseguenze alomiche o eia abitanti cli altri pianeti. Ecco che i mostri, i nuovi « Franke– stein" ci apparvero figli di altri mondi, qua– si sempre capitati sulla terra per caso o spesso anche per fini difensivi, per impedire che i terrestri potessero condurre a termine i loro minacriosi propositi di conquista spaziale, o ancora per impartire ai terrestri ( come l'« orni. no piccino piccino » della canzone) ammoni– menti di pace e di concordia. Il deus-ex-machi– na di un'altra serie di film di fantascienza era invece costituito dal malefico influsso delle ra– diazioni ,degli esperimenti atomici che desta– vano a nuova vita immensi mostri preistorici o sviluppavano enormemente uova di insetti e pacifici animaletti. Così lo schermo fu infestato pag. 21 per ·qualche tempo da calabroni, topi, scara– faggi, mantidi, tarantole, il tutto in propor– zioni macroscopiche. Anche i giapponesi im– pararono la lezione americana e ne dettero una loro versione in « Rodan, il mostro alato ». Come nelle vecchie favole di streghe, l'ad– clentellato « cliclascalico » risulta evidentissimo, la lezioncina morale è basata sulla tecnica del terrore: « stai attento a non far questo, altri– menti ti cade la casa addosso ». La casa è co– stituita cli volta in volta dal mondo che può autodislruggersi, se continueranno gli esperi• menti atomici («Assalto alla terra»), dall'A– merica che può veni re invasa se non si aumen– teranno le difese belliche («Invasione SA"), ccc. Per gitrngere ad alcuni film che riescono ad impostare, usando gli argomenti dei « per– suasori occulti», un'abilissima quanto psico– logicamente eHicace equazione fra i termini « tnarziano )J e « cornunista >>,. equazione che poi viluppano con una facile simbologia· che farebbe la gioia di uno psicanalista eia s_tra– pazzo: l'esempio cla ico l'abbiamo avuto ne « L'invasione degli ultracorp.i ». Per ·qualche: anno dunque avevamo creduto che questo nuovo· genere, la « fantascienza », fosse destinato a sosi-it1frrc, sia nel campo del– le pubblicazioni che in quello dei film, i vec– chi racronti cli, geni e di mostri suscitati dalle forze ciel- male, incarnazioni pariicolari della massima creatura malefica, il_ Demonio, ripeti– zioni popolari della storia cli Fa\)SI. Ma oggi evidentemente questa nuova mito– logia, razionalizzata e funzionalizzata nelle de– rivazioni didascaliche, non basta pii1. E risor– gono, per lo più sotto forma cli continuazioni o cli riedizioni ( ma ci deve essere un perché a guidare questa scelta) tutti quei classici del terrore che videro la luce fra Lon Chaney e Boris Karloff e che, a loro vo_lta, rappresen– tavano la ripetizione di suggestioni formali e di motivi esteriori che, legati da una coerente ideologia, erano stati propri dell'espressioni– smo tedesco. Come in lutti i film di genere, fabbricati su alcun•i filoni ideologici debolis– simi, ma coerenti e tradotti in schema, è pos– sibile individuare con chiarezza alcune idee– base sottese a queste storie popolari. na pri– ma: la scienza può progredire indefinitiva– mente nella comprensione dei processi delJa realtà. Tutta la realtà, nei suoi -intimi processi, può essere sromposta, analizzata. compresa in termini di scienza. E sino a qui siamo in pieno neo-illuminismo cli marca americana, cioè ritrovato attraverso una nuova fondazione « positiva » empiristico-pragmatista. Ma a un certo punto, ci dicono questi film, l'uomo deve fermarsi, altrimenti « fa male», crea i mostri, scatena le forze del male. Cioè dalla esteriore constatazione dell'impossibilità per la scienza a costruire la « felicità» deriva l'esteriore ne– cessità che « ci si formi » per non compro– mettere tutto. D'altro lato il male, e le forze che eia esso derivano, non sono entità meta– fisiche ma soltanto creature dell'uomo, o della natnra, o semplicemente della suggestione. Que– sta tesi assume portata paradossale nell'ultimo, per ora, film ,della serie, « La notte del de– monio». Uno psicologo americano non vuole credere all'esistenza ciel diavolo nè • al potere cli certi uomini di evocarlo. Alla fine un se– guito di avvenimenti precisi lo •convinceranno del contrario, e solo per una serie di provvi– denziali casi, egli riuscirà a salvarsi. Ma al– l'inizio ed alla fine di questo film una lapi– daria scritta ci avverte che, se in tutti i tempi alcune persone hanno creduto di vedere e udi– re il diavolo, ciò è sempre accaduto perché quando si vuol vedere qualcosa la si finisce per vedere, cioè per pura suggestione. Col che il regista (Jacques Tourneur) fa definitivamen– te sua la tesi dello psicologo « prima delJa cura ». E' chiaro quindi come alla base della stru► tura cli tali film si trovi un concetto pseudoil-
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