l'ordine civile - anno I - n. 1 - 25 giugno 1959
pa~. 22 cielo. Questa era la meta ultima, trascendente » (pag. 156f Riteniamo che con un po' d'attenzione sia possibile ad ognuno- rilevare la profonda ed esiziale •confusione che permea non già le pagi– ne di Doni ma i democratici cristiani che Doni ha colto dal vero prestando loro so-ltanto una veste letteraria. Nelle poche frasi che abbiamo riportato si ritrova tulio: la mancata distin– zione tra Regno e mondo che rende pagano e ateo nella sua sostanza certo « integralismo n democristiano, la subordinazione dello spiri– tuale al materiale mutuala da certo marxismo meccanicista, l'ignoranza assoluta delle compo• nenti ·morali e religiose della crisi che trava• glia la nostra società, l'attribuzione a un movi. mento politico, sia pure quello dei cattolici, di qualità sa-Jvi(iche e provvidenziali che la dottrina e l'esperienza della Chiesa st:mano proprie di tutt'altro ordine di realtà, la fusio– ne di religioso e politico, infine, in un paterac– chio elettorale che _rinnega Ja religione e sna• tura la politica (ma non c'è da meravigliarsi: non c'è accaduto di sentire affermare che la D.C. deve svolgere una funzione cli supplenza nei confronti della Chiesa?). E qui non vorremmo essere fraintesi: affer• mando la necessità della distinzione, netta e inequivocabile, tra Regno e mondo, fra slru• menti della politica e strumenti della Chiesa e sottolineando il 'Primato - in senso assoluto - dello spirituale sul materiale, non si vuol cerio negare i'esistenza di un patente e dolo– roso stato cli ingiustizia nella società, nè porrP. in discussione la necessità viva e profonda di una azione coerente e organica dei cattolici nel campo sociale, ma solo sostenere l'urgenza che ogni battaglia sia compiuta con strumenti pro• pri, senza confusione cli fini e di mezzi e r"i– rorclare che sarebbe davvero un bel risultato per i cattolici impegnati nella vita politica quello di smarrire il Regno ( che non dovrà ve• nire ma « è») per consacrare il mondo. Preci– sazioni che non sarebbero necessarie in tempi normali ma che ci sono sembrate, purtroppo, doverose visto che qualunque richiamo al si– gnificato ultimo del cristianesimo viene accolto roine un invito alla conservazione e alla rea• zio·ne sociale. Nel libro di Doni -è narrato anche il pro• fondo contrasto fra De Gasperi e Dossetti o me– glio: quelle che la massa dei democristiani ha ritenuto fossero le ragioni ciel contrasto Era il defunto uomo di Stato e il novello sacerdote. Anche qui qualche citazione gioverà più d'ogni nostra parola. Siamo nella sede del gruppo parlamentare D.C. mentre parla l'on. Marini ( Do,setti) che, dopo essersi ribellato alle ragio– ni ciel bilancio sostenendo che il sociale deve prevalere sulla necessità aritmetica di far qua• drare le uscite con le entrate, dice fra l'altro: « Siamo usciti da una. tragedia che ... ha matu– rato i nostri spiriti, insegnandoci a vedere e a giudicare tutto, nessuna cosa esclusa, sollo .iÌ profilo della Grazia. Questo, e questo soltanto significa il nostro integralismo -cristiano. Que• sta ,questione d'oggi, come tante altre, è hen lungi dall'essere soltanto una questione cl i tec– nica e ·di metodo: è anche, e sopratutto, una questione di fede e -di carità. Abbiamo noi il coraggio, che dico, il sentimento, cli considerar– la tale'? Vogliamo applicare anche alla vita sociale, come è logico e necessario, la promes· sa contenuta nel discorso della Montagna? ... Oltre questo dovrei ricordare anche un altro ammonimento evangelico che dice: « A chP val conquistare il mondo se poi si perde l'anima? ~ che, tradot.to in termini moderni (sic!), no• stri, suona -così: -a -che serve acquistare, man– tenere il potere politico, se poi non riusciamo a improntare la vita sociale -delle nostre virtù e del nostro stile? » ( pag. 206-207). Il protago• nista del romanzo esporrà poi così agli amici deHa $Ua sezione la tesi di -Dossetti e la repli– ca (piuttosto banale, in verità) di De Gasperi: '-' « Gli uni ( i degasper-iani) pr-eoccupati di e-rgere un~ barriera frontale al pericolo estremista, gli altri ( i dossettiani) desiderosi di prender de• cisamente l'iniziativa per rompere il circolo vizioso nel quale tutti quanti ci dibattiamo». ( pag. 263) Non c'è bisogno di ricordare come le posi– zioni di Dc Gasperi e di Dossetti fossero ben diverse da quelle. esemplificate in « Sezione S. Spirito »: ma rimane il fatto che· i demo• cristiani così le intesero e che tutt'ora in que• sti termini è aperto il dissidio tra le correnti della D.C. Anche se la polemica sulle formule e sulle combinazioni governative sembra dare un diverso contenuto alle varie posizioni ideo· logiche ( ma non è possibile eh iamarle così?) la sostanza, è la stessa. E' il vecchio equivoco del mounierismo che ritorna e si fa più insistente, è il confondere i poveri evangelici con i proletari in una iden. tità distorta e fallace, è il ripetere esperienze pre~degasperiane, un riandare 21 di là dello « storico steccato », è l'equivoco di certo lapi– rismo che nella pretesa di Fonùere trono e al– tare coltiva l'illusione - quanto deleteria - di poter cristianizzare le masse -battezzando le strutture economiche e sociali. è la religiosità classista cli chi pensa che la Chiesa sia soltanto degli operai e dei contadini dimenticando che non per ceti e categorie produttive siamo ama• ti e saremo giudicati, è un monrlanizzare il Re– gno nel tentativo di divinizzare il mondo, è il credere che il lavoro sia un fine e non un mezzo, che la politica e ·l'economia abbiano scopi che toccano il soprannaturale e lo di• storcono a immagine degli odi e dei clamori degli uomini, è l'attribuire alla scienza del possibile un valore quasi sacramentale, è un ritorno. infine, di orgoglio luciferino che, am– mantato, in buona fede, di buone intenzioni, semina dubbi e incertezze tra i cattolici senza arric,·hire la loro coscienza di un centesimo S'è ac-cennato aj cattolici: e gioverà distin• guere tra coscienza e opinione cattolica. Giac– chè se è l'opinione cattolica che fino ad oggi viene sconvolta e fuorviata. non vorremmo che fosse la coscienza cattolic~ a dov~r pagare i danni - in questo caso irreparabili - di cer– to «integralismo». Questa dolorosa prospetti• va rende necessarie e urgenti revisioni che, d'altronde, già da tempo sono nell'aria: e più di tutto vanno riviste le posizioni del-la cosid– detta sinistra cristiana che se. hanno avuto una giustificazione storica non vanno certo assolu– tizzate come da più parti si pretende di fare creando un nuova « Summa » che parte da Mounier, e passando per Bernanos arriva al– l'on. La Pira. E' un lavoro necessario e che tanto più è utile quanto più appare angoscian• te - per la nostra stat-ura di uomini deboli e inermi - la prospettiv.a di passare per rea• zionari dinanzi a coloro che scambiano la de– stra e la sinistra i~ Italia per la sinistra e la destra di" Dio. R. M. * BLANCHET, La littérature et le spirituel, Aubier• Montaigne. 1959. Un titolo quale « La littérature et Je spiri• tue] » posto in cima a un libro •di un padre gesuita francese non è fatto per ispirare la massima fiducia in chi stia per leg-gerlo: ven• gono in mente i grossi limiti di alcuni am• hienti culturali francesi, come per esempio· le confusioni tra l'apologetica e la critica lette• raria, o tra l'indagine analitica dell'opera d'ar– te ( di derivazione positivistica) e la causerie ( di derivazione primo-novecentesca, anche -bérg• soniana). Confusioni e contraddizioni -che so· no insite nella fermentante e irrequieta cultura francese,- dalla quale ci si aspetta sempre, come prodotto tipico, il saggio penetrante e vigo• l'ordine civile roso, scarsamente preoccupato di inquadrarsi in schemi teorici /precostituiti. Ora, questo volume del padre André Bian– che!, edito da Aubier-Montaigne tre mesi fa, raccoglie i saggi già in gran parte pubblicati sulla rivista Etudes. Messi insieU::e in volume, rivelano una continuità notevole, se non una vera e propria organicità. La prefazione al vo• lume, scritta dal padre Henri De Lubac, contie– ne alcuni chiari accenni a quelle che potreb– bero definirsi le « parole d'ordine» dei cattolici di sinistra francesi. Ne riportiamo alcune righe: « Il padre Blanchet fa prova di libertà, ovvero di ardimento spirituale. Non si. perde a difendere, con il pretesto della cultura o della tradizione, i valori convenziona– li de!J-'altro ieri o di ieri». E ancora: « Egli non giudica mai l'uomo, e la sua severità non è mai senza speranza. Egli non rinuncia mai a trovare nell'altro quel punto di accordo, a partire dal quale potrebbe stabilirsi un rap– porto, in vista di uno slancio comune. Ne ri– sulta una critica, che senza conceder nulla all'impressionismo, non è tuttavia, come si suol dire, dogmatica. Nulla vi è giudicato sulla base di elementi esteriori -e secondo un canone pre• costituito». Sembra dunque che il libro possa essere considerato una di quelle armi intelligenti, che messe in mano a increduli sensibili al ri– chiamo religioso, o lette in qualche circolo di apologeti letterati, possono dare buoni frutti nell'opera di recupero degli intellettuali « lon– tani », o nel mettere in evidenza ogni elemen– to buono che in quei « lontani » equfrale senza altro ad un battesimo di desiderio. La posizio– ne del critico risulterebbe in tal modo alquanto squilibrata, e la sua opera cli persuasione avreb– be risultali illusori. Giunto su queste posizioni il critico sarebbe cioè pronto non tanto ad in– dagare, la realtà, a vedere la verità e a dire quindi quello che ha visto e solo quello che ha visto, ma sarebbe pronto piuttosto a carpire, e di necessità ad ingrandire - anche per il semplice fatto di isolarlo - ogni elemento del– la realtà che possa adattarsi al suo proposito. In realtà, il libro del padre Blanchet è piut– tosto diverso da come lo si può immaginare. Un equilibrio di giudizi e di stile corre per ogni pagina, nutrito, soprattutto, sembra, da quella cordialità e bonomia che nasce quando la maggior parte degli scrittori presi in con• siderazione sono o sono stati conosciuti perso– nalmente dall'autore. Certo, le p 0 agine sulla conversione di Max Jacob sono un esempio non soltanto di buona prosa, ma anche di acuta e convincente causerie letteraria. Max Jacob non diventa, infatti, il protagonista passivo di un travisamento critico, come può accadere specialmente quando si par– la di conversioni e di convertiti al cattolicesi– mo. La -sua bizzaria rimane intatta, i chiaro– scuri della sua personalità vengono fuori· senza molte concessioni alle necessità di devota edi– ficazione per lettori colti. Tutto quello che tale tipo di critica lette– raria può averè di positivo è però affidato più all'estro e ad un'intuizione episodica che non ad un preciso criterio di indagine. Sono molte le zone che rimangono in omqra quando que– sto ·tipo di critica da artista non riesce a tro– vare immediatamente il suo bersaglio. E' ab– bastanza sintomatico il fatto che il saggio su « André. Gide e i cristiani " non indichi la con– seguenzialità tra il primo Gide e l'ultimo; e in tal modo, non individuando nella prima ma– niera religiosa gidiana le radici della poste• riore opera immoralista; fa in modo che, ilO• me da un sillogismo impostato male, non veng_a fuori- la verità: o se viene fuori, è solo in virtù della esteriore forza di persuasio,:.e, o. megli~ del decoro artistico, 1>ropri della discorsività dello stile del Blanchet, La labilità di un siffatto modo di critica ap• pare più accentuata quando, an~lizzando la
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