Nuova Repubblica - anno V - n. 42 - 20 ottobre 1957

(185) nuova repubblica Atti,,ità governativa di fronte alle scadenze ( Di<f, di D/110 Bo.,,;hi) I LUCI UELLA RIBAJ,rJ'A I l' IMPEG~O DEL REGIST 1' V I SONO STATI periodi storici in cui un regista po– teva dilungarsi a ricercare come mettere in scena una determinata opera. Ma oggi .non ci si può sottrarre a gravi e assillanti questioni quando si abbia coscienza di un compito cul– turale nel senso vero del term1ne, teso cioè ad indi– viduare la coscienza e quindi l'atteggiamento necessario jn un determinato momento. Più ancora del creatore vero e proprio, questo senso di responsabilità investe quel mediatore di cultura che p•uò dirsi in modo tipico il regista teatrale. Al regista teatrale, nel suo ambito, spettano precise scelte, spetta l'imprimere determinate direzioni, in altre parole di prendere partito tra le tante alternative che ci assillano e che possono, nelle ·svolte critiche, farsi questioni di vita o di morte. Oggi più importante del come, deve dirsi il perchè. Lo stesso abbandonarsi a una indifferenza creativa co– stituisce una scelta. Non è nuovo quello che affermo, ma lo ripeto coscientemente perchè ciò mi appare indiscu– tibile proprio al rigy.ar.do del regista in genere (questo personaggio-chiave, me lo si lasci dire e non senza una punta di rammarico e di grave preoccupazione, del no– stro mondo moderno) e naturalmente del regista tea– trale, il cui lavoro, compiendosi sempre su di un testo, affronta per forza di cose complesse situazioni intellet– tuali. Perchè, dunque. Lo faremo ~eguirè anche dal come, doverosamente, ma questo come non potrà assolutamente prescindere dalle situazioni pratiche in cui si è dovuto agire, apparirà strettamente collegato ad esse. Dopo avere per qualche anno diretto le tendenze nel– l'ambito delle più avanzate esperienze teatrali europee - purtroppo, a causa del fascismo, conosciute solo attra– verso scritti critici - venne anche il momento di com– prendere che il compito del regista non poteva esaurirsi nell'esplicare un certo talento immaginativo a proposito dei testi più svariati capaci di sorprendere e interessare il pubblico (esperienza reinhardtiana), facendosi· guidare unicamente dal deslderio di successo, legittimo senz'al– tro, ma che non può essere unico motivo (come appare invece nella maggioranza dei casi al regista di mestiere). D'altro canto, il ricercare nella tradizione teatrale testi a sé congeniali, classici ma di particolare attualità (espe– rienza Craig ed Appia, e in fondo Copeau), poteva soddi– sfare solo in parte. Si finisce pei· cadere nel gusto della archeologia, della rarità, oppure del forzato aggiornamento. Rimane una terza strada: nutrendo un proprio pensiero da espri– mere, ricorrere a quei testi, antichi o moderni e con– temporanei, che meglio possano aiutarci ad esprimerlo (esperienza Piscator e Meyerhold). In verità, un pro– pdo pensiero non lo si può esprimere che con un proprio testo. E' utile fornire un'analisi critico-storica dei testi attraverso una regìa. Per questa strada si può anche giungere a risultati interessanti: ma forzatamente prov– visori. I tentativi si esauriscono in pochi anni; così av– venne difatti a Piscator e a Meyerhold. Nel Teatre d'Arte di Stanislavskij e Dancenko - anche se tanto del suo sistema non ci sembra oggi ac– cettabile - venivano conciliate diverse esigenze. Si lan– ciavano e si facevano sviluppare autori nuovi - ed erano Cecov, Gorkij - mentre si completava il reper– torio con classici inediti o da interpretare in modo nuovo, o con qualche dramma straniero di particolare interesse. In verità, nella nostra situazione attuale, italiana, si ha bisogno soprattutto di autori. Compito del regista mi appare quello di 1·ilevare e suscitare nuovi autori, qua- lora non sia egli stesso autore. Naturalmente, compito principale, non il solo. Il più urgente, appunto perchè il più negletto. Ma quali autori? Non è un mistero che un divario abbastanza largo separa gli autori italiani (mi riferisco sempre al teatro in lingua) dai nostri più qualificati registi. Un divario di stile, di -gusto, soprattutto di interessi' umani. Il fascismo aveva lentamente ma decisamente stor– nato gli autori italiani dai maggiori interessi storici e sociali. Al tempo stesso, a causa del grave diaframma che nel nostro paese separa la letteratura vera e propria dalla letteratura drammatica, si erano perse, anche nei propositi, ogni ricerca di stile, di linguaggio, di espres– sione. Ai gfp:\l_ani educati come me dç1.l verso di Unga– retti o di MoÙfale, dalle esperienze di Gide, Joyce, Proust, Thomas Mann, e poi condotti per la mano da Apolli– naire, da Bréton, da Artuad, da Brecht, da Maiakowskij, da Pasternak, il normale autore italiano doveva apparire per forza del tutto estraneo. Eccoci di fronte al deserto: oppure, di fronte alla necessità di costruire sulla sabbia. D'altro canto, crollato il fascismo, non si poteva sperare in una immediata fioritura. L'autore teatrale è un frutto difficile. Occorrono lunghi anni di libertà e di pensiero, oltrec:tiè di favorevoli occasioni pratiche, perchè possa venire a maturazione. Un'ideologia· bminante lo soffoca. Ciò è avvenuto in URSS da quand0 Maiakowskij si sui– cidò, fino ad oggi (si trattava di una ideologia oppri– m"ente, ma a cui non mancavano risorse storiche). Ciò non poteva non avvenire in Italia dove, dopo trent'anni di un certo dominio ideologico - chiamiamolo neo-idea– lista, per intenderci - si doveva, dal 1948 acf oggi, e forse a domani ancora," ricadere sotto il dominio di un'antica ideologia, qui ben lungi dal rinnovarsi e dal rinverdire come, ad esempio, nella cultura francese, forse perchè legata al potere temporale in modo così diretto. Non ul– tima conseguenza di questa situazione è stata - già nell'epoca fascista il processo si era ·andato catalizzando - Ja completa direzione dell'attività teatrale assunta dall'apparato statale in forma -più o meno aperta. Ci si è trovati nella situazione per cuj non solo non esistev:ino autori teatrali al cui spirito ci si potesse collegare, ma si doveva constatare obiettivamente che essi non potevano esistere, come in un deserto non può crescere una pianta a causa delle condizioni di vita del nostro paese, ostili a qualsiasi espressione dl libertà che trasbordasse dal ristretto ambito del libro. Si potrà osservare 'che avrebbe potuto nascere anche nei tempi più oscuri del .fascismo un Montale del teatro, segnacolo di libertà e di dignità nella sventura coITle lo furono le «occasioni». l\1a qui sta il dramma dell'autore teatrale: di non potersi formare che gradatamente, in base agli insegnamenti che riceve dalle rappresentazioni di sue opere, avanzando di espe– rienza fino a concretare un'opera compiuta. Non potxwa esistere, e se fosse esistito sarebbe stato soffocato, l'autore. A che cosa si riduceva quindi l'opera del regista? Ecco un impasse, da cui, per forza di cose, nessuno poteva uscire. Eppure bisogna lavorare in questo senso, rinunciando a risultati ambiziosi, in favore di una gradualità, di una ricerca, che controlli o metta in luce gli elementi positivi. Cogliere ogni occasione di libertà, per farla tradurre in creazione drammaturgica, aver fiducia nelle possibilità insite di un autore, stimandone le doti di osservazione e di meditazione. Il regista può e dev'essere la mano che guida, sostiene e lascia poi libero il nuovo autore, con sicura fiducia, persino con un eccesso di ottimismo. VITO PANDOLFI 7 • BIBLlO'l'ECA * SOCIALISMO E AUTONOMIA I L RIPENSAMENTO tutt'ora in corso di molti dati - ~rima intangi~ili _- della politi_ca socialista in Itaha, annovera anche un contributo di ispira1Jone dichiaratamente a-marxista nel recente saggio di Ludo– vico Actis-Perinetti (Socialismo e . autonomia, Milano, ed. Comunità, 1957). -L'autore, giovane studioso di pro– blemi filosofici, dichiara sin dall'inizio di voler dimo– strare « che non ci si può rifare all'ideologia quando entrano in crisi i metodi sin qui adoperati, e che non ci si può chiudere nel rnetodologismo quando entra in crisi l'ideologia >>.Anche per lui, quindi, « il come si opera incide sui risultati a cui si può giungere, e il fine per cui si opera postula esso stesso, nella misura in cui è valido, il metodo necessario per conseguirlo». Gli stessi problemi, in sostanza, dentro i quali si è aggirato - tra gli altri - il più noto con tributo del Guiducci. Scrivendo delle << prospettive di fondo», egli cerca innanzi tutto di fissare alcuni dati certi sulla odierna evoluzione del « fenomeno capitalista », caratterizzata da una più ampia articolazione di rapporti tra organizza– zione produttiva e istituzioni statuali, in modo che la democrazia puramente parlamentare, già forma tipica della 'composizione degli interessi nella società capital– liberistica, blocca ogni possibilità di soluzioni che non siano « centralistiche e burocratizzate>>. Di qui l'esclu– sione obbligata di molte vie tradizionali dell'azione po– litica, quali il socialismo massimalista pre-leninista 11 in– capace a ragionare in termini di stato », il leninismo « impossibile laddove il capitalismo si è già affermato», il libel'ismo economico << tramontato con la fine del pe– riodo concorrenziale», l'interclassismo corporativo che « s'ilJude di poter fermare un certo moniento del proces– so di sviluppo politico-economico», il riformismo « pr1vo di prospettive istituzionali », il classismo « rovesciato» dei conservatori anch'esso incapace di parlare in termini di stato, e infine il radicalismo « moralistico>> inteso alla « difesa astrcitta dei diritti » prescindendo da organiche visioni di politica economica e di azione istituzfonale. • La conclusione è che occorre (< prevedere un nuovo modo di esercizio della vita politica in cui non esistano i modelli tradizionali dei partiti fondati su loro proprie filosofie, ed in cui razione politica si esprima piuttosto attraverso determinati enti ed associazioni suscettibili di federarsi per condurre alcune battaglie politiche che si chiameranno col nome preciso del problema da cui trarranno origine >>.Che poi per prefigurare « i luoghi organici, le dimensioni in cui potranno svolgersi le lotte politiche» ci si richiami alla costruzione comunitaria del- 1'O1.ivetti, ciò non fa che alimentare i dubbi sulla validità delle conclusioni dell'autore, al punto da chiedersi se, pur partendo da presupposti analitici difficilmente eccepi– bili, non sia incorso anche lui i,p queJla curiosa sordità propria dell'ideologia olivettiana, verso il momento più squisitamente poiitico, che è rapporto non soltanto di « luoghi >>e di (< istituzioni>>, ma anche e soprattutto di vere e proprie (< concezioni del mondo>>. Diversa impressione suggeriscono, invece, gli altri ca– pitoli del volume, dove le considerazioni sui compiti delle forze storiche socialiste, sull'attualità del principio di autonomia, sul problema dei tecnici e sulla «apertura>> del marxismo, rivelano assai più sicura matur_ità. Infatti le asserzioni dell' Actis-Perinetti sulla neces– sità di una riorganizzazione della cultura marxista con– cordano solo apparentemente con quanto va sostenendo da qualche tempo, per esempio, il Guiducci, anche se proprio a Ragionamenti cui il Guiducci appartiene viene tributato ripetutamente il consenso dell'autore. Il con– senso, infatti, si limita alla volontà di rinnovamento e di apertura e al rifiuto dell'antitesi leninismo-revisioni– smo « classico » che quegli orientamenti manifestano, mentre, per il resto, non si omette di sottolineare come tentativi del genere procedano troppo spesso << all'interno -di divisioni di fatto>>, istituzionalizzate dai marxisti in separazioni fatali e non valicabili. Aggiunge, opportuna– mente, l'Actis che « non si può poi trascurare - poco marxisticamente - le reali condizioni dell'attività cul– turale italiana e non fare nemmeno un accenno alle pos– sibilità di incontro cor. quelle forze che, non marxiste, conducono da tempo m:a battaglia per rendere possibili proprio quegli esiti plul'alistici, autonomistici e non pre– giudizialmente poìemici verso cui ora s'orienta lo stesso marxismo». Il rifiuto, quindi, deJl'impalcatura culturale a sé stan– te, strettamente orientata sul piano ideologico e n.o-n po-– litico - vera e propria chiesa unitaria marxista - che alcuno pare vagheggiare, di fronte ai partiti classisti in– tesi come regni .secolari - è abbastanza preciso: la cul– tura ha bisogno di org~nizzarsi, ma questo dovrà avve– nire in una pluralità di strumenti, più o meno politici, capaci di stabilire legami organici tra pratica e teoria, tra azione e ricerca, ma non per questo volti a circo– scrivere arbitrariamente la cultura nell'uno o nell'altro versante dello spartiacque politico nazionale. GIULIO CHIARUGI

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