Nuova Repubblica - anno V - n.32-36 - 8 settembre 1957
(175-179) nuova repubblica XVIII MOS'l'RADJ~L CINl<J~(A 1-'A 1 1 ,()RZA DEI PRODUTTOltl VENEZIA, l settembre V ERAMENTE sconsolante il bilancio di questa prima settimana deJla XVIII Mostra d'ai1e cinematografica di Venezia iniziata il 25 agosto. La situazione si può sintetizzare in questi termini: due film, I selvaggi e La storia di Esther Costello, al disotto di ogni limite di de– cenza; altri due, lo spagnolo e lo jugoslavo 1 visibili, ma privi di sostanziali requisiti artistici; un'opera di onesta fattura (Q'Ualcosa che vale}; il giapponese Carrozzina per bambini dal soggetto interessante reso monotono da uno svolgimento inadeguato; un film notevole, anche se disu– guale e frammentario, come Vittoria amara. Certo, al momento in cui scriviamo, devono essere ancora proiettati i film più attesi, come quelli di Visco,nti, Kurosawa, e altri, ma a noi interessa il liveUo medio delle ·opere in concorso, non il film ecceziona]e ,di registi ormai affermati e sui quali si può giurare a scatola chiu– sa, anche a rischio magari di prendere una solenne de– Jusione. In fondo, la stessa edizione disgraziata del 1955, che provocò dopo una serie violentissima di critiche H totale cambiamento dei quadri direttivi, ebbe il suo Ordet che pure non va.lse a salvarla. Ci siamo troppo fidati della promessa, che la dire– zione aveva fatto, forse troppo avventatamente, di non proiettare più te: bufale » sullo schermo del I Lido e ora se ne stanno scontando le conseguenze con una reazione che certo in altri tempi sarebbe· stata meno forte. Si dirà, e sta diventando un luogo comune, che i ri– sultati definitivi di cambiamenti rivoluzionari, come quelli che si sono avuti nel regolamento della mostra, si po– tranno valutare appieno solo dopo un certo tempo. Que– sto poteva essere detto lo scorso anno e lo dicemmo. Il fatto è che, invece di registrare un miglioramento, le cose sono cambi.ate in peggio. Anche i fi.Jm più maltrattati del 1956, come l'Orco di Atene o Dietro lo specchio sono quasi dei capolavori rispetto ad alcuni film di quest'anno. Viene naturale una domantla. Che funzione e che po– teri ha avuto la commissione selezionatrice se ·è stata costretta ad accettare film come I S2lvaggi? Lo scorso anno uno dei membri della stessa. Fernaldo Di Giam– mat"tco, scrisse un libro per raccontarci del suo lavoro ed era una storia già abbastanza istruttiva di compro– messi e di rinuncie. Se quest'anno lo stesso autore od un altro volesse riprovarci - ma crediamo proprio che nessuno lo farà - avremmo probabilmente la storia di una non-attività, non potendo credere, per la stima che por– tiamo almeno ad alcuni membri della commissione, che essa abbia svolto un lavoro esattamente contrario al do– vuto andando a cercare col lanternino le opere più sca– denti non solo sul piano artistico, ma anche, più modesta– mente, su quello artigianale. Sono dunque confermate le voci che conevano all'ini– zio ci.rea una completa resa incondizionata degli organiz– zatori di fronte ai voleri dei produttori. Che significato dare altrimenti alla presenza alla mostra di un film come queUo presentato dal Messico? Non è a sproposito che le clausole, tenute segrete, dell'accordo firmato nel mag– gio scorso a Cannes fra la federazione internazionale dei produttori e la direzione del festival (accord'o che chiu-· deva il period0 del1a ((guerra fredda» inaugurato lo scor– so anno), abbiano previsto non solo il numero minimo delle nazioni affiliate che devono essere presenti (10), ma abbiano anche 'indicato quali devono essere. Se, quindi, la presenza dei produttori inglesi poteva essere giustificata in base alla loro potenza sul mercato europeo (ed essi hanno anzi voluto stravincere: l'aver im– posto il loro più grosso e scadente lavoro commerciale costituisce un autentico schiaffo a1la direzione della mo– stra, rea di aver mostrato propositi troppo audaci net– l'edizione dello scorso anno, dagli inglesi sdegnosamente disertata), quella del Messico si comprende solo in base ad accordi come quelli esposti sopra e quindi in base a ragioni di equilibrio internazionale. Il gioco era ormai molto semplice: le nazioni prescelte dal «trattato» di Cannes hanno presentato ai seleziona– tori un solo film o nel migliore dei casi due o tre,' vin– colando però la commissione all'ordine di presentazione. Di tutti i saggi propositi di rigore artistico è rimasta solo l'apparenza: dietro di essa i produttori continuano a imporre film che non hanno nulla a che vedere con una competizione artistica. Essi hanno così preso due piccioni con una sola fava: fanno ugualmente i propri comodi come prima e peggio di prima e contemporaneamente riescono a dare ai loro film una patente di dignità, dato che in una rassegna «. selezicnata >> è titolo di merito ndn solo riportare dei premi, ma ary.che solo partecipare. Non sappiamo pe~ò alla lunga quanto questa dimostra– zione di forza e di furbizia possa giovare q.i produttori stessi. E' un !atto che dopo l'avvento della televisione la crisi del cinema non è più soltanto limitata al fatto qua– litativo, ma anche al fattore pubbltco. Le recenti stati– stiche pubblicate dalla SIAE sulla frequenza nelle sale cinematografiche indicano una notevole tendenza alla di– minuzione anche in Italia, come si era già verificato da anni in altri paesi (vedi gli Stati Uniti). Ed è Jogico che sia così: banalità per banalità si preferisce, specie d'in– verno, restare a vedersele nel tepore della propria casa. Il ., vizio" nazionale degli italiani non è più ormai il ci- {Di!l. di Dino lloschì) ATTRICJ MADRI - Ora tutto è funzionale nema, ma la televisione. La base di una ripresa - ci sembra - sta allora nei buoni film, nei film impegnati sul piano artistico e non commercialmente conformisti. Compito di una mostra d'arte cinematografica sarebbe pr0- prio quello di selezionare questi film e di imporli all'at– tenzione del pubblico affinchè 1 attraverso di essi, il pub– blico stesso riprenda amore per il cinema e vinca la pi– grizia che lo blocca davanti al televisore. Dovrebbe es– sere in sostanza proprio nell'interesse dei produttori fa– vorire questo genere di competizioni rigorosamente arti– stiche, anzichè crear loro difficoltà di ogni genere. Ma della validità di queste considerazioni si accorgeranno soltanto il giorno in cui l'artificioso castello di cartape– sta sarà crollato sulle loro teste. In questa situazione è già ,lecito affermare, come va facendo qualcuno, che tanto vale tornare alla mostra di trenta film, che almeno consente una ben più vasta in– ternazionalità e pone sullo stesso piano tutte le nazioni, evitando che alcune di esse (Polonia e Ungheria) conti– nuino a meravigliare nella sezione informativa (che si svolge quest'anno a lato della mÒStra « gran.de » e che, almeno per ora, ha dato opere di ben maggior levatura) e altre, come la Germania, la Svezia e la Cina, se ne re– stino compf~amente assenti da Venezia. Ma su tale arger mento torneremo alla fine della mostra. I film presentati in questa prima settimana non me– ritano veramente un lungo discorso. Lo spagnolo Un an– gelo è sceso a BrookLin è un tentativo del regista Vajda di ripetere, usando lo stesso protagonista Pablito Calvo, il successo commerciale di MarceUino. Non crediamo che ci riuscirà: il film è senz'altro meno abile e inoltre privo del. patetico finale che tanto fece commuovere gli spettatori meno esigenti. Un'opera banale. L'jugoslavo Soltanto degli uomini di Branko Bauer h·a introdotto per la prima volta in çìuesto festival il per– sonaggio di un minorato fisico. La storia dell'amore fra una cieca e un ingegnere privo di una gamba poteva pre– starsi a una vana retorica. Il film se ne salva per tre . quarti, ma poi precipita in un finale troppo ottimistico e in contrasto con la sottile amarezza delle prime scene. Un film onesto, ma che non ha mantenuto appieno le promesse della vigilia suscitate da un nome come quello del regista Richard Brooks, è invece Qualcosa eh.e vale (Stati Uniti). Il film, ambientato nel Kenia, tratta deJla lQtta condotta dai Mau-Mau contro i coloni iÌiglesi. Ma il non aver saputo affrontare nei suoi reali termini il pro– blema del colonialismo, che a torto può essere ridotto alla sola questione razziale, nuoce al vigore drammatico e al mordente -dell'opera, pure nobilitata dal messaggio fi– nale, un appello alla rec.iproca tolleranza e alla convi– venza. Il film migliore di questa prima settimana è senz'altro, Vittoria amara, diretto da Nicholas Ray e presentato dal– la Francia solo per ragioni di capitale, trattandosi di una coproduzione i cui elementi principali - dal punto di vi– sta del cast tecnico - sono ainericani. Raccontando la sto– ria di una pattuglia inglese dispersa nel deserto libico dw·ante l'ultima guerra (ma l'ambientazione è in fondo casuale: a Ray non interessa tanto una vicenda e tanto meno storicizzarla, quanto una condizione umana, quello di un gruppo di uomini davanti alla morte, in un am– biente, il deserto, che si presta meravigliosamente a espri– merla visivamente), il regista americano si dimostra in possesso di uno stile proprio, fatto di immagini violente e allo stesso di una raffinatezza che rasenta quasi il de– cadentismo. 11 messicano I s_elvaggi e l'inglese La storia di Estlier Costello sono due ignobili polpettoni e basta. Quanto al giapponese Carrozzina pe1· bambini; una re– gìa priva di talento poético e di forza drammatica, quale quelJa dell'anziano mestierante Tomotaka Tasaka, ha sciu– pato un argomento che poteva dar vita a un interessante indagine stùla borghesia giapponese: una classe e un am– biente che le opere della cinematografia giapponese a noi note avevano fin.ora ignorato. Il film si mantiene comun– que su un piano decoroso. CLAUDIO ZA,,,,CJU UNA 'l'RAGJmIA DI MOltAVIA BEATRICE (~ENCI di SERGIO SURCHI 7 D UE ANNI (a la compagnia Ricci-Magni-Proclemer– Albertazzi, dopo aver rappresentato in vari paesi del Sud America la nuova tragedia di Alberto Mer ravia, Beatrice Cenci, toglieva al suo ritorno in patria il lavoro dal repertorio, per ragioni che non si sono mai potute conoscere chiaramente. Il testo, pubblicato in Bot– teghe oscure nella sua versione definitiva (era stato scrit– to e riveduto più volte: lo scrittore stesso afferma di aver fatto non poca fatica), rimaneva così non rappresentato in Italia: dove, come è noto, la produzione drammatica è stata in questo dopoguerra - tranne rare eccezioni - di un livello deprimente, incerta, monotona, tecnicizzata 1 ma soprattutto legata a un cliché estremamente conven– zionale, nel quale sono ben lungi dal· confluire i temi del– la vita italiana di questi anni. In una zona depressa dove molto augurabile è il contributo di veri scrittori, di uo– mini dagli interessi molteplici, contro lo squallido arti– gianato dei mestieranti, si verificava dunque l'assurdo di un difficile o impossibile contatto materiale fra un testo di Moravia (fosse pure un'esperienzn, fosse pure un la– voro discutibile) e il palcoscenico. Apprezzabile anche sotto questo aspetto deve essere perciò considerata l'iniziativa di Vito Pandolfi, che in que– sta estate ha portato in scena la Beatrice Cenci in vari teatri all'aperto, accolto con la sua compagnia da enti o istituti locali (prima a Senigallia, pol a $an Gimignano, al Teatro romano di Fiesole, ecc.), per far conoscere an– che a pubblici italiani, e sperimentare anche sui nostJ'i palcoscenici, quello che può considerarsi il primo lavoro esclusivamente teatrale del romanziere romano. Si ricor– derà a questo proposito che i lavori precedenti di Moravia (Gli indifferenti, La mascherata) derivano dai rom:mzi omonimi, e che da uno dei « racconti romani» era tratto un breve atto unico compreso nella serie delle cosiddette <(quindici novità» che nella penultima stagione furono presentate in molti teatri italiani. La fosca vicenda cinquecentesca è esposta nei tre atti con rigorosa oggettività~storica. La congiura che, alla roc– ca della Petrella .in Abruzzo, portò alla fei-oce uccisione di Francesco Cenci, padre mostruoso e uomo crudele, è ricoslruita con scrupolo. La figlia oltraggiata organizza la sua vendetta insieme ai complici - il castellano Olim– pio Calvetti, Marzio maestro di chitarra e la matrigna - in nome di una (< innocenza » che deve difendere; e que– sta innocenza proclamerà anche alla fine, quando tutti i colpevoli saranno arrestati alla vigilia della grande in– chiesta, aprendo si può dire un'altra inchiesta, più fonda, sulla parte che ella dovette sostenere nella scellerata ster ria d'una fa miglia che si avviava alla distruzione. Basterà ques.to accenno per far capire come, pur fra le maglie di una ricostruzione fedele agli avvenimenti che precedettero la celebre cronaca giudiziaria, si possa stabilire una tensione nuova, moHvi moraviani possano intuirsi - pur se la loro affermazione non sarà decisa - da un capo all'altro della tragedia. Altro «motivo» sarà la nausea di vivere del Cenci, la viziosa noia che finirà per essere anche il sapore d'ogni suo pasto. Fra i temi che possono dare una carica diversa, se non una diversa dimensione, ai personaggi, ci piace però rilevare, parti– colarmente, l'affacciarsi di una « condizione» del compli– ce una volta che il delitto sia stato commesso. La giovi– netta Cenci vuole ormai sbarazzarsi di Olimpio, dopo che ne è divenuta l'amante allo scopo di servirsene nel com– plotto. L'amore stesso è stato uno strumento di com– plicità, ora una « normalità» di vita e di abitudini non è più- concepibile: l'orrore deve accompagnare il delitto, e non la placidità quotidiana. La normalità non si può mescolare all'a~sassinio: e qui possiamo intravedere, solo i"n parte trasfìgurat.a, un'altrà delle terrene mora.Lità del narratore Moravia. Il cinismo, l'inaridirsi dei sentimenti, l'indifferenza si fanno argomento anche della sua tra– gedia. Dei tre atti, per questa te sospensione>> finale, e anche per un taglio più agile, il terzo ci è parso il più orìgi– nale e in definitiva il più riuscito. Notevole è l'intensità del progressus drammatico nel secondo; mentre i.I primo ci è parso il più immobile, il più irretito nel racconto. Alcuni snellimenti e qualche lieve spostamento rispetto al testo pubblicato, concordati fra autore e regista, hanno certo giovato allo spettacolo. Il quale, ripetiamo, ha fra l'altro il merito di aver proposto un nuovo contributo al– la nostra drammaturgia nazionale, dispersa e mal sicura nei suoi schemi «tecnici», da parte di uno scrittore au– tentico, che assai potrà fare - o potrebbe - per il teat.Io. La regia di Pandolfi tendeva, con perfetto esito, a portare alla loro nuda evidenza i moventi del dramma, quell'azione tutta recuperata all'interno che <<prepara» e segue il delitto. La rappresentazione ha raggiunto un equi– librio tagliente, il più adatto a una stesura letteraria che spoglia le vicende d'ogni fermento romantico (si pen– si alla tragedia di Shelley e anche al racconto di Sten– dhal) e, peggio, di ogni enfasi declamatoria (si pensi al « romanzo storico>> del Guerrazzi e a buona parte della letteratura e della leggenda fiorite sulla storia dei Cenci). Filippo Scelzo si è calato in Francesco Cenci con ac– (s~gue a pag. 8, 3.a col.)
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