Nuova Repubblica - anno V - n. 25 - 23 giugno 1957
(168) nuova repubblfoa .DUE AN1'0LOGrn 'l'J<a'rUAU L'IMPEGNO 1)1 PANDOLFI P ANDOLFI è quèllO scrupoloso uomo di teatro che tutti conoscono. Ha sempre avuto una inclina– zione spiccata - e per qualche tempo addirittura esclusiva - verso l'espressionismo. Un teatro di impe– gno mprale e sociale come quello soddisfa Je sue aspi– razioni di concretezza e, in parte, i suoi sogni di una nuova civiltà teatrale che tenga in onore l'uomo al di sopra di tutto. Così si spiega la sua antologia dedicata al Teatro espressionista tedesco (Parma, Guanda edi– tore, 1956) e si spiega, più ancora, il saggio che vi ha premesso. L'antologia - che comprende i testi migliori di Hosenclever, von Unruh, Walden, Toller, Bronnen, Kraus, con l'aggiunta di un Bi.ichner («precursore» im– lliancabile), di un Wedekind e con l'appendice di un Wolfgang Borchert, un epigono del 1946, oltre ai Tam– buri nella notte di Brecht - p~nta sulle manifesta– zioni più infuocate dell'espressionismo, dove meglio ri– sulta il t'ra·vaglio morale della Germania fra l'impero guglielmino e il nazismo. Significativa è a questo pro– posito l'esclusione di un Kaiser, comunemente ritenuto un volgarizzatore del verbo espressionista, un teatrante alla moda, piuttosto che un artista impegnato. Qui troviamo la materia più sofferta del teatro te– desco contemporaneo, senza èoncessione alcuna al gusto corrente: artisti inflessibili e infelici,• Quelli rappresen– tati in questa sede; selezionatore altrettanto inflessibile, e impegnato, il Pandolfi dell'antologia. Il saggio com– pleta la visione del periodo storico, secondo le grandi linee estetico-sociali che si sono dette. Un atto di fede nel teatro e nell'uomo, magari con qualche forzatura e molte sopravvalutazioni. Come tutti gli atti 'di fede profondamente vissuti, è appassionato e intransigente. L'antologia è un assaggio dell'espressionismo teatrale, colto alla sua radice; un invito ad una successiva infor– mazione. E non potrebbe immaginarsi invito più utile per chi voglia approfondire un ·argomento che è tuttora essenziale per la comprensione del teatro moderno e della Germania. Se il giudizio che dà Pandolfi sull'espressionismo è positivo (perchè, l'abbiamo detto), negativo è invece il giudizio che lo stesso Pandolfi dà sulle esperienze teatrali italiane nell'altra antologia d3. lui curata: TeatTo italiano del dopoguerra (Parma, Guanda, 1956). L'Italia teatrale di oggi è un deserto popolato da drammatur– ghi volonterosi ma sbandati, che non sanno Quello che vogliono e che non riescono a stabilire un contatto pur– chessia con il pubblico. Anche i più importanti, o i più coraggiosi, che qui troyiamo rappresentanti (Giovani– netti, Betti, Zerboni, Viola, Bassano, Fabbri, Bompiani, Squarzina, Terron. Dursi, Pirro) annaspano nel vuoto, alla ricerca di temi che esprimano il nostro tempo e di un linguaggio moderno e comuni'cativo. Pandolfi vede bene tutto questo, e cerca di spiegarlo con una serie di ragioni storiche, politiche, culturali. E' Vero che manca una forte personalità di artista (e ciò basterebbe a chiudere subito il discorso~ ma è vero anche che dif– ficilmente potrebbe nascere una forte personalità tea– trale quando le condizioni della cultura italiana influi– scono così negativamente sul teatro e ne paralizzano l'attività. Non accadono miracoli, non possono accadere. I nostri teatranti sono tutti borghesi che rifiutano di allargare il cerchio delle proprie esperienze e cinci– schiano nell'analisi della classè' cui appartengono, se– condo tradizioni ormai scontate (il naturalismo, l'ot– timismo ottocentesco) o non bene assimilate (Piran– dello). Il mèccanismo del teatro di prosa in Italia è sottoposto ~d una censura accanita e ad un cerchio di favoritismi che lo soffocano. Tutto vero qu"'el che dice Pandolfi. Il panorama che egli offre è tanto melanconico che non si •capi&ce quanto possa durare, nel ricordo, il teatro qui presente, sulle– pagine di un'antologia. A parte Betti - l'unico dram– maturgo· che resista nonostante l'ambiguità del suo mondo - chi indicare? forse Bombiani, forse\ Bas– sano. E poi? Il saggio più triste di questa situazione di rinuncia al teatro ce lo dà l'autore che sembra più impegnato con l'uomo, l'onesto e sconclusionato Pirro (di cui si pubblica l'atto unico Con un piede nella fos– sa). E' una rivolta nobile contro la bestialità della guer– ra, ma così schematica e goffa che non si sa se più apprezzarne l'intenzione o censurarne il linguaggio drammatico inesistente. Neppure la protesta più vio– lenta (e perciò non giunta sulla scena, com'è ovvio) ha trovato una voce robusta, nel teatro italiano contem- poraneo. Se si volesse I8re un confronto fra l'espressionismo tedesco e il nostro teatro ci sarebbe da rabbrividire. Ma nessuno Jo vuol are, perchè non ve n'è alcuna ra– gione. Non basta la circostanza dell'uscita contehlpora- . nea delle due antologie, e non basta nemmeno la pre– senza in entrambe della mano di Pandolfi. E' del resto inutile accanirsi. Constatata l'insufficienza della -situa– zione italiana, si conserva questo documento, per ri– cavarne domani, magari, qualche elemento utile in una storia delJa società italiana. FERNALDO DI GIAMMATTEO 7 (/Jis. f}i Dinu Do.~chi) F.duca2:ione stradale BIBLIOTECA * IDEOLOGIA- E -UTOPIA I L VOLUM~del Mannheim, che le edizioni del Mulino hanno fattri '•comparire per la traduzione di Antonio Santucci (Karl Mannheim, Ideologia e utopia, Bolo– gna, Ed. Il MÙlino, 1957), non appartiene con precisione nè all'ambito storico-filosofico, o 'sociologico che sia, nè a quello degli scritti di teoria e di cultura politica. E' possibile quindi considerarlo - forse muovendosi nello spirito stesso dell'autore - da punti di vista molto diversi e, se pure le conclusioni - che occupano in verità parte ·modestissima nella mole delf'opera -. possono la– sciare perplessi, l!anaJisi che le precede presenta degli spunti così affascinanti da poter essere .f!J..."'fficilmente dimen– ticata. Formatosi nell'ambiente storicista e sociologista della Germania nel ·primo periodo di questo secolo - la socio– logia tedesca che cercava di individuare, col Weber, tipi irleali per la comprensione storica non era affatto opposta o semplicemente lontana dallo storicismo, 3 differenza dell'indirizzo empirico e perciò stesso frequentemente astratto delle scienze sociali di oltre oceano - il Mann– heim ,.si è volto a1la ricerca di più adeguati fondamenti epistemologici per le scienze storiche e politiche, fonda– menti che dovevano necessariamente esser diversi da quelli naturalistici o matematici del· positivismo. Nelle sue premesse era implicito il rifiuto del relativismo, con– siderato come fondamento· di quegli atteggiamenti irra– zional_!.stici in politica, che, Proprio anche per aver a~uto la sventura di toccarli con mano, egli si proponeva di spiegare per megliQ permetterne il superamento. La posizione epistemologica del Mannheim rispetto alla storia e alla politica viene da lui stesso definita,inyece che relativista, relazionaZ.Z. « Quando il r"°agazzo campa– gnolo inurbato giudica rustiche talune opinioni politiche, filosofiche o sociali proprie dei suoi parenti, egli non di– scute più queste opinion~ come un membro omogeneo, nè ha a che fare direttamente con lo specifico contenuto di cui parla. Piuttosto egli lo riferisce a un certo modo di interpretare il mondo che, a sua volta, viene riportato ad una certa struttura sociale che costituisce la sua situa– zione. Una siffatta considerazione non implica che k:! diverse asserzioni siano false ». Compito de1la sociologia della conoscenza è appunto quello di dimostrare il :fiferimento delle idee individuali e di gruppo all'intera struttura storico-sociale, fermo re– stando che per l'autore l'ideologia non è semplice sovra– struttura della pur rilevante struttura economica, sì bene la comprende ·in una molto più vasta e complessa interre– lazione. Storicista, il Mannheim rifiuta, oltre allo schema hegeliano del divenire, anche l'esaurimento del processo storico nell'autocoscienza e nell'ascesa della classe lavo– ratrice. Eppure eg)i riconosce di _dovere al Marx la sco– perta del condizionamento sociale del pensiero e del feno– meno dell'ideologia come espressione travestita degli inte– re,ssi di gruppo, se pure; sulle orme del Weber, non si ferma a considerare soltanto le classi economiche e scende a distinguere gli 'atteggiamenti ideologici~ a-base intellet– tuale, professionale ·o religiosa, concedendo largo Posto anche ai contributi alla « sociologia della .conoscenza» pervenuti attraverso le teorie degli impulsi primitivi nietzschiane, o freudiane, o paretiane, nonchè dal pragma– tismo. Dalla considerazione di tale aspetto caratteristico del pensiero moderno, prende le mosse la trattazione degli atteggiamenti ideologici e utopici. I due termini, però, sono usati coì1 accezione alquanto diversa da· quella cor– rente, che per lo più sottintende al primo il pensiero reso strumento di volontà politica e al secondo l'ideale politico privo di riferimenti con la re·attà. Per il Mannheim, in– vece, ideologia significa ordine di pensiero, incapace, per la mancanza di prog2tti concreti, di trasformare le stnit– ture con cui si pone in contrasto, e utopia complesso di -idee .capace di conseguire èffettivo mutamento nel mondo col creare nuove forme di comportamento. Chiariscono questi concetti due diverse analisi esemplificative - che sonò senz'altro i passi più interessanti per il politico -, sui tipi ideali dell'epoca nostra - conservatorismo buro– cratico, storicismo conservatore, pensiero borghese libe– ral-democratico, concezione socialista-comunista, fascismo - e sulla ·mentalità utopica nel suo syiluppo moderno - n1illenarismo degli anabattisti, idea liberale-unitaria, ideale conservatore, utopia socialista-comunista. Un nuovo ufficio, politico e direttivo, viene assegnato agli intellettuali, quale unico gruppo socialmente libero e quindi capace di riconoscere i condizionamenti sociali del pensiero in ogni gruppo, e perciò stesso di superarli. Si è infatti capaci di superare soltanto ciò che si ricono– sce come difficoltà fondamentale, e pertanto - parados– salmente - il marxismo è, per esempio, l'atteggiamento di pensiero più qualificato a superare i condizionamenti economici nella società. La « restituzione in cattedra » degli intellettuali resta, ovviamente, l'aspetto meno persuasivo nel pensiero del Mannheim, anche se, in questo caso, viene investito un problema - quello della esistenza degli intellettuali come categoria sociale dotata di caratteristiche proprie - che è senz'altro uno dei pili spinosi per il ,pensiero contempo– raneo. Se pur lontanissimo nei punti di partenza e negli inte– ressi politici che lo guidano - e svolta con ben diversa sistematicità - la problematica del Mannheim è sostan– zialmente identica a quella che, in Italia, ci hanno lasciato · unicamente gli appunti del Gramsci, che l'autore, morto nel 1947 non giunse certamente a conoscere. Tanto è vero che, a ~roposito degli sviluppi suJla « sociologia della conoscenza» del pensiero di scuola marxista, egli ricorda soltanto il Lukàcs. L:ampia introduzione - dovuta anch'essa al Santucci - - riassume il pensiero del Mannheim contenuto nelle altre opere dell'autore, e contribuisce notevolmente all'in- teresse del volume. · G.C.
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