Nuova Repubblica - anno V - n. 18 - 5 maggio 1957
(H t) nnoH repubblita LUCI DELLA HIBALTA r ------------' ILDIA f O LETTO DEL CARD. SPELtMAN P ER UN LAICO è duro ammetterlo, ma ·consoliamoci pensando che i laici hanno la vocazione dell'obiet– tività. E allora diciamolo francamente: il cardi– nale Spellman ha ragione quando afferma che Baby Doll è un film immorale. DimentlCa di dire che è anche brutto, · di consigliare i cattolici a tenersene lontani. Ha ragione rria a quèsto possiamo provvedere noi. Ha poi ragione due volte, badate. Anzitutto, per salvaguardare il suo prin– cipio della moralità, e poi perchè dimostra di conoscerle bene, certe anime pie che provano forte inclinazione per storie così torbide e melliflue, così insinuanti e ricche di ipocrisia. Il diavolo oggi ha questo aspetto, il cardinale lo sa perfettamente. Guardatevi da questo diavolo, è quello che potrebbe far breccia nella vostra anima. Carrol Baker, la sposa bambina che si ciuccia il dito e· trema al pensiero di doversi accoppiare con un ma– rito schifoso, potrebbe anche simboleggiare, involonta– riamente, l'atavica paura del sesso che sonnecchia nel fondo di ogni buon cattolico. E' un personaggio formi– dabile, pensateci un momento. Purtroppo, è anche un , personaggio così abnorme, incredibile e artificioso che Kazan nulla può cavarcene. Il conflitto fra Baby Doll e il marito - lei tremebonda e lui infoiato nell'attesa che scada il termine stabilito di comune accordo per Je nozze vere - è quanto di più patologicamente singolare una · fantasia di pseudoartista potesse partorire. Si tratta, semplicemente, di un trucco mediocre per foserire nella vicenda il personaggio di Silva Vacarr9, il 0 siciliano. Quando, iµ una casa di spostati come quella di Archie Lee (il marito), compare un tipo con la faccia di Silva e pianta gli occhi addosso a una gattina pigra col"(leBaby Doli, che cosa Volete che succeda? E' troppo facile immaginarlo. Il seduttore si trova a casa sua. Sotto il chi tocca. Aggiungete che Archie Lee odi.a Silva perchè gli porta -via il lavoro, ed è tanto allocco da provocarlo incendiandogli l'opificio per la lavorazione del cotone; 'avi·ete così un altro motivo a beneficio del seduttore: al gusto di Baby Doll si sovrapJJone l.n lui il gusto della ,vèndetta. Di questo passo si arriva alle fucilate. Andrebbe tutto bene, forse, se esistesse un dramma semplice e -teso, carico di violenza. Un conflitto _di insa– tanassati lo si capirebbe. Kazan, al contrario; prende sul serio il suo soggettista Tennessee Williams e lo segue come un cagnolino lungo un tortuoso itinerario di diva– gazioni inutili. Perde 1 mezzo film per descrivere un .. am– biente in rovina e introdurre il personaggio (che non c'entra) della zia svanita: cindschia nella superflua ca– ratterizzazione dei rapporti fra Baby Doll e il marito e del ridicolo di cui quest'ultimo si copre (cose per le qllali bastavano un paio di inquadrature)'; ·si diverte e si eccita nell'accarezzare, con tutti i particolari e i sotto– particolari del caso, gli approcci di Silva, colloqui, ab– bTacci, carezze, fughe e inseguimenti, astuzie e pruriìi; spreca parecchio tempo e affloscia la tensione del con– flitto imminente spedendo il povero marito lontano dalla casa; non riesce ad esprimere in modo almeno decente (e Comprensibile) l'esplosione finale dell'ira di Archie Lee. Così, quando i nodi vengono al pettine, non soio è troppo tardi ma è come se bruciasse .un po' di paglia bagnata. Nessuno pretenderà che qui (imitando Kazan) si prenda sul serio la tematica di Tennessee Williams e si istituisca un confronto fra la sceneggiatura ()a prima originale di Williams per il cinema) e i due atti unici da cui trae indiretto spunto. Nè pretenderà che si esa– mini l'evoluzione del regista da Un tram che si chiama desiderio, a Viva Znpata!, a Fronte del porto, alla Valle deU'Eden, a Babv Doll. Sarebbero riflessioni magari ele– ganti e dotte, ma non ci aiuterebbero a capire questa coml)Ùcata pornografia che non si ha il coraggio di pre– sentar per tale. Varrebbe certo la pena· Qi farlo, un ri– tratto di Kazan, regista di molto ingegno e di molta jmp0itanza nel cinema contemporaneo; solo che è bene attendere occasione più propizia. Si potrebbe fare un discorso generale, considerando Baby Doll come una ap– pendice, ma è già stato fatto di recente su Bianco 'e Nero. con gran Copia di documentazione. . Torniamo, invece, al nostro cardinale. Il quale si è ihmostrato assai acuto non soltanto per le ragioni espo– ste, ma anche per aver capito che Kazan maneggia il diavoletto con grande abilità. Non ha costruito un film che si regga in piedi per efficiente struttura drammatica o per pai-ticolare significato ideologico, ma è certo riu– scito (come sempre, del resto) ad orchestrare una inter– pretazione di eccezionale livello. Toglietegli tutto, all'in– fernale regista, però non toglietegli il merito di aver estratto dal sistema Stanislavski un tipo di recitazione cinematografica di cui non s'era ancora visto l'eguale. Mar~on Brando e Vivien Leigh del Tram che si chiama desiderio, James Dean e Julie Harris della VaUe del– l'Eden hanno compagni degnissimi in questa torpida · Cario} Baker, in Eli Wallach (il siciliano che nella ver– sione doppiata diventa «sivigliano») e in Karl Malden, vecchia conoscenza. Ma siamo vicini al limite, oi-mai. Una recitazione così nervosa e sensibile sta per mostrare 1a .corda: ancora un passo e l'equilibrio si rompe, e gli attori si trasformano in individui votati all'epilessia. FERNALDO DI GIA~IMATTEO 7· Centro ast-rat.tist.a (Di.,. tli J)i,w Boschi} B' I B L I Ò T E C A DONNE COME TE U N LIBRO che si proponga un tema difficile e - sotto molti aspetti - impopol~re come quello deUa contjizione femminile ·in ltalia, deve innanzi tutto riuscire. a farsi leggere dal gran pubblico. Non può, quindi, a nostro avviso, essere un trattato sociologico o un saggio (< togato» (forme degne del mag– gio1'e rispettdf":ma· destinate a pochi lettori) ma piutto– sto una piaèevole lettura, ricca di contenuto. II piccolo volume Donne come te a cura di Joyce Lussu (Milano; Edizioni Avanti, 1957) raggiunge que– sto primo obbiettivo, attraverso una tecnica moderna, che· è quella del «mostrare» più che «dimostrare». La forma dell'inchiesta racconta,ta è una delle più fortu– nate del giornalismo, perchè permette a1 lettore di dare .un giudizio sulla base di elementi che gli vengono offerti, con solo apparente distacco. Ma perchè Joyce Lussu ha imposto al suo libro un titolo così limitativo, che presume -un pubblico femmi– nile e non un pubblico di lettori uomini e donne? .. La nostra esperienza ci insegna che occorre oramai rompere la crosta dei compartimenti-stagno, dei ginecei e considerare la evoluzione femminile non un <.: fatto di donne», ma un argomento di interesse gene!ale, poli– tico, sociale e di costume, un soggetto di discussione viva e appassionata, cui soprattutto gli uomini - di– remmo - sono chiamati a partecipare. Perchè è agli uomini - che hanno fatto le leggi e instaurato il re– gime patri.arcale - che spetta Ja maggiore responsa– bilità della condizione di arretratezza in cui versa la donna italiana. I chiamati in causa, dopotutto, sono loro. Ci accade di citare ogni tanto la risposta che avem– mo da un intelligente giornalista, cui, alla radio, rivol– gevamo alcune domande e cioè: << non esistono problemi femminili, esistono solo prepotenze maschili». Si trat– tava di una boutade, non priva però di Wl'amara ve– rità in sottofondo. Ecco, dW1que, che è agli uomini più che aUe donne - le quali conoscono per esperienza personale la loro difficile condizione - che occorre far leggere le· brevi storie e le inchieste che riguardano la maestra, la casa– linga, la mantenuta, la zitella, la donna di servizio, la operaia, la contadina, scritte da Luciano della Mea, Ce– sare Zavattini, Gaetano Tumiati, Marina d'Arsago, Ma– ria Giacobbe, Carlo Graffigna, Mario Gallo, Franco Grasso, Dario Faccino, Franco Morigi, e i dati statistici di Bruno Broglia. Sono pagine vive e saporose, se I pure talvolta compresse in limiti bozzettistici. Ci rendiamo conto delle difficoltà di mettere insieme un libro di questo genere che deve dire molto in poco spazio e che, pur concedendo ai gusti del pubblico il suo « pasto narrativo», vuole integrarlo con qualche cosa di più nobile. Joyce Lussu ha .riassunto. assai bene il significato e ]o scopo della pubblicazione nella sua premessa, pas– sando in rassegna i problemi della emancipazione fem– minile che - come ella scrive - « è nella forza delle cose e non si può accantonare. -Chi è qµesta donna che si deve .emancipare? - ella si domanda - sono tante donne, una per una. Le 'conosciamo, queste donne, ve– ramente? Le conosciamo .prima .ancora che come !atto sociale come persone, come individui che pensano e sen– tono, in quanto immersi in un·a precisa condizione umana?». Qui è il punto e siamo d'accordo con la conclusione, cioè che di inchieste ce ne vorrebbero molte e sempre più approfondite. L'importante. è di dire la verità, senza timori, senza pregiudizi. La letteratura che riguard!=l le donne - e spesso anche per colpa delle donne eh~ scrivono - è malata di retorica, Scialba, convenzionale. E' ora di in– staurare una norma di chiarezza, di spregiudicatezza, sempre appoggiandosi ai !atti e con scru.polo di attenti cronisti. « Sì ha un bel dire - scrive Maria Giacobbe - che quando si lavora con coscienza non si deve temere nulla. Tutte chiacchiere. Io so che qualunque Cosa si dica o si pensi di noi, sono poche le maestre che non lavorano con coscienza, ma non ne conosco u~1a che non abbia paura dell'ispettore». Ecco un'osservazione schietta e anticonformista che può indurre le donne a « non avere paura », mettendole di .fronte alla mortificante condizione di colei che, pur compiendo fino in fondo il suo dovere, teme l'autorità del superiore. E la teme - è chiaro - perchè non ha fede nella giustizia e neppure nella sua forza di op– porsi ai soprusi, agli sfruttamenti, nel campo del lavo~·o. E _perchè esiste questa schiavitù del timore·? Essa di– scC'nde da una lunga consuetudine di obbedienza, di ras– segnazione, di subordinazione del più debole al più forte, sempre attuale nella società italiana. Ed è qui il· punto cruciale della emancipazione femminile. Qui è la neces– sità di una revisione, di una rivoluzione silenziosa. Occorre che le donne imparino a difendersi da sole, oltre che affidarsi a sindacati, ad associazioni femmi– nili, a leggi scritte ma non attuate. Occorre che si fac– ciano rispettare senza timore, una per una, come esseri umani, oltré' che tutte insieme, come categorie sociali. Troppe donne per atavismo si rimettono al destino, alla tradizione, alla Chiesa, allo Stato. Esse debbo:1.0 imparare ad aver fiducia in loro stesse e nei diritti che •si sono conquistate con una lunga vigilia di lotte e di mo.rtificazione. La libertà, Prima di essere iscritta nella Carta Atlan– tica, è una forza deUo spirito e della ragiqne. Per uo– mini e donne, interiormente liberi, è stata, in ogni tem– po, un ideale per cui valeva la pena dare anche la vita. ANNA GAROFAW 11111111111111111111111111111-1111111111111111111111111111111:111111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 nuova repubblica ABBONAMENTI : Annuo L. 1500 Semestrale ,, 800 Trimestrale " 450 •1tHllllfflllllllll:IIIIIIIIUlllffllllllllllll~IUIIHllttllllllllllll;IIIIIIIIIIIIIIIIIIHlllll 1 11111rtltlllllllllNI
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