Nuova Repubblica - anno V - n. 17 - 28 aprile 1957
PUNTI OSOURIDEL MEllCATOCOMUNE L'INTEGRAZIONE EUR PEA ]I punto centrale sta tutto qui: in una direltiva di politica economica tendente a dete1·minare. un certo equilibrio tra il reddito nazionale pro– capite dei ,vari paesi, e in un contI·ollo clell'~conomia dei vari stati. Ma te– miamo che cli questo non si preoccupi il trattato recentemente sottoscriuo di PIERO N ELLA ormai famosa collana dei « Libri del tempo», ' gli editori Laterza ci hanno presentato questo volu- . . me (Bergmann, Giordano, De Vita; Madia, Di Nardi, . Europa senza dogane, Bari, Laterza, 1957) che può ben essere definito « Libro del momento» tanto è evidente la sua attualità. Non si può davvero dire che sul problema del mercato comune si sia svolta finora nel nostro paese una approfondita ·ai~cussione. La maggior parte degli esperti si è ritenuta in dovere di non studiare la (Juestione, per la ragione che ancora il governo italiano non ha fatto cono– scerei terffiini esatti del trattato. La cosa è vera, ma questo non impediva a nessuno di cercare di determinare per proprio conto quali pericoli potevano incontrarsi nello sd– pulare il trattato, qtiali clausole andavano fissate, quali preeauzioni era doveroso prendere per cercare di salvare certi settori della nostra economia. maggior competitività di un prodotto derivante dal sistema tributario sia anch'essa artificiosa, ma bisogna rendersi conto che, stanti le estreme difficoltà che si incontrano nel seguire le successive traslazioni dell'imposta, la sua defini– tiva incidenza, l'effetto diretto della spendita, è impossibile determinare in che misura un prelievo fiscale è un ele-. mento di costo per una certa impresa. E' quindi opportuno, condude il Madia, che « deliberatamen'te si lasci a ciascun stato nazionale 'la possibilità di adottare - come ogni altra istituzione - anche quel sistema tributario e previdenziale che meglio si adegui alle sue possibilità economiche, perchè un unico sistema impedirebbe i progressi ·sociali dove son possibili, e schiaccerebbe l'economia dei Paesi più poveri, imponendo erogazioni sociali, certo auspicabili, ma non possibili». Certo in una fase iniziale l'ammontare dei 15-µs– sidi e delle pensioni nei vari paesi dovrebbe essere diretta– mente proporzionale al reddito e al tenore di vita sociale, ma è indiscutibile che in tanto si giustifica un'integrazione economica in quanto si ha come fine la realizzazione di un equilibrio fra i vari paesi che all'integrazione concorrono. Per questo un'integrazione europea deve evidentemente trascendere quella mercantile, per. comprendere invece il libero movimento di capitali e della mano d'opera, che soli possono essere· capaci di rialzare il livello economif:·o dei paesi più arretrati. « Bisogna sottrarre il controllo del credito agli organi :(160)' -nuova repubblica nazionali, che fatalmente finirebbero con il consigliare o con il rendeì•e possibili solo investimenti in certi settori e in certe zone» e bisogna creare una cc Comunità che per– metta _unintenso flusso di capitali tali da consentire all'in– terno dei vari paesi Ja piena occupazione». Nel caso in· cui la mano d'opera rimanga in certi paesi esuberante, va infine individuato un meccanismo che preveda la circola– zione della mano d'opera all'interno del mercato comune. Non tutte le indicazioni del Madia sono egualmente ac– cettabili, ma nel suo studio si sono ben individuati i peri– coli di una affrettata unificazione. Il Di Nardi, nell'ultimo saggio, dal titolo <f Int_egrazione e sviluppo della comunità europea », cerca di dare alcune direzioni sulle quali dovrebbe muoverSi la politica econo– mica della Comunità europea. La prima cosa da fare, se– condo l'autore, è la individuazione di un obbiettivo comune da raggiungere. « Il punto di convergenza delle disparate aspirazioni o diciamo pure necessità delle economie nazio– nali, può trovarsi in una politica economica che delibera– tamente si proponga di realizzare lo sviluppo equilibrato dell'economia in tutta l'area coperta dalla integrazione ». QÙesto è i1 punto cardine su cui ruota tutto lo scritto del Di NaI"di, che afferma come la 1egge dell'interdipendenza delle economie non ammetta che il progresso di un paese sia indifferente a11'economia di altri paesi. Non v'è dubbio infatti che il ritmo di espansione delle economie più pro– gredite sia condizionato e limitato dalla ristrettezza degli sbocchi dei paesi ad economie più arretrate. Il logico co– rollario di questo principio è che siano gradualm~nte atte– nuati i dislivelli fra il reddito nazionale pro-capite dei vari paesi. Questo vuol dire che deve darsi luogo ad· un impe– gno collettivo che -non si disinteressi della distfibuzione del reddito all'interno della Comunità, e significa anche che è necessario che i vari paesi accettino decisioni prese in ·sede sopranazionale. Condizione pregiudiziale a tutto questo è ·che la « opi- , nione pubblica dominante sia disposta ad accettare quel tanto di controllo dell'economia che è necessario a tutelare la più rapida estrinseèazione dello sviluppo». Si può dire che il problema dell'integrazion·e europea stia tutto qui: nell'accettazione da parte dei vari paesi di una direttiva di politica economica che tenda a determinare un certo equilibrio tra il reddito nazionalé pro-capite delle varie nazioni e nel dar luogo ad un controllo dell'economia dei vari stati. Ci sarebbe ora da chiedersi se il trattato recen– temente firmato si preoccupi di tutto questo. Noi temiamo di no; ma attendiamo una smentita. · Il libro di Laterza raccoglie nella prima parte i risliltati di una inchiesta promossa da un Comitato di studi sul mer– cato europeo e condotta per iniziativa del senatore Giulio Bergmann ora scomparso. Lo scopo principale di questa in– chiesta era quello di mettere in evidenza l'opinione dei vàri esponenti delle ihdustrie e delle organizzazioni agri– cole e commerciali sul problema della integrazione euro– pea: Già altra volta (v, NR, n, 13, del'31 marzo 1957, Indu– dustriali e mercato comune) dicemmo quali erano stati i risultati di questa inchiesta e quali dubbi essi ci creavano; ma oggi vorremmo poter indicare brevemente l'importanza dei due saggi finali, a firma Luigi Madia e Giuseppe Di Nardi, che potrebbero tlavvero essere definiti essenziali per tutti coloro che vorrann0 affrontare il problema ·del mer– cato comune. ÌMMÒBILISMO SINDACALE Nel primo, dal titolo « Le modalità meno onerose e più eque del processo di integrazione europea », l'autore iniZia èon una constatazione assai ovvia. Ogni paese è oggi ad un bivio: o chiudersi ermeticamente, trincerandosi dietro po– ·tenti barriere doganali, iq un regime essenzialmente autar– chico, o cercare di aprire i propri orizzonti economici verso un mercato il più ampio possibile. L'Italia ha scelto la se– conda-soluzione, pÌ'oprio l'Italia,· che tra i sei paesi firma– tari del trattato è indubbiamentè quello che dispone di una economia più debole ed asfittica. Forse che la scelta è in stretta correlazio.?.e con la già provata esperienza autar– ·chica, durante la quale il nostro sviluppo ·economico fu giavemente compresso? « Siamo dunque - si domanda Luigi Madia - il vaso di coccio che non teme di viaggiare con i vasi di ferro: o che, meglio, pur di viaggiare verso un domani migliore, è disposto ad affrontare la vicinanza di compagni un po' scomodi?». Ma, a ben guardare, il_problema non si'pone in questi termini, perchè l'interesse di un paese come l'Italia, .tradizionalmente povero di materie prime, è proprio quello di avvicinare paesi di peso e valore diversi, cercando però di usufruire nel modo più economico delle loro risorse, chiedendo anzi esplicitamente che quelle risorse, che sole potranno permetterci di irrobustire la nostra economia, siano messe a disposizione di tutti coloro che ne facciano richiesta. Il problema peraltro non si esaurisce qui. Non v'è dubbio che la creazione del mercato comune debQa comprendere l'abolizione dei dazi doganali, l'elimi– nazione dei vincoli quantitativi, la progressiva sparizione delle cause di concorrenza artificiosa (quelle misure, cioè, di politica economica - quali ristorni fiscali, premi all'e– sportazione, ecc. - che tendano a rendere più competitive produzioni naturalmente meno economiche), ma è anche vero che una integrazion~ che -si limitasse a far scompa– rire queste barriere si ridurrebbe alla creazione di una zona doganale preferenziale con gravi svantaggi per i paesi ad eeonomia più debole. Per i quali anzi si presenterebbe la necessità di giocare accortamente sui costi fiscali e pre– videnziali per cercare così di aumentare la competitività dei propri prodotti. In effetti, chi chiede un livellamento assoluto fra i vari sistemi fiscali e previdenziali non si ac– corge che fa una richiesta astratta. Non v'è dubbio che la STA PER USCIRE, NEI QUADERNI DEL PONTE DUNCHI MEMORIE PARTIGIANE "LA NUOVA ITALIA,, • FIRENZE , 1AMEN1'0 PERBITOS ' FIRENZE, 20 aprite 1957 organi dirigenti periferici :dspetto a que!li centrali, che Caro Codignola. come maggiore partecipazione della base all'elaborazione due settimane fa, su queste coJon~e, esprimevo l'augurio che non !5,i ,perdesse l'occasione del VII Congresso della CdL fiorentina per iniziare ia battaglia per 11 rinnova– mento del sindacato, di' cui si avverte sempre più l'urgenza. Dicevo allora che per questa battaglia occorreva il ,.co– raggio di rimettere in discussione la funzione del sinda– cato, la sua struttura e la sua organizzazione. Purtroppo oggi possiamo affermare che;:?iuesto coraggio è quasi com– pletamente mancato. La Segreteria uscente presentava al Congresso una luriga relazione, in cui si spiegava che il Congresso stesso era stato convocato per la necessità di inserire la organiz– zazione nel largo processo di rinnovamento il} corso in tutto il movimepto dei lavoratori, per approfondire la cono– scenza della situazione economica-produttiva della provin– cia ed elaborare una conséguente politica sindacale, per apportare, infine, le oppoftune modifiche alla struttura organizzativa. · • Dopo questo confortante preambolo si elencavano una lunga serie di dati statistici per dimostrare che, nonostante tutto, la CGIL aveva mantenuto nella provincia di Firenze le proprie posizioni, anzi dal 66,6% del 1955 era passata al 67,6% nel 1956; seguivano un esame della situazione eco– nomiça ed un. elenco di rivendicazioni per i vari settori produtÙvi. Si affrontava anche il problema dell'unità sindacale, per riaffermarne la necessità; e quello delle correnti, delle quali- si chiedeva l'autonomia: e si configurava infine il nuovo sindacato come indipendente dai partiti e dai go– verni, mentre si respingeva decisamente ogni forma di pa– ternalismo padronale. Si affermava anche che, sebbene la CGIL fosse la più democratica del1e organizzazioni sinda– cali, pure anch'essa aveva bisogno-'di un democratizzazione perchè si riconosceva che, fino· ad oggi, le direttive prove– nivano dall'alto e, se si poteva discuterle: era però assai arduo modificarle. Come si véde, esistevan~ nella relazione diverse affer– mazioni e spunti critici interessanti che ci trovavano con– cordi, mancava però la scelta di una conseguente linea politica di rinnovamento perchè, in definitiva, mancava una critica di fondo, cioè non si metteva affatto in discus– sione la funzione del sindacato cosl com'è, nè, tantomeno, la validità dena politica seguita fino ad oggi. Si chiedevano, è -vero, l'unità dei lavoratori, l'autono– mia dai partiti ed anche una maggiore democratizzazione (il)tesa questa però piuttosto come m'lllgiore libertà degli della linea politica), ma non si mostrava di comprendere come per ottenere ufla effettiva democratizzazione, che è condizione pregiudiziale per l'unità e l'autonomia, sia ne– cessaria una radical€; trasformazione dell'attuale struttura de sindacato. Si può quindi rivolgere anche alla relazione della Se– greteria la stessa critica che avevamo rivolto a quella del Consiglio generale provinciale: cioè mancava anche in questa l'indicazione di una chiara linea politica di rinno– vamento, necessaria per raggiungere gli obiettivi che ·ve– nivano indicati. Sulla falsariga della relazione, e senza metterne in discussione l'impostazione, il Congresso si è limitato ad approfondire temi particolari, dandovi un ulteriore contri– buto tecnico. Soltanto qualche intervento è stato vivacemente critico nei confronti della Direzione della CGIL e della po1itica che questa ha seguito, ma si è .finito con l'accettare l'ele– zione del Consiglio direttivo con lista bloccata e relativa spartizione a tavolino dei seggi fra le varie correnti; anzi, è stato addirittura richiesto ed adottato il voto palese, perchè _.,,.come dicevano alcuni delegati - « almeno si perde meno tempo» (e, francamente, non si poteva dar loro torto, dato Che non era possibile sostituire nessuno dei nomi proposti). · A completare il quadro, non è mancata la farsa della pressante richiesta alla Segreteria nazionale perchè con– sentisse al sen. Bitossi di assumere nuovamente la segre– teria della CdL fiorentina, e il « lamento » dell'on. Di Vit– torio per la grave perdita che avrebbe subito la segreteria nazionale che, però, con la morte nel cuore doveva accon– sentire alla volontà del Congresso. Avevo già fatto notare due settimane fa che i giornali borghesi avevano profeticamente pubblicato la notizia, al– cuni giorni prima dell'inizio del Congresso stesso. La conclusione è che ancora una volta è stata lasciata cadere una buona occasione per avviare coi fatti quel rin– novamento del sindacato· che si dice di volere; intanto, il padronato' si fa sempre più aggressivo e mira apertamente a conquistare lo Stato, liquidare Ja Costituzione ed umiliare la classe lavoratrice. Penso che ormai soltanto con una autonoma ed unita– ria iniziativa di base, i lavoratori possano salvare se stessi e le istituzioni democratiche dal disastro. Cordiali saluti Mario Sperenzi.
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