Nuova Repubblica - anno V - n. 12 - 24 marzo 1957
(155) nuova repubblica COl\lMEDIE ROMANE - H Silenzio! AI contadino non far sa.pere ... n (pis. di Dino lloschi) LETTERA DA BOGOTA' L'OPPOSIZIOI\JE L B RIILE . LE DISCUSSIONI di questi ultimi mesi alla « Costi– tuente» di Rojas Pinilla li.anno dimostrato ancora una volta l'isolamento della dittatura, che ormai nel suo stesso partito non trova che il consenso di una cricca disposta a tutto. Gli altri, tutti gli altri, sono con– trari o esitanti. Non saremo- certo noi a farci illusioni su certi dis– sensi. Che un Mariaìio Ospina Perez, ipocrita organizia– tore di massacri durante gli anni sanguinosi della sua presidenza, Prenda· oggi posizione contro il sucèessore èhe egli stesso contrib~ì a portare al potere, non significa certo che il vecchio ex-presidente conservatore voglia ri– stabilire oggi in Colombia quella democrazia che egli, più forse che ogni altro, ha tenacemente contribuito a distruggere durante il suo n_efasto governo. Ma anche questa opposizione di vecchi arnesi della reazione significa pur qualche cosa. Intorno al sanguina– rio dittatore militare non c'è più_ neanche l'unanimità della reazione; la maggior parte dei reazionari, e tra loro i più accorti, si rendono conto che il regime del 13 giugno non può che precipitare sempre più il paese nella violenza e nella catastrofe: vogliono scindere le loro re– sponsabilità. Sarebbe certo possibile oggi allargare la lotta, coordi– nare la guerriglia spontanea delle campagne con movi-' menti di protesta che scaturiscono dalla miseria delle città, dall'inflazione che ogni giorno più ferocemente re– stringe le possibilità di vita dei lavoratori e delle classi medie; sarebbe possibile dare una voce, una direzione, una speranza a quella immensa prptesta soffocata che freme in tutto un popolo tormentato da dieci anni-di dit– tatura e di persecuzione. Sarebbe possibile, ed è necessario-, se noi;i vogliamo che il massacro continui impunemente, che migliaia di cittadini siano assassinati per prolungare la vita della dittatura; che nuove violenze e più efficienti m~zzi di repressione anneghino nel sangue e nella disperazione una· volontà di lotta sempre tradita; se non vogliamo che sulla pace dei cimiteri il militarismo conservatore possa instaurare un regime totalitario. Ancora una volta, la direzione nazionale del partito liberale si fa complice dei conservatori e tradisce la lotta liberatrice che dovrebbe dirigere. Certo, non più si esprime fiducia in Rojas Pinilla. A questo bastano più spregevoli ed insignificanti figure: il « socialista» Antonio Garcìa o ((liberali» del tipo di Darìo Samper. Alberto Lleras Camargo è andato « a dire di rno » alla falsa Costituente, ma ha voluto farlo « rispettosamente » e senza sconfessare esplicitamente l'appoggio dato a Rojas Pinilla nel primo anno di dittatura. Eppure, il dr. Lleras ha dichiàrato che il regime vuole ridurre la Colombia alla situazione del Portogallo o della Repubblica Dominicana, instaurando un ((nuovo ordine >> che è vecchio almeno come Ltligi XIV. Ha rico– nosciuto ché dopo il 13 giugno <( il partito liberale ha of– ferto il suo appoggio al generale Rojas Pinilla, dimostran– do di sperare il ristabilimento dell'ordine e della nor– malità; e solo si è ottenuto una serie di promesse che non sono state mai mantenute, la continuazione dello stato d'assedio e della censura sulla stampa, cioè la para– lisi delle istituzioni colombiane ». A questo punto dobbiamo ricordare al dr. Lleras che solo una direzione liberale che volesse ingannare l'opi– nione pubblica poteva fingere di sperare da Rojas Pinilla il ristabilimento della normalità costituzionale. E del. resto, all'indomani del colpo di stato del 13 giu– gno, la direzione nazionale liberale non disse che (< spe– rava » il ristabilimento delle istituzioni, ma anzi lo dette come sicllro e con questo inganno indusse i partigiani a consegnare le armi. Né, allora, la direzione ·liberale si permise di chiedere all'angelicato dittatore libertà di stampa o di .p rola, e solo umilissimamente espresse ti– midi desideri' pèì.- un domani sempre rinviato. Se il dr. Lleras e gli altri che con lui condividono le responsabilità della direzione vogliono ora opporre alla dittatura un'opposizione che non sia metaforica e non si risolva in un'indiretta collaborazione, sta a loro darne le prove: purché si tratti di azioni conformi ai fini procla– mati, non manovre sterili e deprimenti come quelle tes– sute a Benidoi-m. CARLOS GONZALEZ RIVERA IL FACETO NEL SERIO PARIGI, marzo 1957 G UY MOLLET è tornato da Washington con la pro– messa che l'America porterà ancora un po' di pazienza, così come aveva dec;iso l'ONU. I suoi amici hanno tentato di presentarcelo come un Radamès che torna di lauri cinto, ma il viaggio del vicepresidente Nixon al Marocco ha reso il tentativo impossibile. Nixon è andato al Marocco per prenderne possesso in nome degli interessi capitalistici americani. E poiché il Ma– rocco sostiene in pieno i (<ribelli» algerini, Nixon non ha avuto una sola parola per la Francia, la quale vanta ancora non si sa bene quale parvenza di autorità in Marocco. I colonialisti francesi non sono stati contenti. Essi dicono che se gli all).ericani_ s'interessano all'Africa (e non solo a quella del Nord), vuol dire che quei territori hanoo ancora un valore effettivo e che perciò la Fran– cia non può lasciarli. La testardaggine dei colonialisti non cede neppure davanti alla logica più evidente .. Se i francesi avessero fatto in Africa la politica che vi fanno gli americani, oggi la Francia non avrebbe forse più la sua bandiera sventolante (non ce l'ha più lo stesso) su molte terre africane, ma vi ·avrebbe i suoi' inte:r:essi salvaguardati. Invece non ha più né· bahdiera né interessi, e ancora non s'è accorta del suo irreparabile errore. Adesso si racconta che in Algeria le cose vanno me– glio; infatti pare che ogni giorno si uccida un numero sempre maggiore di algerini. Ma ci vorrà ancora del tempo: sono otto milioni! Cosicché,· tra i• semi-osanna di vittoria, le preoccupa– (segue a pag,.6, 1.a col.) 5 SETTE GIORNI NEL .ll10NDO PAI{ABO lJNGHER~JS L 'ARTICOLO pubblicato il 9 marzo scorso sul- - l'organo comunista ungherese da Joseph Revai, ex ministro della cultura popolare sotto il re– gime di Rakosi, in difesa di questo regime, è stato ora ristampato sulla Pravda, che ha così avallato la legit– timità della tesi che vi si sosten~va. Il fatto è in tanto più significativo, in quanto è ora arrivato a Mosca, per la prima volta da quando ha preso il potere con l'appoggio delle forze armate sovietiche, il primo ministro ungherese Janç>s Kadar, probabilmente chiétmato a rendere conto della sua ge– stione, che conta ora quattro mesi e mezzo di vita. La pubblicazione sulla Pravda di un articolo come quello comunista, dove questi fatti simbolici rivestono un'im– portanza analoga a quella dei fatti liturgici nel mondo ecclesiastico, alla vigilia della resa dei conti di Kadar, non è quindi un fatto puramente casuale. Aveva già sorpreso, come il preannuncio di una probabile evolu– zione della situazione interna ungherese, la pubblica– zione dell'articolo sulla stampa ungherese; ora, con l'avallo della Pravda, la riabilitazione di Rakosi e una probabile evoluzione della situazione ungherese nel pros– simo avvenire, dopo il ritorno di Kadar a Mosca, sem– brano 'entrare nel campo delle previsioni attendibili. Conviene, dunque, stabilire un rapido bilancio del– l'evoluzione interna unghere~e dopo il 4 novembre. 1. La liquidazione di Ernoe Geroe, il giornp stesso della prima insurrezione ungherese, che lo aveva cac– ciato dal potere a furore di popolo, fu· un atto di saggezza del comunismo sovietico e ungherese, che re– trocedeva di fronte all'impopolarità del primo intervento· sovietico, quello del 23 ottobre, e degli uomini che sul piano interno lo avevano reclamato e difeso. 2. Conseguenza diretta, non solo sul piano unghe– rese, ma su quello dei rapporti fra l'U;RSS e tutti i paesi a direzione comunista, di questa liquidazione dei nostalgici dello stalinismo e dell'asservimento delle de– mocrazie popolari all'URSS, fu la dichiarazione sovietica del 30 ottobre 1956, purtroppo effimera. 3. Infatti, spaventati davanti all'evoluzione estrema– mente rapida del regime interno ungherese, sotto la guida di Imre Nagy, ma soprattutto sotto la pressione delle forze popolari .e intellettuali, non già verso il fascismo o il clerico-fascismo, come fu poi detto per ragioni di autodifesa dai comunisti del mondo intero, ma verso la libertà, i dirigenti sovietici pensarono di riprendersi ciò che ritenevano di ·avere fatto male a · concedere: ossia l'indipendenza del popolo ungherese, che poteva essere preludio all'indipendenza e alla li– bertà politica dei popoli di tutte le democrazie popo– lari. e della stessà" Uniohe Sovietica. Donde l'invio di 5000 carri armati sovietici per schiacciare l'appena ri– sorta ·libertà ungherese. 4. Per riuscire a ottenere un lTiinimo di collaborazione· dagli ungheresi, l'URSS non poteva tornare a Rak'osi e a Geroe; e non aveva il coraggio di accordarsi con Nagy come si era accordata con Gomulka in Po– lonia. Aveva dunque bisogno di q·ualcuno che fa– cesse del « cen.trismo » (come si è già rileVato su que– sto giornale), condannando sia l'eresia, di destra di Nagy che quella di sinistra di Rakosi. Janos Kadar fu l'uomo adatto a questa situazione: come ex-collaboratore di" Nagy, incarcerato da Rakosi, era il più adatto a rinne– gare Nagy senza far nascere l'imp"ressione di un ritorno allo stalinismo. 5. Ma il « centrismo » di Kadar (e anche quello so– vietico, · n'el periodo in cui l'URSS si è rassegnata ad accettare il « revisionismo » di Gomulka, sempre più temperato, per la verità, negli ultimi tempi, in seguito alle pressioni sovietiche) non poteva essere che una posizione di transizione, o verso una ripresa di antista– linismo, in forme magari più controllate che nelle tu– multuose giornate del regime Nagy, o verso un lent_o ritorno alla sostanza dello stalinismo. Gli ultimi discorsi di Krusciov davano indicazioni in questo secondo senso. Adesso (dopo che Gomulka è stato costretto a mettere molta acqua nel suo vino), la parabola declina anche in Unglì:eria. · 6. Non si può prevedere ancora in quali forme Rakosi e Geroe potranno venire riabilitati. Lo stesso Revai era stato esiliato con Rakosi e bruscamente è comparso a Budapest e sull' organo del PC ungherese. Lo stes– so potrebbe accadere con Rakosi. Ma non è que– sto che importa. Ciò che importa è il diritto di citta– dinanza che viene di nuovo concesso al (< rakosismo )>, che è la forma ungherese dello stalinismo, nella :vita del movimento comunista in Ungheria. Che poi la per– sona fisica di Rakosi torni o non torni importa molto meno. Si può benissimo fare dello stalinismo anche dopo la· morte di Stalin. Ma questo ritorno allo stalinismo, prima ancora di dividere nuovamente il mondo in due blocchi ideologici, pone un problema di responsabilità e di coscienza agli stessi comunisti, i quali, dopo i fatti d'Ungheria, come molti di loro hanno già fatto, non possollo più non scegliere. La parabola ungherese rende questa scelta sempre più urgente e doverosa. PAOLO VITTORELLI
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