Nuova Repubblica - anno V - n. 8 - 24 febbraio 1957

(t '> t) uuova repubblir.a LUCI DELLA IUBALTA rfEATRO INEDITO di VITO PANDOLFI N ON SAREBBE difficile dimostrare, dati alla mano, che il nostro paese svolge attualmente una attività culturale per qualità e per quantità non superiore a quella svolta in paesi come l'Austria e la Svizzera, la cui popolazione ammonta · a circa un ottavo di quella italiana. La nostra attività culturale è dunque, propor– zionalinente, di otto volte minore a quella standard della cultura europea, ossia fra le nazioni che da circa tre millenni o due, a seconda dei casi, vedono fiorire nel 101:0 seno la ricerca artistica o scientifica. Si provino difatti a contare le tirature delle nostre edizioni cultu– rali, lo sviluppo dei nostri laboratori scientifici, i fre– quentatori abituali dei nostri spettacoli di prosa, o lirici, o dei nos·trì concerti. La vendita media di un volume non· supera da noi il migliaio di copie. L'insieme dei frequentatori abituali del teatro di prosa non supera, nell'intero nostro paese, le venti-trentamila unità, quante ne annovera cioè, da sola, la città di Vienna. In un bilancio così fallimentare la prima causa è certo da ricercarsi nel basso tenore di vita della nostra popolazione, che riducendo al minimo tempo libero e margine finanziario, permette solo a ristretti ceti, ap– partenenti in genere alla borghesia tradizionale, d( ac– costarsi ai prodotti dell'arte. Tuttavia questa non è la sola ragione. Evidentemente in Svizzera, come nella maggio1: parte dei paesi europei, il tenore di vita è net– tamente -superiore al nostro. Si consideri però 11caso di Vienna: Vienna è città Uen più povera di Milano e nono– stante questo la cultura vi trova maggior seguito. Dob– biamo dunque riallacciarci a situazioni storiche nazio– nali. Il fatto ~he l'Italia solo di recente sia divenuta na– zione, e che negli ultimi lustri della sua vita, in questo secolo, abbia affrontato prove così disastrose, particolar– mente per la cultura, soffocata. da schiaccianti egemonie ideologiche, concorre in buona misura a togliere nerbo e moralità a una vita sociale, in ciò stesso 3. ·toglierle il gusto del pensiero, àell'analiti, dell'esame critico, di una coscienza insomma: esigenza che è caratteristica di una vita sociale feconda e produttiva. Nell'ambito di questa situazione va inquadrata la vicenda attuale del nostro teatro di prosa, e qtlella che oggi appare la~sua più grave carenza: di non poter contare nel suo seno autori dram– matici che vengano a inserirsi nella vita culturale della nazione, quali elementi tra i più vivi e fervidi nella acquisizione di una coscienza, alla luce della quale lo spettatore si renda conto di quelli che sono i problemi centrali della nostra vita, aiutando a illuminarli, a con– trarvi una attenta meditazione, atta a prospettarne ri– soluzioni. Non intendiamo proporre un teatro didattico, o per• meglio dire ridurre l'attività teatrale a temi di– dattici. tutt'altro. Ma è evidente che un'opera teatrale conta in quanto trova un'intima rispondenza nello stato d'animo dello spettatore, fa eco a una sua condizione psi- cologica più o meno confessata. · Di fronte alla constatazione di una lacuna così grave, sorge spontanea una domanda: è possibile che nel corpo di cinquanta milioni di abitanti non si possa trovare quel nucleo di energie sufficienti a porre le basi di un teatro nazionale, cioè di un teatro drammatico scritto dagli ita– liani di oggi per gli italiani di oggi? E' evidente che sono Je circostanze a impedire la nascita, e più ancora la maturazione di autori drammatici. Vorremmo quindi chiarire da un lato la natura e l'azione di queste circo– stanze, dall'altro come non manchino davvei;o in Italia autori di sicure qualità drammatiche, a cui solo queste circostanze impediscono di darci un repertorio nazio– nale. Esistono - e in folto numero - autori i ·cui co– pioni, inediti per la scena, indicano sicure possibilità. Non esitiamo a sostenerne i valori. E' vero che un co– pione può venir giudicato in modo definitivo solo quando si presenta alla ribalta, e col dovuto decoro. Come è vero che un autore teatrale può maturarsi non a tavo– lino, ma dopo aver affrontato a diverse riprese l'espe– rienza della ribalta. Noi non vogliamo affermare che nei copioni lnediti sia nascosto l'oro. Per i motivi di matu– razione che abbiamo esposto, ciò non sarebbe possibile. Intendiamo solo chiarire che vi sono i germi: e che que– sti germi, se avessero trovato un terreno favorevole, avrebbero dato piante e frutti non sporadici ligustri de– stinati ad essiccarsi. Nè si dimentichi che sovente un ingegno, sotto la pressione delle circostanze, finisce per adulterarsi e per rassegnarsi a forme secondarie, inno– cue. Occorrerà qt.Ìindi tener conto dei copioni di autori noti, anche « arrivati>>, che pur costituendo forse il ten– tativo più nobile deffa loro attività, non sono riusciti ad arrivare sulla scena. Conducendo un esame attento, sep– pure forzatamente incompleto, dell'inedito, potremmo giungere all'incredibile conclusione che, con ogni proba– bilità, è più importante nel nostro paese il teatro non rappresentato, e nella presente situazione irrappresenta– bile, di quello che normalmente compare sulle scene. Ab– biamo cioè un campo molto più vasto nelle aspirazioni - per una ragione o per l'altra infrante - che nelle realizzazioni. Ciò caratterizza in modo abbastanza pal– mare la realtà di una condizione storica. 7 A VENEZIA - H Ai tempi di Sepc era r,iù "stupefacente" 11 (Dis. di Dino Boschi) • BIBLIOTECA ITALIA E STATI UNITI G UARDARSI allo specchio non fa mai male an– che quando ,ci obbliga a riconoscere che siamo meno belli di quello che credevamo. 11 libro di Stuart Hughes, Italia e Stati Uniti, pubblicato alla fine dell'anno scorso in traduzione italiana (Firenze, La Nuo– va Italia), è un ottimo specchio, pulito, senza increspa~ ture; consiglio a quanti sinceramente vogliono compren– dere cosa si~o l'Italia e gl'italiani, a leggerlo. Può ser– vire a scenderè. da quell'Olimpo sul quale, con grande soddisfazione' della massa di semi-intellettuali di cui si compone la « intellighenzia>>, ci trasportàno la boria, la vanità, e la retorica che è troppa parte delle cultura ita– liana. Nella descrizione che dà Hughes c'è del bello e c'è del brutto: gl'italiani sono il risultato della fusione di tre razze pr-incipali, la mediterranea, l'ariana e la dinarica (più, aggiungerei, un numero indefinito di altre razze, dai nordici ai sudanesi); sono in generale bubni padri di famiglia, sobri, lavoratori, profondamente at– taccati alla famiglia, la casa, il villaggio; li caratterizza uno scetticismo bonario tendente all'indifferenza, un fa– talismo pazienté al quale si contrappone un· individuali– smo quasi anarchico;· hanno la passione del cerimoniale e delle apl)arenze; li schiaccia il fardello della loro sto– ria, ed una I struttura sociale eccessivamente gerarchica. Stuart Hughes è uno dei giovani storici maggiormente quotati negli Stati Uniti. Educato ad Harvard, dove è ri– tornato recentemente come professore di storia europea moderna, era compagno di studi di due altri storici, lo Schlesinger - nel quale oggi i liberali americani · (in Italia sarebbero dei socialdemocratici) riconoscono una delle loro massime personalità intellettuali -, e il Vie– reck, portavoce e profeta del neo-conservatorismo ame– ricano. Come parecchi altri giovani della sua generazione ad Harvard, Hughes s~ntì l'influenza di Salvemini che allora vi insegnava. Conosce bene l'Italia dove passò parte del periodo di guerra quale ufficiale della OSS, e dove è ritornato parecchie vo~te durante il dopoguerra. E' animato da sincera amicizia per il popolo italiano. Il titolo del libro può trarre in errore: degli Stati Uniti si parla poc~ e come di sfuggita: l'autore accenna naturalmente all'emigrazione italiana verso gli Stati Uniti. alla scoperta che gli americani fecero di un'Italia di cui non sospettavano l'esistenza durante la seconda guerra mondiale, alla voga che ebbero durante il dopo– guerra la nazione e le cose italiane negli Stati Uniti. Nelle ultime quattro pagine, quasi si trattasse di un ripensamento, dà alcuni consigli ai suoi cittadini: di abbassare le tariffe doganali e di rivedere le leggi sul– l'emigrazione in senso favorevole all'Italia, di aiutare fi– nanziariamente a risolvere il problema del Mezzogiorno. Più esatto è il sottotitolo: « Un secolo di storia italiana visto da un americano>>. Questa è la parte che i lettori italiani dovrebbero meditare: il risorgimento, l'esperi– mento liberale, il fascismo, l'affermarsi della democrazia cristiana. Hughes si pone la domanda che si pone in ge– nerale la minoranza dei democratici italiani: << Come può una democrazia di tipo .. occidentale sorgere da una società che è rimasta fondamentalmente conservatrice, stratificata e profondamente radicata nelle forme dell'età pre-industriale? ». E verso la fine del libro accenna ad « un pericolo molto preciso, un regime clerico-corpora- tivo sostenuto dai grandi proprietari ed una mentalità conformista ... E' questo l'avvenire vagamente intravisto di cui gl'italiani si preoccupano quando parlano della evoluzione del governo in regime. Chiamano questa so– luzione Salazar. Perché pensano ad un futuro in cui il loro paese potrebbe essere governato come lo è_ oggi il Portogallo, da una dittatura di mentalità cattolica, mite se si paragona alle abitudini totalitarie di questo secolo, ma inefficiente, arbitraria, e testardamente avversa a tutte le forme di mutamento sociale e intellettuale ». Componendosi la storia in gran parte di valutazioni, il critico può sempre trovare qualcosa da ridire in un libro di storia. A mio parere lo Hughes tende ad esage– rare lo scetticismo italiano; in apparenza c'è; in realtà, è forse meno diffuso di quello che si creda. Il fatto che il fascismo rappresenti l'unico contributo importante della nazione italiana durante l'epoca contemporanea alla cultura europea (se di cultura si può p_arlare a proposito di un movimento ignobile come quello fascista), è colle– gato alle caratteristiche acquistate nel corso dei secoli dagl'italiani. Anche l'indifferentismo religioso è forse meno marcato di quel che sembra: gl'iia1iani ridono del clero e, spesso, della religione; ma c'è un settore assai– considerevole della popolazione per la quale il cattoli– cesimo è una realtà vivente, che abbraccia tutti gl'innu– merevo)i aspetti de1Ia vita sia individuale che col1ettiva. Basta che appaia un protestante o un libero pensatore perchè' intorno si erga una barriera minacciosa, composta non solo di preti e di agenti di pubblica sicurezza, ma anche di cittadini di tu'tte le classi. II successo della democrazia cristiana, prima di essere un fatto politico, è un fatto etico-religioso; da quando è incominciata cin– quant'anni fa la seconda, o piccola contro-riforma che ebbe inizio con la condanna del mÒdernismo, il cattoli• cesimo ha ripreso in Italia gran parte del terreno per– duto durante le generazioni precedenti. I modi di pen– sare acattolici si sono indeboliti, nel senso che pochi ardiscono affermare pubblicamente di non essere cat– tolici; i rriarxisti, che avrebbero potuto prendere l'eredità dei liberi pensatori ed ai quali avrebbero dato il loro appoggio cristiani non cattolici, hanno creduto di agire con grande accorgimento quando, per attirarsi le masse, hanno detto « siate pure cattolici, non vogliamo che ri– forme sociali »: facendo così, si sono tagliati il terreno sotto i piedi; i loro voti domani per il novanta per cento possono ritornare alla Chiesa e a chi gode la fiducia del1a Chiesa. Hughes non mette in rilievo il fatto che la nazione italiana di oggi è quale l'ha fatta, durante la seconda metà del XVI secolo, la contro-riforma; per for– tuna ci furono, dopo la fine del controllo politico spa– gnolo sùll'ltalia, due secoli d'indebolimento del cattoli• cesimo; durante quei due secoli poterono penetrare in Italia idee liberali inglesi ed idee democratiche francesi. Ma per la massa della popolazione (e nella massa ci metto tutte Je classi sociali) liberalismo e democrazia (ed anche il socialismo come affermazione ài libertà) sono rimaste cose- estranee. Stuart Hughes ha perfetta– mente ragione quando parla di salazarismo: il pericolo è però fqrse più immediato di quello che egli suppone, perchè il cattolicesimo sta facendo progressi sul terreno che (contrariamente a quanto affermano marxisti del– l'una o dell'altra persuasione) più conta, il terreno delle attività del1o spirito. J\IASSIJUO SALVADORI

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