Nuova Repubblica - anno V - n. 5 - 3 febbraio 1957
(148) nuova repubblica 7 LUCI DELLA RIBALTA Ilj (Jll{CO DI PEKINO di VITO PANDOLFI L O SPETTACOLO che il Circo di Pckino ha man– dato in tour·née in Europa si è trnvato per forza • cli cose piuttosto a disagio nella pesante e goffa al'chitettura del tea.tro Sistina., in un ambiente anziché festosamente popolal'e, piuttosto immusonitò, l'occl.iio poco attento_ a gustare le sottili raffinatezze di questi giocolieri e acrobati. Avremmo voluto vederlo opernre in una piazza oppure sotto i poetici tendoni che raccolgono le folle del circo, sentirlo cfrcondato dalle acquarellate immagini orien– tali di festoni e di fi ori. Ma su perato il momento di gelo iniziale, la gl'8:,:,iae la deshez.z a di Questi artisti ha piena– mente conquistato e ha creato attorno ad essi un nuovo fervido ambiente di fantasie, che si librava al di sopra delle tavole del palcoscenico, acquistando la sua freschezza e la sua fel_icità originarie. Si trattava in fondo di uno spettacolo peJ' tecnici, per amatori, e non per profani attenti solo al grossolanamente $pett..acolare. Mancava di quella varietà e diversità che il music•hall offre solitamente per evitare un'attenzione troppo impegnativa.. Nei suoi mirabifi tour de /orce, an· dava al di là dei limiti conosciuti in Occidente, al punto che difficilmente si riusciva a percepire con esattezza fin dove si avanzava la suprema bravura del numero. Rac– conta Rastelli che quando dopo lunghi sforzi riuscì a su– peraJ·e il record dei palloni con cui giocava, giungendo al 11uff10rodi otto, il pubblico non dimostrò alcun parti– colai-e entusiasmo per l'esercizio, non riuscendo• a com– prendere quale )jmite si fosse sorpassato, a rendersi conto della sua estrema abilità, in un gioco così rapido. Ma Rastelli continuò a giocare con ·otto, riscnotendo lo stesso successo che otteneva con sette, solo per Ja propria intima soddisfazione, per sentirsi così affinato nella sfida alle leggi delle possibilità wnane. In questi artisti si avverte Io stesso intimo convincimento, coronato da un'armonia senza _pai-i,..in_cui...lo...s!o.rz0-e..la....tens.ione si..tramutano in espre,'3- sione figu1·ativa, quasi ideograr:nmi, e il superamento delle consuete facoltà naturali si ordina in nuovo ritmo e disegno arabescato di formule che indicano la conquista dello spazio e degli equilibri compiuta a volte con un sem– plice gioco di muscoli, a volte se1·vendosi di piatti, o vasi, · o sedie incolonnate, per raggiungere un sorprendente ubi consistam,. Si tratta per lo più di una fusione tra 11gioco– liere e l'acrobata. che ai nostri occhi risulta del tutto nuova e ·inattesa. Le evoluzioni espongono il frutto di esperienze secolari, tramq.ndate e approfondite di genera– zione in generazione, così che oggi è possibile farle appren– dei-e all'adolescente, e dare loro, attraverso· la sua gr~ia, nn aspetto di naturale li berazione dai vincoli e dalle leggi che sembrano incatena.re il nostro fisico. Nella prima.vera dell'adolescenza il travaglio di un'esperiEinza e di una abi– lità acquisita, sembra purifìcarsi in sublimazione. Questi che sembra.no sche,~i;i e scommesse contro la logica da cui abitualmente ci lasciamo dominare, traggono jn verità la loro forza da complesse esperienze di vita, e spesso, riferendosi ad argomenti della vita quotidiana nel suo duro lavoro, ne rendono come l'idea, la significazione figurativa: ora, nel gioco dei vasi, si ripete il contratto tra il contadino e il mercante di grano, ora, nel gioco delle tazze accumulate sulla testa in forma di pagoda, l'umile lavoro casalingo della donna trova un suo insperato di– ve1tirnento, ora, facendo trillare e rotolare un tridente attorno al proprio corpo come una bacchetta magica, il quotidiano strumento del lavoro nei campi trova una sua trnsfigurazione fantastica che ne rende allegro il compito. L'imitatore di voci d'animali, per il cui prestigio tutta una. fattoria viene a rivivere, all'alba, quando si ridesta, assorbe l'esperienza del contadino ogni giorno a quella diana, a cui lo legano teneri sentimenti, la consapevolezza cli un suo mondo. Il mago ci .presenta, con mezi,i miraco– losi, 11n banchetto traboccante di meravigliose leccornie; e i piatti li servono i giocolieri facendoli vorticosamente girare .sulle loro lunghe bacchette, che divengono steli di •fiori. li sorriso, la benevolenza, la fiducia, accompagnano lninterrnttamente queste esibizioni: è il sorriso stesso della vita nei suoi liberi aspetti, quando riesce a non sentirsi sopraffatta dalie circostà.nze in cui opera, perchè Je pa– droneggia e le trasforma. La vita di un popolo viene riflessa in queste manife– stazioni (che si direbbero minori, ma che sono invece J1ello. loro rnoclestia le più schiette)-. sotto· un triplice ri- · g1.1a1·clo:quello figurativo, nel presentare questi esercizi or– dinati secondo il suo modo di riffettern la realtà sensibile, Bila luce di una lirica e limpida fantasia; quello tratto dal– l'esperienza della vita e del lavoro quotidiano, nel dare un oontenuto e una reale. ispirazione agli oggetti ed alle evo– luzioni nei loro numeri; que-Ilo intellettivo, una concezione 'dei compiti e delle possibilità offerti alla vita, le tradizioni di pensiero e di saggezza., che nello spettacolo vediam0 tradotte in aisance, in una padronanza a tutta prova, dei nervi e dei muscoli, in uni;\ continua presenza a se stessi. Assistere _al Joro spettacolo è scoprirne !acolt-il.inattese, una nuova nustura. .DIRETTIVE ~ H Com.pag-no pittore: astrattismo! astrattismo! 11 (Di.,. di Dino llo:sd1i) DUE COLOSSI di FERNALDO DI GJAMMATTEO C E NE S~.O altri in giro, ma occupiamoci solo di questi' due. Uno. è il « colosso » per eccellenza,. il Guerra e pnoe italo-americano che è piaciuto a tutto il mondo. L'altro è il Moby Dick anglo-americano che Huston ha ricavato da Melville e che Gregory Peck ha interpretato come peggio non si poteva. Dunque, i << colossi>> sono sempre di moda. Senon– ché, a differenza di un tempo (e con l'unica eccezione di De Millé rimasto lo stesso cafone di genio che ignora la cultura), i registi cùi tocca la fatica di organizzarli, si mostrano alquanto più ambiziosi e intellettuali. Oggi a Cabiria, a Ben Hur, a Via coi ve-n-Ìo si preferisce un · pizzico di maggiore impegno, e si ha il coraggio di di- chiararlo con una certa soddisfazione. Facciamo Tolstoi, facciamo Melville 1 facciamo Omero. Segno di pazzia? Non soltanto. Nemmeno l'idea di mettere insieme In– ferno Purgatorio e Paradiso per una Divina Commedia cinematografica è indice di pazzia. E', piuttosto, indice di improvvisa (ma volonterosa e commovente) cultura. Perché poi, quando si passa alla concreta realiz– zazione e si pongono al lavoro sceneggiatori registi attori e tecnici, ecco addirittura uno scrupolo certosino, un rispetto sincerq per gli originali, un desiderio intenso di far bene e seriamente. Guerra e pace è, da questo punto di vista, un film nobilissimo (e non si venga a rispolverare il confronto con Via coi vento, opera igno– bile sia per le origini che per la fattura). Moby Dick conserva qualche volta il carattere epico e solenne del romanzo, accentuandone se mai la forza rappresentativa, ·]a dinamica esterna. Entrambi appaiono pressoché in– discutibili se li guardiamo con l'occhio della cultura: nessun « tolstoiano » -e nessun « melvilliano » potrà stril– lare al tradimento o alla profanazjone. Ma il punto, forse, non è qui. Aperta l'era dei te co– lossi » nobili, accettate nel cineni.a le esigenze degli uomini colti, ci domandiamo quali vantaggi possa ri– cavarne l'arte del film. Se ne ripercorriamo la storia, ci avvediamo che i capolavori nacquero lontani dalla cultura, intesa in senso stretto e tradizionale: pensate ai film di Griffith, a quelli di Eisenstein, a quelli di Chaplin, tutta gente « irregolare». Per contro, alcuni esempi luminos( (le tragedie shakespeariane trasferite da Olivier sullo schermo) dimostrano che nemmeno il vantaggio artistico può essere escluso· a priori. Lo si ha raramente, però. Se l'arte del film ne ha vantaggi scarsi, possiamo dire che ne abbia di più la. cultura? Guerra e pace, Moby Dick, Ulisse contribuiranno alla conoscenza di– retta di ToJstoi, Melville, Omero? C'è da dubitarne. « Co– lossi » i film, « colossi». (anche quantitativamente) gli originali, è probabile che lo spettatore si accontenti della ripassatina fornitagli dal cinema ed eviti la fatica di una lunga lettura. Anzi, H film consolida _(e giustifica) la sua pigrizia. Vorremmo essere smentiti, ne saremmo molto lieti. Non rimane, come ·di solito, che trarre· dai fatti il consiglio a non generalizzare e a non uscire dal semi– nato. Tutte le ipotesi, come si vede quando ci si pone sul piano generale, sono possibili. Ma quel che conta .è pur sempre il caso per caso. E qui occorre dire - a proposito di G-uerra e pace e di Moby Dick - che la cosa migliore da farsi è accoppiare al rispetto per la cul– tura il rispett,o del cinema (non parliamo dell'arte, par– liamo dello spettacolo). King Vidor e Mario Soldati, autori di Guerra re pace hanno invece rispettato più la cultura che il cinema: il loro dignitosissimo film con– centra, riassume e semplifica l'ordito tolstoiano con la preoccupazione di creare alcuni personaggi (Natascia, Pierre, Andrei, Rostov, Nikolai, Anatol, ecc.) che siano per quanto possibile non indegni degli originali. Per far questo, ammassano molti episodi e sottoepisodi, analisi e divagazioni astrattamente efficaci ma non sem– pre «.funzionali» in rapporto allo sviluppo del dramma. Tutto, nel film, si vede. con piacere (tra l'altro, la foto– grafia di Krasker e Tonti è molto bella, la scenografia di Mario Chiari e i costumi della De Matteis sono quasi ineccepibili). E' anche. tutto essenziale? Se Guerra e pace fosse stato, poniamo, ridotto di un terzo, ne avrebbe sofferto? Forse no. E <iuesto ci s-=;mb:·a il vero limite spettacolare di uh film così serio e impegnato (e reci– tato benissimo da Audrey Hepburn, Henri Fonda ed anche, perchè no?, da Mel Ferrer). Moby Dick è cad~to nelle mani di un regista più abile e cinematograficamente più sensibile. Huston ha costruito all'inizio un blocco narrativo e descrittivo stu– pendo, ed ha cercato per il tutto il resto del dramma di mantenere un rigoroso controllo cinematografico de11a materia. Ne ha fatto un film di avventure, si dice. Ma– gari l'avesse fatto sino in fondo, perchè le deboJezze delh parte centrale nascono. proprio da quel rispetto cultu– rale che gli ha impedito· di procedere libero per la sua• strada, nella grande impresa ma:t:inara fine a se stessa. Anche un uomo astuto come Huston può cadere nella trappola. E il cinema, naturaJmente, si è vendicato. I « colossi» si giustificano per se stessi, anzitutto. Il cinema si giustifica col cinema. Va bene la cultura, con relativo rispetto. Ben venga. Però, non insinui eccessivi timori nel cervello dei cineasti, ai quali spetta il dovere di essere tali comun(lue, ar:iche a scorno dei santi (Tolstoi o Melville o Dante - sì anche Dante - che siano), se necessario. Prodotti di una industria ma– tura, i « colossi » debbono possedere la coerenza dei prodotti industriali di un certo tipo. Tanto meglio se sono dignitosi e culturali (e non sono Soltanto Cabiria o Via coi vento), ma meglio ancora se, essendo tutto questo, sanno mettere bene in vista il. proprio marchio idi fabbrica.
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