Nuova Repubblica - anno IV - n. 52 - 23 dicembre 1956
(142) nuol'B repubblica UN UOl\10 TRANQUILLO - Dialettica e distinzione (Vis. di Dino Boschi) LUCI DELLA RIBAL.TA I DIABOLICI di FERNALDO DI GIAMMATTEO N ON SIATE diabo1ici. Non raccontate a nessuno (( la trama di questo film ». Per carità, noi siamo così angelici che non solo non racconteremo a nessuno la trama ma parleremo del film il meno possi– bile. Ci mancherebbe altro. Clouzot vuol fare il furbo, come si dice, per non pagare il dazio; chi gli ha prodotto il film, e chi ora glielo distribuisce, pensa di ricavarne un mucchio di quattrini. Hanno perfettamente ragione tutti. 1 Se esistesse un premio per la pubblicità cinemato– grafica, lo vincerebbe di corsa· chi ha inventato quello slogan. Anzi, lo viricerebbe chi ha avuto l'idea di inti– tolare il film I diabolici. Perché talvolta la grande astu– zia consiste proprio nelle cose semplici. Il film non conta niente: è uno scherzetto brutto e greve, privo di gusto, una storiella ridicola quanto può esserlo un romanzo giallo francese preso sul serio. Però assolve egregiamente alla sua funzione, che è quella - come s'è detto - di procurar quattrini a· Clouzot e ai suoi amici. E vediamo questo Clouzot. E' un uomo di non comune acutezza, mestierante infallibile, ingegnaccio non privo di idee, sfruttatore abilissimo delle mode contemporanee. Sembra che sia anche un uomo pieno di rancori, a· giu– dicarlo almeno da Certi film precedenti, come Il corvo, Legittima difesa, Manon, Vite vendute, nei quali ha voluto dichiarare il suo disprezzo e il suo livore per la umanità che lo circonda. Disprezzando l'umanità (gli uomini in genere, e il pubblico cui si riyolge), disprezza se stesso. Lo sa, e non gliene importa. Contento lui, nulla da eccepire. Ne ricava, in compenso, soldi e ammirazione. Si può star certi che non smetterà tanto presto. Contenti chi gli dà i soldi (per guadagnarci lautamente a sua volta) e chi lo ammira, neppure qui nulla da eccepire. Solo che sarebbe bene cominciare a distinguere. Un re– gista che imbastisce una storiella come quella dei « dia– bolici» con feroce accanimento, e che è disposto a ve– nerare la fregola omicida di due amanti per ricavarne effetti di bassa lega, non ha il diritto di preter.dere la qualifica di artista. Del resto, è probabile che' lui non la pretenda. Sono gH_ altri che gliela attribuiscono. Dobbiamo confessare che, per parte nostra, preferiamo Mickey Spillane ( in letteratura, per così dire) e Alired Hitchcock (nel ci– nema), ma nutriamo al tempo stesso profondo rispetto per quanti dànno credito a Clouzot. Li possiamo anche comprendere. Clouzot è tanto abile da mascherare il vuoto che ha nella testa per un raffinato modo di inten– dere, e praticare, l'arte cinematografica. çhi sente incli– nazione per le storie cosiddette «forti» (che sono poi debolissime), può facilmente cadere nella innocua trap– pola del francese. Ci cade e ci sta bene: bene per lui, bene per noi, come al solito. Però vorremmo consigliar-· gli una rilettura accurata, tanto per citare un nome, di Edgar Allan Poe. Così constaterà la differenza che corre fra Clouzot e un artista, senza bisogno di sottoporsi a lunghe meditazioni. Insomma 1 Clouzot non è un problema. Non lo è mai stato, veramente, anche se Manon e Vite vendut>z pote– vano trarre in inganno meglio del complotto dei « dia– bolici ». Il problema è quello di certi critici. I quali ci 1}spondon~ ~~: chi_ non ~pprezza Clouzot è da compa– tire perche e "sprovvisto dr quel gusto raffinato e sottile, di quella intelligenza sveglia e. di quella capacità di sco– prire il soffio dell'arte che distinguono un critico vero da uno finto. Noi potremmo rovesciare tranquillamente il discorso e saremmo a posto. Se fossimo « diabolici », come il caso richiederebbe, potremmo anche elencare i film che piacciono a quei critici (per esempio Dietro lo specchio), e il discorso sarebbe compJeto. Ma, appunto perché Clouzot in fondo ci lascia :indifferenti, siamo troppo raffinati per discutere di tali cose. Segnaliamo solo il fatto. E vediamo il pubblico (lasciamo· stare produttori e dist.ributori, perché quelli fanno benissimo il loro me– stiere). Dinanzi alla prima parte del film, si annoia. Non lo dice perché non vuol confessare di aver sbagliato, e poi perché aspetta che venga il bello (cioè l'orripilante, il brivido, la scossa). Il bello viene, e la scossa pure. Le donne lanciano piccoli urli, i più sensibili distolgono gli occhi dallo schermo. E sapete perché? Perché, in un cor– ridoio buio e lunghissimo, una porta cigola sinistra– mente; oppure perché sulla ringhiera di una scala sci– vola una mano guantata; oppure perché si ode, nel si– lenzio della notte in una scuola che assomiglia a un maniero, il ticchettìo di una macchina da scrivere. Tutti gli spettatori, chi più chi meno, hanno i brividi. Senonché, oggi gli spettatori (che pretendono di es– sere meno ingenui di quelli del cinema muto) si vergo– gnano di aver paura. Qualcuno in sala tenta una risata stridula, come chi voglia farsi coraggio. « Perdiana, ma dobbiamo farci spaventare da un film?». Così, si ride. Clouzot, è vero, li ha abbindolati, e la fifa gliel'ha fatta venire, ma non' proverà mai la soddisfazione di sentir– selo riconoscere. Tutti diranno, all'uscita del cinema, che il film provoca ilarità. « Ma voi credete proprio che ci faccia paura un film? Via, non scherziamo». Ecco, que– ste sono le reazioni del pubblico. In altre parole, l'ingenuità dello spettatore chiuso in una s~la buia esiste ed esisterà sempre, perché fa leva su quel tanto di infantile rimasto in ciascuno di noi, nel nostro modo di vivere, nella nostra civiltà. La magia e l'astrologia non le distruggerà mai nessuno, forse: fanno parte di noi stessi. Bisogna, però, che abbiano la possi– bilità di scaricarsi. Oggi si"scaricano attraverso l'ipocrisia e lo scetticismo, l'astuzia ostentata. « A noi non ci fanno fessi », lascia intendere l'ingenuo. Ossia, trema e ride. Solo alla fine ride apertamente e senza un fine da nascondere. Perché a quel punto Clouzot è tanto malde– stro da svelate precipitosamente il trucco degli amanti con una scenetta puerile (altro che diavolerie). Succede anche ai furbi. Complimenti a Simone Signoret, attrice di prim'ordine; e complimenti a Charles Vane!, poliziotto bravissimo. Peccato per gli altri, per Vera Clouzot e Paul Meurisse. 7 _B I B LI O 'l' E CA. • LE RELAZ[ONI JNTERNAZIONALI DELLA·GERMANIAQCCJDENTALE I L~ DI_SSIDIO spirituale della Germania con PEuropa :t> d1 cm Benedetto Ci·oce parJava nel 1944 è ormai solo un ricordo, che tende sempre pili ad .attenuarsi. Sono ~pr~si, n_on npp?na la situazione lo ha perme.Sso, i con– tatti e gli scambi tra studiosi) tecnici e lavoratori. E la si– tuazione politica mondiale, con la divisione in blocchi ha affrettato il ritorno con tutti gli onori della Germania 1 del– l'Ovest nella comunità degli stati occidentali, e della· Gei– mania de~l'_Est nel_la ~01:nunit;t degli stati Ol'ientali. Ma quali s~no stati 1 canali che hanno l'eso più (acile questo riavvi– crnamento? E quali sono i fatti politici che hanno sanzio– natai fino a renderla praticamente definitiva - come è oggi -, la divisione della Germania in due stati nemici e rivali? Molte di queste domande possono trovare una i·ispo.o;ta nel recente volume ( Les relatfons hiternationales de l'Al– lemagne occidentale, Paris, Librairie Colin, 1956) che, sotto la direzione di quel noto specialista di questioni tedesche che è Alll'ed Crosser, raccoglie una serie di studi sui pro– blemi permanenti della poli'tica estera tedesca (le relazioni tra le due C:ermanie; la linea Oder-Neisse), sull'inseri– mento della economia tedesca in quella occidentale, e in– fine sui rapporti internazionali delle chiese e dei partiti tedeschi. Quest'ultimo gruppo di saggi fornisce informazioni in gran pal'te nuove; chiunque si occupi cli cose tedesche dovrà leggerli con attenzione. Molto importanti. a:nche gli studi sull'economia. Ma il contributo più interessante pub– blicato in questo volume è il saggio di Antoine Wiss-Verdier sulla storia dei rapporti tra le due Germanie dal 1!)45 al 1054. Tra il 1945 ed il 1947 i tedeschi - e non solo essi, del resto - non si erano ancora resi conto della situazione del loro paese; essi pensavano che prima o poi si sarebbe ar– rivati alla stipulazione cli un trattato di pace tra le po– tenze occupanti e lo stato tedesco; in vista di ciò, essi ri– tenevano necessario getta1·e le premesse per la costituzione di un governo pantedesco, che fosse in grndo di discutere il trattato con le potenze occupanti. La solidarietà nazio– nale aveva inso1nma piii l?eso dei fatto1·i ideologici; tanto che i più attivi promotori di contatti tl'a i partiti e le au– torità. tedesche delle diverse zone di occupazione erano proprio i democristiani (e si pensi invece alla politicn di assoluta chiusura verso l'Est che Iu praticata dopo il 1049 dal cancelliere Adenauer). Gli ostacoii i1wece erano sollevati da una parte dai so– cialdemocratici1 dall'altra dai comunisti. Il contrasto ded– vava da una questione di carattere organizzativo: i comu– nisti, che ·sapevano di essere largamente m.inoritari, esige– vano una fusione del loro partito con quello socialdemocra– tico, sul piano della parità di rappresentanza; e lo scopo della richiesta era evidente: solo così sarebbe stato possi– bile formare una lista che, almeno nella zona occupata dalle truppe russe, ottene:-:se la maggioranza assoluta di voti. I socialisti, che eran coscienti di essere molto più forti e che non intendevano costituire un governo che ap– poggiasse i russi, non ne volevano sape1·e; tanto che un referendum t1·a i socialclemoc:,rntici di Bedino dette una schiacciante percentuale ( 82 %) di voti contrari alla fu– sione. Malgrado ]'atteggiamento della base, l'apparato so– cialdemocratico della zona orientale, sotto la pressione de1Ie 'autorità di occupazione e sçitto la spinta di Otto Grote– wohl, si pronunziò per la fusione (19 aprile 1946). Da que– sto momento il partito socialdemocratico della Germania occidentale (SPD), guidato da Kurt Schumacher, si rifiutò di avere rapporti con il partito unificato (SED), e non solo sul piano dei partiti, ma anche dei rapporti tra 1e au– torità locai.i. Cli ultimi tentativi di stabilire contatti ira i presidenti dei Laender (stati regionali) falliscono, sia per gli ostacoli frapposti dai comunisti, che non vogliono ri– mettere in causa i risultati raggiunti, che per quelli dei socialdemocratici, che accusano liberali e democristiani cli essere troppo « molli> di fronte a coloro che essi ormai considerano solo agenti della Russia. Ed è proprio per l'impossibilità di un accordo sulla si– stemazione della Germania che i rapporti tra le grandi po• tenze si tendono; si arriva al blocco di Berlino, inizia la guerra fredda, e il sipario di ferro non ca]a solo tra due organizzazioni statali, ma anche tra i cittadini di uno stesso paese. Alcune cifre fanno riflettere.: tra il Lo ottobre 1953 e il I.o ottobre 1954 quasi 200.000 tedeschi passano dalla zona sovietica in quella occidentale; ma di questi circa un quarto (44.000) torneranno dopo alcuni mesi nella zona orientale; e sempre nel 1954 da una in~hiesta condotta dall'Istituto di Demoscopia di Allensbach tra i cittadini della Germania occidentale risulta che per il 79% degli operai inte1~rogati le in dustrie nazionalizzate nella zon_a orientale dovrebbero, in ca.so cli uniticazion~, ~ssere restt• tuite agli antichi proprietari. Sono due mentalità comple– tamente diverse che si sono formate; ed il solco rischia di approfondirsi sempre di pili. CLAUDIO CESA L'ECO DELLA STAMPA UFFICIO DI RITAGLI DA GIORNALI E RIVISTE Direttore: Umberto Frugiuele Milano, Via G. Compagnoni 28 Corrisp. Casella Postale 3549 Telegr. F.costampa
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