Nuova Repubblica - anno IV - n. 52 - 23 dicembre 1956
(142.) nuova _repubbli~a 3 RILANCIO DEL SOCIALISMO MONDIALE EGUALITARISMO E BENESSE Il legato lasciato dal governo laburista non è socia'lismo, ma stato del benessere con un settore di pro– prietà pubblica. L'instaura2.ione del .socialismo non si fonda soltanto .su certe misure economiche, ma an• che su un modo di vivere egualitario, su eguaglianza di diritti e di aspirazioni riconosciuta a ogni uomo V ILCAMMINO DEL SOCIALISMO ININGHILTERRA I L GOVERNO laburista brit~nnico, fra il 1945 e il 1950, non si limitò ad emanare una serie di de– creti relativi ad importanti misure di riforme so– ciali, ma nazionalizzò altresì un settore economico di sostanziale importanza: miniere di carbone, trasporti interni, aviazione civile, elettricità e gas, e la Banca d'Inghilterra. Nei confronti di altre industrie, esso si assunse inoltre considerevoli poteri di. controllo, eredi– tati dal periodo della guerra; e nello stesso tempo tentò di introdurre un'economia pianificata e di dirigere lo sviluppo economico secondo criteri di utilità sociale. Mantenne l'elevata tassazione di guerra sugli alti red– diti come su certi generi di consumo; ma non attac..::ò i ·diritti di proprietà, salvo che con imposte progressive sul reddito: cosicché i ricchi mantennero la loro po– tenza capitalistica, anche se ebbero m!oori entrate di. cui disporre. Né in alcun modo intaccò il diritto eredi– tario, o prevenne l'accumulo in mani private di nuovo capitale, derivato dall'accantonamento di profitti indu– striali, diventato ora il sistema principale di accumu– lazione capitalistica. Il gover(lO laburista infine non ebbe bisogno di prendere speciali provvedimenti per mante:. nere il pie"no impiego, poiclié, per la congiuntura postbel– lica, la mano d'opera era scarsa in rapporto alla do– manda, situazione questa che mise i sindacati in una posizione di forza •in sede di contrattazione. La direzione delle industrie nazionalizzate fu affidata dal governo laburista a Ùffici o comitati dipendentf dallo stato, ma forniti di amministrazione autonoma; e vi vennero introdotti organi di reciproca consultazione for– mati dai rappresentanti di codesti uffici e dai lavoratori ivi impiegati, rappresentati dai propri sindacati. Ven– nero anche istituiti Consigli dei Consumatori, che di– sposero per altro di poteri insignifiCanti. In pratica, seb– bene parecchi funzionari della preesistente organizza– zione sindacale entrassero a far parte degli uffici ,o dei comitati, le nuove dirigenze non erano molto diverse dalle antiche, salvo che esse rappresentavano monopoli pubblici ed erano obbligate a consultare i propri dipen– denti irl materia di politica sindacale. Non si e.bbe cer– tamente come risultato della nazionalizzazione nessun cambiamento fondamentale né nella posizione dei lavo– ratori in queste industrie, né nella politica dei prezzi e della produzione. Inoltre, solamente ul).a industria ma– nifatturiera - quella dell'acciaio - fu nazionalizzata; e prima che si potesse fare alcunché per porla su nuove basi, il partito laburista perse il potere e i con– servatori la restituirono ai proprietari privati. Rf'alizzazioni del ·g-ovf'rno Iaburii.lit Così, quello che rimase come legato degli anni di governo laburista fu un sistema economico capitalistico comprendente nel proprio seno un iiotevole settore na– zionalizzato, nonché un'estesa struttura di sicurezza col– lettiva e di servizi sociali, ivi compreso un servizio sa– nitario nazionale e un sostanziale aumento dell'assegna– zione al pubblico di alloggi posseduti dalle autorità lo– cali: in altre parole, non socialismo ma stato del be– nessere, con un settore di proprietà pubblica. Io non sottovaluto queste realizzazioni, che sono ef– fettive e sostanziali. Ma proprio perché tanto era stato fatto, sorse il problema di che cosa fosse ancora da fare. Non molte possibilità rimanevano di finanziare ulte– riormente una legislazione di « welfare » limitandosi ad inasprire ancora le imposte sui grossi redditi (sebbene qualcosa si potesse ancora fare); e il controllo pubblico sulle industrie di proprietà privata divenne sempre meno vitale via via che i controlli di guerra si allen– tavano col superamento della grave crisi postbellica, cosicché la pianificazi.one pubblica divenne sempre meno efficiente. I profitti si faèevano veramente alti; ma anche sé il governo fosse stato in condizioni di assorbirli, invece di permettere che rimanessero in mani private, la maggior parte di essi si sarebbe dovuta investire per aggiornare l'industria e non sarebbe servita ad aumentare il reddito dei consumatori. Era perciò ne– cessario o marcare il passo o sferrare un attacco fron– tale alle· radici stesse della ineguaglianza economica, privando le classi capitaliste dei loro diritti di pro– prietà. Bisogna ammettere che c'era poco entusiasmo, an- di G. D. H. COLE che tra i lavoratori, per ulteriori nazionalizzazioni su larga scala del genere già sperimentato, e che una campagna elettorale fondata principalmente su questo problema non aveva probabilità di successo, non tanto per l'opposizione che -avrebbe sollevato quanto per la te– pida accoglienza che probabilmente avrebbe trovàto nella maggior parte degli elettori. Tuttavia,. solo concentr~ndo nelle proprie mani le industrie più fiorenti - fonte principale dell'accumulazione capitalistica - lo stato avrebbe potuto conquistare l'effettivo potere di pianifi– care lo sviluppo economico o di controllare la distribu– zione dei beni prodotti: L'unica alternativa efficace, non– rivoluzionaria, alla nazionalizzazione delle industrie base, previo indennizzo ai proprietari, era quella di tassare il capitale privato in maniera decisiva, con una qualche forma di imposta sul cal)itale, o con l'abolizione, ovvero con una drastica limitazione, del diritto di successione - cioè limitando a una piccola quota la disponibilità del patrimonio a titolo ereditario, e confiscando il resto nel pubblico interesse. Tuttavia né un'imposta sul capi– tal_e realmente pesante, né una drastica imposta di suc– cessione era realizzabile senza che Io Stato fosse pronto a rilevare esso stesso l'effettiva ·proprietà materiale dei beni colpiti, non potendo evidentemente essere in grado di farlo privati cittadini. In tal modo, adottando una di queste due soluzioni, lo Stato avrebbe dovuto parte– cipare praticamente alla proprietà di ogni impresa di qualche importanza, e avrebbe dovuto mandare avanti queste imprese, in qualità di socio di capitalisti, pro– prietari delle quote rimaste tuttora in mani private. J,a questione della proprietà collettiva Molti socialisti esprimono una viva opposizion_e a una politica di tal genere, di associazione fra Stato e capita– lismo, anche se essa finirebbe, a non lunga scadenza, coll'attribuiÌè-:::...allo Stato la proprietà totale, passando progressivaìnente· nelle sue mani un numero sempre maggiore di proprietà parziali. Ma esiste, entro i litpiti di un'aziorle non-rivoluzionaria, un'altra reale alterna– tiva? In ogni caso, se il socialismo deve venire, i mezzi di produzione devono passare alla proprietà pubblica, e la pretesa degli individui privati di vivere della rendita della proprietà capitalistica deve essere eliminata. E co– munque, mentre questa trasformazione è in corso, gli strumenti di produzione devono essere ·mantenuti in funzione e regolarmente rinnovati. Sg a questo si ·arriva nazionalizzando un'industria dopo ~raltra, previo inden– nizzo, rimane il problema di socializzare. i nuovi diritti di proprietà determinati appunto dall'indennizzo. E' si– cllro che la via giusta sia quella di combinare i due si– stemi e, nello stesso tempo che si continua a nazionaliz– zare altre industrie, di rilevare i diritti di proprietà con imposte sul capitale e sui redditi di capitale, e special– mente con drastiche tasse di successione? Questa è per lo meno la mia convinzione. Ma, al fine di dare a questa politica la prospettiva di un successo elettorale, bisogna che sia chiaro che lo scopo non è quello di creare un'ulteriore serie di burocrazie giganti modellate sugli attuali Enti Pubblici, ma di allargare il campo del potere e ·della responsabilità, e di creare lo spazio per una aperta varietà di forme di proprietà so– ciale e· di controlli. Non c'è niente di propriamente socia– lista nel porre un 'industria sotto la direzione di un Co– mitato dipendente dallo Stato, con la direttiva di ren– derla econOITlicamente autonoma, incluso il pagamento degli interessi sul capitale che impiega. Il grande Movi– mento Cooperativo dei consumatori, che fornisce di beni i su-oi membri sulla base del non-profitto, è sicuramente una forma di proprietà sociale quanto la nazionalizza– zione, e in certi casi è di gran lunga preferibile ad essa. Anche la proprietà collettiva comunale è migliore della proprietà statale per molti settori dell'industria e dei se·rvizi pubblici; e la cooperazione dei produttori è anco– ra un'altra forma alterna:tiva perfettamente accettabile, già in azione su piccola scala in parecchie industrie. Ci possono essere anche altre forme accettabili di proprietà sociale e di controllo, che potrebbero essere immaginate oltre le varianti sopradescritte. Né c'è ragione alcunà perché tutte le imprese debbano organizzarsi come mo– nopoli, su scala locale o nazionale. Ci sono n;10lte indu– strie costituite di aziende della più svariata entità 1 che sarebbe assurdo unificare sotto una direzione centraliz– zata, anziché lasciarle libere di competere, sotto un si– stema di controllo pubblico, che impedisse loro sia di sfruttare i lavoratori dipendenti sia di pesare eccessiva– mente sui consumatori. Il capitale di queste ditte po– trebbe ·ben essere di proprietà pubblica senza che esse venissero assoggettate a una direzione statale centra- lizzata; e molte potrebbero essere trasformate in imprese cooperativistiche o semi-cooperativistiche. L'essenza del socialismo non sta nella direzione sta– tale o nel controllo burocratico, necessariamente impo– polare, ma nell'abolizione della pretesa dei detentori di , capitale di riscuotere un tributo dai• produttori e dai consumatori, così da costituirsi in classe sfruttatrice. Per prevenire questa pretesa, occorre sia socializzare il capi• tale, e controllare gli stipendi e i rimborsi riconosciuti ai dirigenti delle industrie, sia assicurare i migliori salari e le migliori condizioni di lavoro che la società possa offrire. Non è necessario costringere in uno schema uniforme ogni tipo di impresa 1 o riprodurre nell'indu– stria nazionalizzata una struttura di redditi analoga a quella che prevale nelle imprese capitalistiche. Questo, tuttavia, è quello che il governo laburista è stato finora portato a fare. - La necessità di produrre Sono queste le linee lungo le quali io credo che il prossimo governo laburista inglese dovrebbe procedere. Sotto di esso, ogni lavoratore sarà necessariamente chia– mato a dare la sua piena cooperazione per incrementare la produttività; giacché il livello di vita in Inghilterra non può essere mantenuto - e tanto meno miglioiato - se la produzione inglese non tiene il passo con gli altri paesi progrediti, qualunque siano i loro· sistemi econo-– mici. La Gran Bretagna ha bisogno non solo di bastare a se .stessa, per mezzo di un'esportazione capace di Co– prire le necessità d'importazione di viveri e di materie prime, ma anche di disporre di un sufficiente margine per contribuire largamente - e se necessario gratuita– merite - all'urgente richiesta di capitale da parte dei paesi sottosviluppati per dar sviluppo alla loro economia e per offrire loro la possibilità di fa·r fronte ai pressanti problemi della crescita della popolazione. Un governo socialista più di qualsiasi altro non può permettersi ne– gligenze sul te.rreno della produttività; e questo perché il suo scopo principale è quello di migliorare· le condi– zioni di vita, così del suo stesso popolo come dei popoli impoveriti delle regioni del mondo men() progredite. D'altra parte non ci si può aspettare che i lavoratori si uniscano con entusiasmo nello sforzo per ottenere una Ì,iù alta produzione, se non siano garantiti che i relativi benefici andranno a coloro che ne hanno bisogno, e non ad arricchire la classe dei datori di lavoro o alla nuova aristocrazia dei dirigenti azier,idali che la sòstituisce. Per questa ragione è indispensabile per un partito so– cialista costituzionale esprimere chiaramente la sua de– terminazione di agire in ·modo drastico nei riguardi deila classe possidente, che non solo sperpera una notevole parte del prodOtto nazionale 1 ma, que1 che è assai peg– gio, ostacola la pianificazione nazionale e internazionale della produzione, a con~une beneficio dell'umanità. Socialii.mo ,signilir,t rgu:1e:Iinnza. Anche altre cose ci sono da• realizzare, mentre si at– taccano i diritti della proprietà privata capitalistica: fra· le altre, un egualitarismo sociale che abolisca i t.Holi ere– ditari, l'organizzazione scolastica di classe, e il potere cl.ei « signori della stampa » 1 da cui derivano forme di snobbismo e di sperpero ostentato. Lo snobbismo per se stesso non può· essere bandito da un'azione governativa, ma molto si può fare da parte del governo per scorag– giarlo, e i socialisti possono almeno evitare di favorirlo accettando titoli onorifici e genuflettendosi dinanzi alle pretensioni della corte. Come aspettarsi c-he i lavoratori credano alla sincerità del partito laburista, allorché af– ferma di voler creare una società senza classi, se tanti dei suoi capi si comportano in questo modo? Io nutrivo un certo rispetto per Attlee; ma lo persi del tutto, quan– do egli fu fatto Conte, e Cavaliere della Giarrettiera. Come diavolo gli venne in mente di farsi degradare a quel modo? Io non conosco la sua risposta; ma sono ad– dolorato e ferito 1 anc.or più che adirato, perché egli ha così gettato discredito sulla causa socialista. Sono queste le cose - banali in se stesse, ma impor– tanti nel loro significato - che talvolta mi fanno quasi disperare del socialismo parlamentare, perfino in un paese così ben disposto ad esso come la Gran Bretagna. Perché l'instaurazione del socialismo, qualunque r.e siano i mez~i 1 è fondamentalmente una questione di fede, reale e profondamente radicata, in un modo di vivere sociali– sticamente egualitario 1 e non soltanto e non semplice– mente di determinate misure economiche di riforma sociale o di proprietà pubblica. Un socialis_ta, secondo il (segue a pag~ 4, 3.a coL.),
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