Nuova Repubblica - anno IV - n. 49 - 2 dicembre 1956

(159) -n11011a.·,repubblica L'ombra sua torna ch'el'a dipartita· (D,is. ,li Dino ...JJoschi) SETTE GIORNI NEL MONDO I Ilj DISCORS() DI. P()IjA ·LA POLEMICA apertasi fra la stampa sovietica e quella ·jugoslava dopo il discorso pronunciato a Pola, 1'11 novembre scorso, dal maresciallo Tito, supera i limiti di una normale polemica di stampa e investe alcune delle questioni fondamentali sollevate dalla crisi del movimento comunista internazionale aperta dai fatti ·di Polonia e d'Ungheria. Il discorso pronunciato da Tito a 'Pola è stato un di– scorso cauto ·e moderato, nonostante la chiarezza di alcune affermazioni; è stato il discorso di un comunista, se non· proprio ortodosso, per lo meno libero,· indipendente, non •di un eretico. Se Tito ha giudicato un errore l'appello alle truppe sovietiche lanciato da Geroe e l'accetta'zione dei russi d'intervenire in Ungheria, egli ha p~rò criticato -la debolezza di Nagy, ha fatto credito a Kadar éd ha affermato che forse il secondo mtervento sovietico era il « male :minore » fra il caos, ·la guerra civile, la con– trorivoluzione e l'intervento delle truppe sovietiche che erano sul posto per salvare il socialismo. Ma Tito ha anche colto quest'occasione per affermare la sua èonvinzione che « gli avvenimenti in Ungheria saranno probabilmente l'ultima tragedia che scuoterà e i ·compagni sovietici e i dirigenti degli altri paesi » del– -l'Europa orientale. Tito è infatti persuaso che nel partito 'comunista sovietico vi sono ancora staliniani e antista– liniani e che molti partiti Comunisti sono rimasti sta– liniani. Ne attribuisce la causa al fatto che il XX còn– -gresso di Mosca ha commesso l'errore d'impostare la cri– tica allo stalinismo come << culto della personalità » e non come « questione di sisiema », ciò che ha posto una remora alla democratizzazione del comunismo interna– zionale. Dopo qualche giorno, il 19 novembre, l'agenzia Tass ha reagito aspramente alle critiche rivolte al sistema accusando Tito d'ingerenza· negli affari interni degli ;ltri partiti comunisti e di proporre la via jugoslava come J'unica. giusta. La Tass si è pure risentita dell3 distin– zione fra staliniani e antistaliniani. La reazione centro la· critica al XX congresso per avere poSto l'accento sul culto della personalità anziché sul sistema staliniano-..rie– cheggia del resto la reazione analoga della: Pravda, il 30 giugno scorso, ad analoghe opinioni di Togliatti, sulle quali il PCI succe§sivamente non ha più insistito. Lo stesso giorno, la Pravda ampliava le critiche della Tass al discorso di Pola, deplorando soprattutto due as– serzioni, quella relativa al carattere << utile e positivo » dell'influenza jugoslava sugli altri partiti comunisti e •quella secondo cui (<dalla.vittoria negli altri partiti co– munisti del nuovo corso cominciato in Ju_goslavia » di– penderebbe l'avvenire del moviment◊- comunista inter– nazionale. In realtà, Tito rion av~va -impostato il problema_ in moçlo così semplicistico ..Egli aveva contrapposto « il nuovo corso iniziato proprio in jugoslavia e per il quale sono -stati e.reati abbastanza elementi nelle décisioni del X.X ·congresso del PCUS » ai: pericolo di una vittoria ...del ·-corso << stalinista >>.. J\1,:ano_n aveva mai proposto di espor- tare il regime interno jugoslavo nelle altre democrazie popolarL··· Il problema posto da Tito è infatti quello della rot– tura con lo stalinismo e della democratizzazione e, a qursto problema, la P-f.4v.f!à ha tentato di sfuggire anche in un secondo e più 'ampio articolo, uscito il 23 novembre, in risposta al discorso <!i·Pola, articolo nel quale si respin– gono in blocco le critiche al sistema e si afferma C'he il « culto dellà personalità » era in contrasto col sistema sovietico; che quindi non aveva viziato. Il merito principale del discorso di Tito, il quale non deve muoversi entro i limiti ristretti imposti a Gomulka dalla posizione strategica della ·Polonia e dalle condi– zioni in cui è avvenuto il suo ritorno al potere, è di avere posto pubblicamente, sul piano internazionale il problema delle conseguenze che i comÙnisti dovrebb,ero trarre dalla lezione -dell'Ungheria, conseguenze che non . possono •più, dopò il tragico intervento sovietico, limi– tarsi a deplora'i.ioni platoniche det culto· della personalità, come al XX congresso, ma che devono investire in blocco tutto il sistema staliniano e permetter~ di operare una rottura radicale con i suoi tardivi difensori in seno ai vari partiti comunisti. Il fatto che la Pravda abbia reagito brutalmente a questa polemica non significa necessariamente che il par– tito comunista sovietico si~ insensibile agli argomènti di Tito, _ma solo che, anche nel suo seno, è in corso un'aspra lotta fra staliniani e antistaliniani, del tipo di quella che precedette 11 ritorno di Gomulka al potere in seno al partito polacco, fra il VII e l'VIII Plenum di questo partito; e che fino al termine di questa lotta i1 partito sovietico non potrà pregiudicarne l'esito rimanendo senza reagire a chi, come Tito, mette brutalmente in luce un contrasto di tendenze che si cerca di dissimulare al mondo esterno e al e< nemico di classe » e si sforza di favorire la vittoria della tendenza antistaliniana, che ha già trionfato in Jugoslavia. Si tratta di un~ lotta di fazione che investe tutto il. movimento comunista internazionale e quindi anche il PCI, lotta che ricorda quella fra Stalin e i suoi oppo– sitori dopo la morte di Lenin, per assicurarsene la suc– cessione. Il PCI potrebbe influire anch'esso su questa lotta in corso con il suo VIII congresso e un silenzio di tale congresso Sul problema più grave, che travaglia .oggi il movimento comunista, potrebbe assumere un ca– rattere di complicità con chi ancora difende lo stali– nismo, complicità non meno grave di quella proclamata invece pubblicamente e chiaramente dai comunisti fran– cesi nel loro ultimo comitato centrale. Si tratta, dunque, di sapere se sia Vero; per i comu– nisti, che, come ha ·-affermato· Maurice Thorez, non c'è mai stato stalinismo, oppure che, lo stalinismo c'è stato, c'è ancora. ha corrotto tutto il sistema e ,va quindi elimi– nato attraverso una azione radicale di'. .rottura con il passato stalini·ano del comunismo e con i suoi esponenti. A questo interrogativo, presto o tardi, dovranno. rispon– dere anche i comunisti italiani. PAOLO VITTORELLJ LETTERA DA LONDRA Pl{OVINCI ElJ llOP~JA di CARLO DOGLIO 5 F INO a qual punto ci si è resi conto, all'estero, de11a reale situazione inglese di fronte alla doppia crisi nel Medio-Oriente e nell'Europa Orientale? La Gran Bretagna, è vero, giace separata dal conti– nente europeo, co'me appartata. Ma appunto la sua iden– tificazione insulare, nonchè tagliarla fuori dalla politica mondiale, ce la immette dentro completamente; la spro– vincializza, per paragonarla all'Italia o anche - disgra– ziatamente - alla Francia del socialdemocratico Mollet. Ragionare in termini europei, certo, riesce difficile a questa nazione britannica: ma è possibile, oggi 1956, ra– gionare. secondo uno schema mentale del genere? La civiltà occidentale ha dato fondo a tutte le pro– prie capacit.à creative nel còrso di secoli; quando dal sistema mercantilista si è passati a quello capitalistico, l'estremo slancio è rappresentato dalla colonizzazione ·-'produttivistica': ma a mano a mano che codesta strut– tura ecoriomica dava i suoi frutti pur sociali, e i paesi colonizzati escivano dal silenzio tribale o dal sonn0 di civiltà altissime ma ormai letargiche, ·non si fil più pronti a far _nulla, a mutare per niente la· struttura interna, in– tima, dei propri paesi (europei). A dirla schietta, tran– ne nazismo ~ fascismo (e bolscevismo in Rui:;sia), tranne una progressiva belluria modernista sulla faccia del cat– tolicesimo, che cosa è avvenuto di nuovo in Europa, da tante decine di anni? Il Socialismo, ahimè, non ce l'hà fatta per ora: sconta le colpe dei padri, l'amore per l'au– torità e il potere che contraddistingue il crescente ger– D)anesimo del secondo Marx e soprattutto delle ver·sioni trionfanti,. in Europa, delle Varie socialdemocrazie. E nessuno si persuade, sembra, che ormai_ è pasSata la mano, e la parola spetta all'Oriente, àll'Africa, al Sud-America. Semmai, teniamoci chiaro in mente che la inc:ipacit'à strutturale di trovare una soluiione, ha ancora q~aJche speranza di diventare capacità, di riuscire a sfondare verso la luce di una nu0va s0cietà,. solaffiente nelle Zone depresse. d'Europa: è, solo nel sud d'Italia, in Spagna, in Grecia (perchè no nell'alto nord della Svezia, tra minatori e boscaiolp), a dire il vero in tante altre parti di questa Europa che spesso tutti la credono ricca e civile e invece non lo è (penso a qualche luogo di, Olan– da, visitato da poco, dove i nç>stri problemi tradizio~ali <; J.el ·Mezzogiorno e delle Isole ·sono ripre~entati à roto– calco), che un. movimento rinnovatore può avviarsi.. .. E proprio in ~connessione, strettamente inte;relato, .con. il mondo .africano, orientale, sud-americano. Lo so che a scrivere così si pa$sa da retrogradi, o .da bakuniniani in ritardo. Eppure i fatti parlano da soli e l'esempio. inglese diventa il test fondamentale. pERCHE' è vero che la Gran Bretagna ha. reagito in modo ' non provinciale ' alla crisi che essa stessa ha scatenato, mà codesta reazione è stata più ' geografica ' che altrove e, subito dopo, legata ai tr~dizionali concetti delle alleanze tra Stati, a una politica basata sul P0tere, e non a un reale intimo 'sentimento derivante· da una diversa socialità. A parte le dichiarazioni moralistiche (difficili da accettare come non-retoriche qua~do, alla fine, il discorso si incentra' sulle Nazioni Unite e cioè su una bilan-ciata associazione di Stati), il cuore delle argomentazioni laburiste (prescindendo dai vi0lenti at– tacchi dei sempre più radicalizzati Manchester Guardian e Observer, alieni da ogni" coffiprensione ,socia~e) era sul Commonwealth, sulla funzione di ponte, tra Est e Ovest, che la Gran Bretagna non riesciva più a eser– citare a causa della sua azione in Egitto. Ma la gente comune in Gran Bretagna, l'enorme massa · medio--bor– sihese che ìl Wèlfare State ha procreato, o riman~va indifferente à tùtto,. Òppure si è c0mmossa di gr·an lunga .di più per i fatti di Ungheria che pet quelli egiziani. Nessun Inoto appassio~ato, irrazionale verso l'Egitto, come prima ·verso la. Malesia, o la Gujana britannica, o il Kenia, ? Cipro, o la Rodhesia, o Singapore (doVe intervenivano, gli stessi giorpi, trµppe britanniche chia– mate dal prim0 ~inistro lOcale a ristabilire l'ordine). Si guarda ancora a quei luoghi in termini colonialj, questa è la verità. Forse non più alla Kiplirig (se nori dai 'nuovi conserVatori ', viene da sospettare, tutti presi come sono dalla vÒlontà di rinvigorire il sangue ~ritannico con il competizionismo individualistico), ma certamente come a gente di un altro mondo, che conta .s·olo quando si dà apparenza occidentale, si configura come Go~erno e Potenza. · In quel momento India e Ceylon (e Indonesia) di– ventano importanti. Come lo è la Cina: il cui spettro, se così si può dire, non solo minaccia continuamente di accelerare - e quindi di concentrare, di volgere alla pro– duzione intensiva di beni strumentali, costi quel che costi - la pianificazione tuttora democratica indiana, ma vale anche a giustificazione della apparente sordità di quei paesi per il dramma ungherese: il •-voto dell'India a favore del blocco sovietico p~r un non-intervento in

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