Nuova Repubblica - anno IV - n. 43 - 21 ottobre 1956
1(155) nnova repubblica 7 VENEZIA 1956 DISORDINE ALLA BIENNALE di ENRICO CRISPOLTI I U NA NON SBRIGATIVA rassegna della XXVIII Biennale di Venezia non può c.lavvero realizz~rs~ in un unrno discorso, e non solo per more ragwm di spazio. Oltre alle consuete discussioni schiettamente cri– tiche occorre infatti stabjlire quest'anno i termini per una revisione dell'intera struttura organizzativa dell'istituzione veneziana. Lo impongono i gravi risultati di questa edi– zione, per la quale giustamente si •è parlato di «crisi> della Biennale. E' bene ri1nandare quindi il discorso sui padiglioni stranieri e su quello italiano limitandoci ora alla discus– sione dei fatti organizzativi ed al J'esoconto d~He tre 1·ctrospettive «maggiori» di Delacroix 1 di Gris e di Mon– clrinn (di quella di Tosi dirò con il padiglione italiano). Quasi tutti si sono trovati d'accordo che il padiglione italiano è caotico, e che le ragioni siano da attribuire non solo al famoso statuto del 1938 (già denunciato per la sua l11adeguatezza dal Pullucchini nel catalogo del '52), bensi p,·inciIJalmente a chi ne ha ideato questa volta la strut-= tura, a chi quindi ha diramato inviti ed ha curato l'attribuzione delle sale ed il colJocamento delle opere; ai 1·esponsabili insomn1a della su.a composizione irra– zionale e sgarbata. Ma il disorditie organizzativo riscontrato in questa XXVIII edizione implica assai più che una, isolata de– nuncia delle sole lacune del nostro padiglione. L'intera J3iennale è disorganica, conedata da retrospettive insuffi– cienti, incerta fra la scelta di un compito documentario di mera attualità, e la somministrazione mista di pas– sato, anche assai remoto, e presente, senza badare molto a cosa ne possa ric"avare il misero lettore. Anzitutto la Biennale dovrebbe chiarirsi se la propria esistenza implichi una respon.sabilità di documentazione critica o meno. Se intende cioè veramente essere la pre– sentazione delle condizioni attuali· delle arti figurative... di tutto il mondo, nei loro risultati migliori, o semplimente poco più che una fiel'a molto imbandierata, dove tutto con– cor..r.e_a.far brodo ed a far nome ( è ora il caso infelice di Delacwix) : se ha scelto il compito di documentare Cl'iticamente un'.attualità creativa, è necessario che ri– veda Ja propria struttura. Il padiglione italiano anzitutto va ridotto alle propor– zioni cli quelli stranieri, che, nel caso almeno dell_e na– zioni più produttive, vanno alquanto ampliati. Va "fatto posto {e questo sembra sia già in programma) a nuovi padiglioni stranieri, 1·ect_1perando l'm·ea dell'immane padi– glione «Italia», come dell'inutile pa<;l.iglione « Venezia,», che non ha qui giustificazione alcuna, se esiste dellé arti decorative una rassegna internazionale qua1ifìcata come la 'friennale milanese. La rassegna deve comprendere, d'intesa fra tutti i commissari dei J)aesi partecipanti, artisti--- viventi ed ope– ranti con reale efficacia e da protagonisti in ciascun paese, magari con circa cinque opere a testa, tutte rigoro– sarnente recenti e datate. Inoltre, sempre di generale accordo fra tutti i commissari, si presenti in ogni edi– zione un detEp•minato numero di grandi personali o 1·etrospettive (anche di intel'i movimenti), ricehe cli un centinaio di opere, o anche meno, ma tutte signi– fic•ative, scelte con reale competenza, e preseu.tate da un rigoroso catalogo critico. In anni differenti, o anche contemporaneamente alla mostra internazionale, la Biennale potrebbe allestire grandi 1·assegne di artisti o di· movimenti moderni testualmente mal noti in Italia (come .Goya - liquidato nel '52 in modo indignitoso ed offensiv~ -, Delacroix, Daumier, i grandi impressionisti, eccetera). Naturalmerite tanto le grandi per– sonali retrospettive incluse nella Biennale, çhe queste altre, potrebbero venire poi trasferite all'estero o per eserripio alla Biennale di San Paolo del Brasile, con la quale l'oi·ganismo veneziano dovrebbe mantenere un rapporto cli assai più stretta e proficua collaborazione. Il padiglione italiano dovrebbe essere, rigorosamente e tutto, soltanto ad invito (si è toccata infatti. con mano l'insufficienza della famosa soluzione rotativa, che neces– sariamente finisce col privarn d'attualità e di tempestività il più delle esposizioni, ed insieme permette un indebito ed •i1·ragionevole allargamento del limite qualitativo~. Una trentina di artisti o poco più (oggi sono oltre 300 per complessive 1800 opel'e e più!) basterebbero per acco– ~liere tutti i nomi 1·ealmente validi, e formare una « équipe » omogenea e qualificata. Agli inviti dovrebbe p·rovvedere una commissione composta di membri realmente qualificati, cioè specializzati nèll'indagine dell'arte contem- 1>oranea, e soltanto di critici, con esclusione degli artisti. Né si potrebbe opporre la necessità della presen,!ja dei l'appl'eSentanti sindacali. Su questa spinosa questione mi sembra che la norma pill chiara sia proprio la netta di– stinzione suggerita dal Venturi in occasione di una breve jnchiesta ospitata su Il Punto: la Ji1flitazione cioè dei com– "piti sindacali all'assistenza sociale ed alla tutela di certi dii-ilti di categoria (I~ legge del 2%, ecc.), e l'esclusione di qualsiasi ingerenza in giudizi schietta1nente qualitativi, come è nel caso di una commissione inviti. E' contradittorio inr-atti che il sindacato operi una disci·iminazione fra i •propri adepti, necessa:_'iamente ·aventi tutU, in _quanto t_aU, uguali di.ritti, in base alleJOl'o capacità professionali. Tanto più che le rappresentanze dei sindacati non esauriscono affatto il numero degli artisti operanti in· Italia, dei quali anzi i migliori evitano spesr,;;oquelle forme assocjative. Naturalmente una soluzione limitativa e rigorosamente selettiva della p1·esenza italiana nella Biennale implica di · necess~tà una 1nigliore qualifica,!jione dei compiti della Qua– driennale romana, alla qttale resterebbe per intero l'im– pegno di documentare, .in tutta la sua estesa complessità, dalle mature e pili valide soluzioni, ai fermenti nuovi dei giovani, alle posizioni ormai acquisite e soltanto onesta– mente protratte, la situazione delle a1·ti figurative ita– liane. A Roma qualche g1·ande retl'Ospettiva o anche qualche grande persollale, ben allestita con rigore critico, e tutto il resto per accetta,!jione sotto gj.uria, anziani compresi (al– meno .tre opere a testa). Ed anche a costo <li farsi pren– dere per insensati, OJ'a che le seg'rete1·ie ·dei due Enti sono Yenute innanzi a chiarirci dettagliatamente le ragioni dei loro deficit, da quando s'è attirata pubbJicarnente J'atten– zione su questi elementi con la polemica Venttu·i-Zanotti Bianco (sull'Es,:iresso), occorre sottolineare la necessità di ridul'J'e la Quad.J'ienna1e a Biennale. Soltanto con· una così netta distinzione. dei compiti, di un efficace panorama internazionale quello della manifesta– zione veneziana, di rappresentazione fedele di nuovi fer– menti e vecchi motivi italiani quello dell'ente romano, può ancora giustificarsi l'esistenza -delle due istituzioni. La XXVIII Biennale, per disordine organizzativo e per insostenibili squilibri stn1ttnrali (denunciati assai espli– citamente nell'intioduzione del Pallucchini al catalogo uf– ficiale), rappresenta un caso limite che dovrebbe essere arnmonltore. La formula fortunata nel nostro incolto primo dopoguerra, di-informare gli italiani di assai più che mezzo secolo d'arte europea (qui da noi con non molte ecce– zioni fra critici ed a1·tisti più o meno candidamente i~no– rata), è entrata.: del tutto in crisi e non .regge,.più alle ne– ,cessità di una situazione per buona sorte mutata. Non oc– corre più informare su J)er giù, con i modi abborracciati delle monografie da collana economica, bensì vagliare, soe– gliere, discutere. Anzichè rip.roporre un passato che già sufficientemente si conosce (e che comunque si può facil– mente conoscere assai meglio ahrove), oc.corre sernpre pili strettamente documentare, controllare, discutei-e un pre– sente, che g~glutamente non si può permettere resti così dimenticato• Ua riproporlo poi in linde ed anemiche 1·e– trospettive. Questo si dice tanto per la partecipazione italia'na, quanto per quella di tutti gli altri paesi, ad ogni edizione semp1·e più numerosi. ' A })RIAMO intanto la rnssegna critica, soffermandoci b1·evemente per ora soltanto sulle retrospettive di Delacroix, Gris e Mofldrian. Penosa l'impressione che provoca la presentazione veneziana di Delacroix. Se il Bazin e la stessa Biennale erano----consapevoli dell'im– possibilità (tutt'altro che imprevedibile) di presentare un esauriente profìlo dell'opera del grande romantico, si doveva avere il col'aggio di rinuncia1·e all'impresa: stando ai risultati offedi non ne avrebbe davvero sof– Iea·to l'importan,i;a cornplessivà dell'attuale esposizione. Invece si è preferito surrogare le assenze delle ·grandi opere (Presenti soltanto le famose « Femmes d'Algère ») con quadretti oltre che di modeste dimensioni quasi tutti di modesta o modestissiQ1a qualità. La personalità di Delacroix e la sua hHbolenta proble– matica sono sufficientemente note anche in Italia ( ci si offre l'ottimo saggio di Lione-Ilo Venturi in Pittori Mo. denii, ed il Journal egregiamente curato dal Vitali per Einaudi) da esimerci da qualsiasi impegnativo di– scorso. Soltanto varrà notare anco.ra come il suo ro– manticismo si fondi su un doppio ricorso alla stotia: sul piano formale con un esplicito richiamo al museo, quale, con simile ape1-t.ura d'interessi e libertà cli scelta, mai s'era verificato (per cui le riprese più o meno sco– pe1·te ed il frequente ricorso ai testi classici di Veronese, di Tiziano, di Rubens ...); sul piano morale proponendo una moralità riti-ovata non negli uomini del proprio tempo, bensì in un ideale di drammatico eroismo, che ebbe a riconosce.rsi in più luoghi della storia, dall'Oriente fasci– noso e violento, àl medioevo cavalleresco, ai costumi arabi contemporanei; attualizzando quindi questi dati nell'esal– tata foga presenta.tiva di un sentimento che amava il mo– numentale, l'eroico, il drammatico, una natura umana in– somma che fosse tutta gl'8nde e sublime. La l'accolla di quacl1·i di J uan Gris realizzata dal Kahnweiler è notevole e sufficientemente inclicativa del percorso stilistico dello spag'nolo, anche se si poteva insi– stern maggiormente sulla qualitù. Molto ha _deluso a Ve– nezia Gris: lo si è· ri.':ìcontrato irrimediabilmente freddo e lontano, privo persino di quel calore umano che anc}le i più diffidenti ed ostinati hanno finito per riconoscere in Mondrian. Certo è che l'intera ricerca del cubista Gris, malgrado i risultati eccezionali,. che non figurano salvo poche eccezioni a Venezia, ha C}ualc0sa di ineliminabil– mente intellettualistico e distante. Il suo problema fu esplicitamente di giungere dal presupposto formale astratto ·alla sua concretezza esp1·ess.iva; scriveva: « Il. metodo di lavoro è sempre stato fino ad oggi induttivo. Si è reso {/Jis. di nino. Boschi) • LE DIVE A MOSCA e( Noi siamo sempre state per il culto della personalità» pittorico ciò che appai-tiene ad una.realtà determinata, si è tratto un quadro da un soggetto. li mio metodo di lavoro è precisamente Finverso. E' deduttivo. Non è il quadro che al'l"iva a coincidere con ir mio soggetto, ma. il soggetto X che arriva a coincidel'C con il mio quadro. Dico che è deduttivo perché i rapporti particohwi fra le forme colo.rate mi suggeriscono certi rapporti particolari fra gli elementi d'una realtà immaginativa. La matematica pi.ttorica mi porta. alla fisica rappresentativa. La qualità o la dimen– sione <l'una forma o d'un colore mi sugge1isce la denoini– nazione o l'aggettivo dell'oggetto rappresentato. Se io par– ticolariz.zo i 1·appodi pittorici fino alla rappresentazione <li oggetti, è per evitare che chi guarda il quadro Jo faccia lui stesso, e che questa costruzione di forme -col.orate gli sug– gerisca una realtà da me non intesa». La poesia di Gris nasce dal suo rigore, in un clima più che cli elusione astrn.-tta, come di cristallizzazione dei principi del nnturale, quasi in un i·innovato neoclassicismo. E si 1·ealizza nella nettezza degli incastri disegnativi e cromatici di quelle fo1·me ap– pena alludenti più che alla lol'O possibile o scoperta riatura empirica d'aggetti, come alla continuità di una logica net– tezza sottin.tesa nelle fo.rme d'ogni oggetto naturale. Un ordine ed un controllo razionale che non si pongano però come proposta d'azione, bensl soltanto come soddisfatt~!I e privata certezza interi01·e, che non ha. bisogno di veri– fica nlcuna, né serve all'agire, solo contemplandosi. Tutt'alti·e ragioni muovono il « neoplasticismo :. di Mon– drian, la cui presentazione veneziana pecca per man– canza non di ordine, bensì dell'ampiezza e~positiva. neces– saria a proYare la continuitù d'una ricel'Ca e d'una pro– posi..zione di tale importanza. Se confrontato con quello di un Magnelli o di un Soldati, subito si noterà come l'astrattismo di Mondrian manchi del tutto di 'qualsiasi senso "di seg1·egazione e stacco dalla natUJ'B:, sia come visione che come tes– suto sociale, perchè l'olandese, ad evidenza, esibisco l'intenzione di un controllo del mondo (e non tanto, o non solo di un controllo visivo, quanto interamente mo– rale e sociale), a1rniché della 1·inuncia ad agirvi. La sua preoccupazione è di fondare un nuovo principio comun_e, di oftrire il modello cli una razionale e :riorganiw...::atamora– lib\. L'impol'.tanza di Moncli-ian nell'architetturn di De Stijl ed .in tutta l'architettul'a razionalista non è casuale, né dovuta ad un mero, ben.chè utilissimo, s11ggc1·imento for– malo. La sua pittura si poneva infatti « ab origine~» come proposizione di un 01·dino dal qualè neppure l'ar– chitettura poteva prescindere (e non el'a naturalmente un nuovo ordine architettonico, bensì la. risoluzione figu– rativa di una nuova istanza schiettamonle mol'ale), che mi1·ava anzi, come regola deWagire e stimolo dell'esJ)e– rienza, a raggiungere intel'8rnente anche quel vasto dominio che si suole identificare come pl'Op1fo dell'« in~ dustrial design». Pe1·ciò G. C.· Argan in un- sagglo fonda-– mentale del. '53 (ristampato ora in: Studi e note, Bocca, Torino, 1956) ed in alcune pagine 1·ccenUssime (in: Co– munità, n. 42) ha· parlato giustamente del quadro cli l\1ondi-ian come di una « pianifica.zione dc!Fesperienza. » 1 annotando che « come tale, ha jl suo compimento al di là di sé, nell'esperienza che determina e condiziona»; com~ , pimento quindi « al di Jh della pittura stessa, rin una chiarificazione generale dei principi di Yisione, e cioè in una sintesi cli tutte Ie· formo artistiche o cli tutte le espe~ rienze fo1·mnli, nella del:ini,!jione di un principio di stile che non sia soltanto dell'arte ma doli a vita». « Il rinno– vamento delle forme artistic he sarà così il 1-innovamento di tutte le "forme" socia.li, nel loro sign.Hicato storico più cornpleto di "ci.viltà."». Di qui l'impmtanza fondamentale di Mondrian nella cultura figurativa rnodornn. Ed è auspicabile (e la Gal– leria Nazionale d'Arte Moderna vi sta p1·ovvedendo) una sua pi,\ estesa. e quindi stimolante conoscenza in Italia,
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