Nuova Repubblica - anno IV - n. 6 - 5 febbraio 1956

6 UNA p I e e OLA e A s A LIBERA. IL RISCHIO DELLE SCELTE di ETTORE SISTO Cnro Uoveri, il tuo articolo « Una piccola casa libera :t ha ottenuto il consenso degli amici piemontesi. Personalmente, sono d'accordo su quanto tu scrivi in merito alla distinzione fra democratici e socialisti all'interno del :Movimento: distin• zione che non ha senso. Sono d'accordo con la definizione salveminiana del marxismo da te citata e sottoscritta: penso veramente che il mal'xfamo faccia concorrenza alle religioni nell'addormentare le coscienze. Alla. prima parte del tilO articolo aggiungerei soltanto: perché non chiamarci tutti insieme <laburisti::.! Mi pare· che questa qualificazione eliminerebbe qua!siasi' eventuale equivoco ed il pubblico capirebbe che noi non vogliamo sol– tanto lo Stato di dfritto e e;he d'altro lato rifiutiamo pro– grammi ed ideali tipici del i::ocialismo classista, e relative promesse di soluzioni radical i con il prnzzo anche elevato di ogni rivoluzione. Nella seconda. parte dello scritto tu fai un elenco delle colpe dei radicali, che mi pa1•e- peraltro incompleto. Soltanto, caro Rciveri, qu~sti elenchi, delle colpe corno dei meriti, diventano sterili esercitazioni se non ci por– tano ad una conclusione pet· un proficuo lavoro politico. Noi dobbiamo decidere se vogliamo trovare l'accordo con i radicali, sulla base di quella pa1-te del nostro programma che è irrinunciabile e transigendo sulle questioni secon– darie, o se invece non lo vogliamo. Tu pensi che « prima o poi i radicali finiranno col tro– vare un'inte~;a con noi ». La tua è una previsione, che in– duce ad atteggiamenti fatalistici. Occorre jnvece, mi pare, una dichiarazione di volontà, dalla quale soltanto può na– scere una azione politica ferma e concreta. Per conto mio, desidero un accordo con i radicali', e desidero che venga cercato con il massimo i,npegno possibile. Lo desidero perché ho il timore che il PRLDI, da nòi respinto 1 ritorni a percoi ·re.re le vie· del quadripartito, o perché, se il $UO cammi no garà. illuminato dalla. buona stella, non voglio che Uniti\ popolare possa venir accu,$,ato. d'averlo intralcjato. D'altro canto noi non possiamo rinun 4 ciare ad affermare la necessità della alleanza definiHva fra socialisti e democratici di sinistra, per la elaborazione, 00 4 mune pur nel contrasto dello ideologie, di una politica la 4 burista. Questa prospettiva non può essere mercanteggiata. I radicali devono saperlo. E devono saperlo anche gli uomini dell'USI: la vera unificazione socialista (PSDI più USI pi'ù PSI) ci pare impossibile e comtmque equivoca. La un.ificazione socialista per finta 1 e cioè l'ingresso dei po– chi dissidenti seri del PSDI nel PSI insieme con i'USI non ci riguarda, e comunque occone che sia d'accordo il prin– cipale protagonista della operaziono 1 il PSI. Il parlarne poi sempre e soltanto, di questa llnificazione, senza farla mai, conduce ad una deleteria. opera cli concorrenza al PSI che, per poter definire i suoi rapporti con il l:>CI ha bi 4 sogno di un aiuto stimolante ma elettoralmente disinteres• :1ato. Qui il discorso, caro amico cli Fermra, va oltre a quelle espressioni di consenso al tuo articolo ch'io mi pl'oponevo. r Ma devo spiegare perché io ritengo che Unitii popolare abbia tuttora una funzione da svolgere. Oli uomini del nuovo partito radicale ~ fors';rnche Comunità stanno ri– schiando di venir conquistati alle tesi dell'on. La Malta, che sembra avere le idee più chiare, ma anche più errate. L'on. La Malfa vorrebbe costituire una nuova: sinistra de• mocratica fondata sulla UIL e sull'UOI, su radicali e co– munitari, con a rimorchio le attuali direzioni del PRI e ciel PSDI. Corne l'on. La l\lalfa possa credere di mantenero poi una posizione di indipendenza. d1Jlla DC, con una UJ.L che periodicarnente vuol .fondersi con la CISL, con una UGI che sta infeudandosi a l\1a-'agocli, con un Pacciardi, con un Saragat, con un Romiht, è mistero insondabile. Lo stesso Saragat, a suo tempo. ora pmtito infinita– mente meglio; e tutti sanno do,·o è andato a finire. In questa Italia, dove il coto mcclì'b YCde il suo av,·ersinio nel (96) nuova repubblica pill povero ed adula il più ricco, dove l'impiegato di tor.la categoria si sente pili vicino a Valletta che all~oper aio, il partito del ceto medio, fatto per piacere al ceto medio, diventa presto o tardi un partito anti-socialista. Le colpe cl.i Nenni non sono più gra'li delle colpe di Cattani e non più recenti di quelle di Villabruna: nulla osta dunque a che si dica e si proclami che senza l'ap– poggio dello masse lavoratrici rappresentate dal PSI non si può fare una politica da piano Vanoni e non si possono neppur fare quelle riforme clcmocratichd di cui vanno.par– l(l-ndo Il 'Jlfondo e l'.Espresso. Il (J_uale Espresso arriva al punto di consigliare a Nenni di evitare di parlare bene di Segni, perché potrebbe essere controproducent8 ! Non si tratta dllnquo cli {are il partito ad immagine e simiglian'za del ceto medio, ma di farlo ad immagine e simiglian7,a delle !)roprie idee, e di non fare troppo i furbi. Uniti~ po• polare deve impedire che il partito radicale combini il pa– sticcio laico con Saragat e Pacciardi; e per evitare ciò 8 necessario tentare di trovare l'accordo. Se tale accordo non potri~ essere raggiunto, la colpa non dovrà essere nostra. A questo punto qualche anùco potrebbe domandarmi: perché questo accordo con i radicali e non con il PSI! Per una semplice ragione: noi dobbiamo portare altre forze sul versante di sinistra dello schieramento politico del paese e non diJettarci soltanto di insegnare alle for.le cho · già sono a sinistra quello che devono fare. La democrazia cristiana ha 11 milioni di voi.i, mentre il PSI ne ha 3. Esso potrà maga;ri aumenta.rii, ma il com– pito principale spetta a noi, e forse le nostre spa.lle non sono abbastanza foI"ti. · Il PSI va ancor~\ in giro, nella seconda metil. del se– colo ventesimo, a bussare alle porte clegli incerti con l'ac .. qua benedetta dei socialismo: forse non può fal'ne a. meno, per ovvie ragioni. ~1u. noi, che sappiamo cho le ri– forme possibili sono in gran parte semplicemente democca– tiche, e socialiste 9 soltanto quando tendono a stroncare i monopoli; noi, che non promettiamo « conquiste del po– tere» o socialfazazioni cli tutt-i i mezzi di produzione; noi dobbiamo andare a dire all'elettorato che Unità popolaro intende essere una pa1-te di un lontano schieramento di. tipo labu.ri.sta. Il partito radicale, Comunità, gli onesti repubblicani e socialdemocratici accetteranno questa prospettiva? Spreche– ranno le loro migliori istanze in• una riedizione, peggiot·e perché fuori tempo, del quadripartito? Noi di Unitìl popolare dobbiamo impedirlo, con l'unico mezzo a nostra. clispiJsjziono, pe:rch6 a ben poco valgono le critiche o i consigli: costringendoli ad una a1,iono po– litica comune. LETTERE AL D lR ETTORE COMllNITA' E FORDISMO IVREA, 31 gennaio 1956 Oal'o direttore, la, e Lettern dalla Olivetti» di P.ino Tagliazucchi, pro– prio perché viene da Ivrea, dovl"ebbe da.re al lettore dì Nuova Repubblica un'impressione attendibile ed obiettiva. La letteru non è né obiettiva né esatta., e sembra strana– mente intesa a svalutaro il Movimento Comunith e a sna– turare 1e caralteristicho di Comunità di fabbrica. E noti::mto alcuni appunti più evidenti: 1. Autonomia. azienclafe, dice Tagliazucchi, è insieme riformista e apolitica. Non si vede come si possa essere contemporaneamente 1·i/01·-misti ed apolitici. Era meglio che l'autore accettasse e scrivesse, senza altera.ria, Ja ve– rità che è ben nota almeno qui ad Ivrea. Comunib\ e·1·a un movimento rnetapolitico (ben diversamente da apoli– tico, come egli invece scrive) e fin dal 1953 quando ac– canto a UP si impegnò nella lotta contro la legge maggio– ritaria si è qualificato come movimento politico; è noto che qui in Piernonte Comunità non accetta iscrizioni da persone iscritte a partiti politici. E' anche noto che Co– munità. di fabbl'ica e Comunità sono biunivoche. La tes– sera di Comnnitlt cli fabbrica eh\ luogo automaticamente alla tessera di Comuniltt e viceversa. Non si dànno equivoci. 2. Non ci consta che a Ivrea. 1 prima della nascita di Comunità di fabbrica, la FIOM abbia presentato l'ichieste di riduzione d'orario a parità di salario. Per svalutare l'azione di Comunitù, 1'agliazucchi p~rla di un'azione pre– cedente della F~OM a .Torino, di cui saremo lfoti se egli ci fornisse i documenti; egli dimentica che l'accordo di Agliè [u richiesto e firmato da una O.I. in maggioranza comunitaria e infine per svalutare ancora un po' l'episodio non esita a fornir0 dati errati sulla consistenza numerica dei dipendenti di Agliè riducendo a 300-400 il numero esatto di 62 l. Dalla scrivania di Tng1iazuccbi nello sta– bilimento di Ivrea Pinfo!'mazione era controllabile con una semplice telefonata. Sembra perciò difficile trattarsi dj una. pura svista. 3. Secondo rragliazncchi Comunità di fabbrica (Auto– nomia aziendale) sarebbe un sindacato aziendale coadiu– vante di tipo fordista. Premesso che non avevamo mai sen– tito parlare di s.a.c. _almeno in Italia, preghiamo il Ta– gliazucchi di fal'cene conoscere qualche esemplare; ma co– munque l'affe1·mazione per quel che riguarda Comunith di fabbrica è pura.mente gratuita. a) Comunità di fabbrica è un elemento indissolubile dell'azione comunitaria, che si propone riformo di struttura autonomista, federaliste, pluraliste nel campo economico e quindi nelle fabbriche; b) jl fordismo è un modo di espl'imere un'azione pa– dronale moderna. Identificare le due cose significa por– .tare argomenti ai mOlto numerosi detrattori di Comunità di fabbrica che qualificano Autonomia aziendale sindacato padl'onale. Il J fordismo> è per la libe-1·tit.delrimpl'CSa privata, « C01rnnità » 1 è noto, si bHtle per la trasformazione delle impr-se- 1·ivate in aziende autonom·e di diritto pubblico. 4. li Tagliazucchi sostiene che a Ivrea i prezzj sono ullineati ai salar.i Olivetti, dopo aver arfer1nato poche ri• ghe prima che questi salar·i sono il doppio di quelli degli a.Itri stabilimenti cittadini; il lettore non informato pnò credere quindi tranquilln1nente ché il costo della vita ad Ivrea abbia un livello strnorclinariamcnte elevato. La l'ealtà è che taluni p.rezzi cli generi Hlimentari sono effetti– vamente p.ill alti di altrove, tuttavia in realtil jl bilancio di costo della vita per una fan1iglia operaia ad Ivrea è uguale a quello di Milano o 'Tçrino, leggermente cioè su– pel'ioro a quella delle province piemontesi. La realti~ è quindi molto diversa da quella che si desume dall'<t:obiet– tiva» lettera cli Tagliazucchi da rvrea. 5. Per finire il Tagliazucchi indica il pericolo di < cor– ruzione> rappresentato dagli alti salari. Ma ogni persona a Ivrea sa che il movente di Comunità cli fabbrica, e la- sua ,·era sostanziale differenza dai sindacali tradizionali, sta propl'Ìo nel tentativo di rivolgere al progresso economico, sociale, Culturale dell'intera comuniti1 ambientale, la forza economica dell'industria pitl progredita. C'è dunque in tutto l'articolo un giudizio astratto, in– completo e ingiusto intorno a un fenomeno politico-sociale cli grande rilevanza come la nascita del Movimento Co– munitù, e del suo tentativo di affermarsi nel suo ambiente più natu'ra.Je, la fabbrica OJjvett.i. Non vorrei dire una pa– rola grossa i ma qui ad Ivrea molti intellettuali, ponendosi contro Comunità e ComunittL di fabbrica (ripeto, sono la. stessa cosa) tradiscono la cultura che dovrebbe essere im– pegnata nella 1·icerca disinteressata della verità. l\Ia questo è un pil, lungo discorso. · Voglia credermi, caro dir-ettore, Tny. Giovmmi Martoglio Il nostro collaboratore P. 1.'aglin::ticchi si 1·iserv<i<li ri- ,<Jponderealla lettera qui sopi'« riportatn. · CARTINA DI TORNASOLE SAVONA. 26 gennaio 1956 Egregio direttore, solo ora Jeggo stù suo giornale una breve nota da Sa– vona a proposito dell'Ultima assemblea del Fronte della Scuola con la quale Oitlseppe Marchetti riferisce che, in quella sede, il sottoscritto avrebbe defìnito « marginali ed inopportune> Je questioni relatfre alla libertà d'insegna– mento. Se l'amico Marchetti avesse partecipato I)on solo all'ultima riunione, ma a quelle precedenti, purtroppo meno affollate, non sarebbe caduto nell'errore di attribuire al fondamenta1e problema della libertà dell'insegnamento (oggi realmente mjnacciata da alcuni settori importanti e molto influenti dello schieramento cattolico) parole che invece si riferivano allo minute rivendicar.ioni particolari, alle quali alcuni insegnanti tendono a restringere l'aziono sindacalo ed i suoi scopi. . Non solo nel dibattito pe1· il congresso provjncialo del SNSM ehe ebbe luogo qualche mese fa, ma prima e dopO, io mi sono sforzato sempre di far intendere ni colleghi la. importanza dolio :rivendièazioni relative allo stato giuri– dico cd il loro nesso con quelle economiche; e ciò ancho n.llo·scopo di conh'ibuire a trasformare 1 nella coscienza <loi colleghi e delle farniglie, il problema « dello stip,endio ai , professol'i » nel.l'altro del 1·innovamento e della salvezza insieme della scuola nazionale. Ciò non toglie tutt~via che nella fase acuta dell'a~ita– zione promossa dal J?ronte della Scuola, e al punto in cui oggi si trova la vertenza fra. professori e governo, io ri– tenga, come dissi in quella assemblea, « il problema del t.rattamento economico come il problema. fondamentale>; ciò naturalmente non per distrarre l'attenzione dei colle– ghi dal non meno importante problema della libertà di insegnamento, né per coltivare una presunta insensibiliti, verso questo problema, ma invece perché la questione del trattamento economico è divenuta ormai il banco di prova delle reali intenzioni del governo, la e cartina di torna-· solo», che, rnoglio di ogni altra, svela la concezione che della scuola. ha l'attuale classe dirigente. Una soluziono positiva di questa questione è poi, sempre nelle condi 4 zjoni attuali, la condizione preliminare per un rinnova– mento serio e concreto della nostra scuola e perché sia superata la silen?,iosa crisi' di sfiducia che lima le migliori qnergie del corpo docente. Là.mentiamo pure, quindi, la < sorprendente apatia> che alcuni insegnanti, a Savona ed altrove, dimostrano pe~ le esigenze di libertà della scuola, ma guardiamoci dal faro, per amore di polemica, di ogni erba un fascio! Ciò non ò utile propl'io a quella causa che, con più accortezza e con– sapevolezza, dovrebbero perseguire insieme tutti coloro cho intendono dare scacco a chi « con inganno perfidamento nascosto i► come dice Marchetti, lavora per costl'uire una scuola apertamente confossionale, attraverso il progrés– sivo deperimento di quella laica e nazionale. Con molta cordialitì~, Prof. Giova.rmi Urbani Caro Urbani,. non per mnore d·i sterile polemica lamentammo il di lei atteggiamento, durante l'ultirna assemblea del Fronte delta Scuola, sul problenia della libertà di insegnamento. Le fac– ciamo notare che le sue pcwole, dando adito a interes– sate interpretazioni, crearono in pàrecchi iv.tervenuti un senso di perplessità per cui era più che necessaria una su.a a;perta chiarificazione. Ne prendiamo orn a;tto con piacere in quanto sarebbe deleterio, mostrarci discordi agli occhi degli avversari della scuola di Stato. Oordia.lmcnte, Dott. Cfo1seppc Marchetti

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