Nuova Repubblica - anno III - n. 25 - 28 agosto 1955

nunwa. repubblica LUCI IL TEATRO DIJEAN fILAR ·.IL XIV FES'rIVAL internazionale del teatro della Bien– . nale di Vene:oia, conclusosi recentemente con le rapp1·esentazioni del Don Juan di Molière e de La . 1>ille di Paul Cl-audel (delle quali si è dato il resoconto im– mediato nel numero scorso), ha avuto il merito di inclu- . dere anche quest'anno nel suo programma la Compagnia del Théiitre National Populaire di Parigi, diretta da Jean Vilar, che già due volte aveva partecipato alla rassegna ve– neziana, inaugurando il Festival del 1952 con Le Cid di Corneille e presenhtndo nel settembre 1953, sempre in aper– tur>< della manifestazione, il Riccardo Il di Shakespeare. Con queste quattro rappresentazioni,. il complesso di Vilar ha offerto al giudizio della critica e del pubblico ita– liano un'antologia abbastanza completa dei suoi modi di , concepire e dar COl'pOal fenomeno scenico. Jean Vilar, che del TNP è l'animatore, è da anni una delle figure più rap– presentative del teatro francese. Più all'estero che forse nella sua patria, le sue realiz:oazioni e le sue polemiche avevano trovato forti estimatori; mi riferisco alle sue prime regìe dell'Assassinio nella catted·rale di Eliot, della J,fo,·te di Danton, di Blichner, del Riccardo Il di Shakespeare, della Danza della morte di Strindberg. Attualmente, con la compagnia del Marigny diretta dal Barrault, l'équipe di Vilar è uno dei migliori organi– smi operanti sulla scena francese, la frazione cli punta della Comédie Française, sovvenzionato con generosa e lungimirante larghezza dallo Stato, col compito di svolge– re al Palais de Chaillot un'attività nettamente artistica e popolare al tempo stesso. Accanto alle personalità di maggior rilievo del teatl'o moderno e contemporaneo (da• De Musset a Brecht a Clan– del), il nucleo degli spettacoli s'impernia quasi esclusiva– mente sui grandi nomi de le grand siècle, Corneille e M9- lière: un ritorno alla. più genuina tradizione classica del teatro nazionale francese. Entro ·tale rigorosa selezione di testi, s i attua una tecnica di esecuzione della più sorve– glia.te. e inconfondibile originalità. L'apporto scenograuco è normalmente ridotto al minimo indispensabile: pochi ele– menti neutri, essenziali, se la recita. ha. luogo in un teatro , chiuso, la. scenograua precostituita delle architetture come ad Avignone, o lo sfondo naturale del cielo e degli alberi quando lo spettacolo si svolge, come quest'anno a. Venezia, in un teatro all'aperto. Unica caratteristica. costante, la pe- . dana del palcoscenico prolungata di alcuni metri verso la platea, nell'intento di trasferii-e lo svolgimento dell'azione scenica per quanto possibile in mezzo al pubblico: p1·oce– dimento che richiamandosi formalmente ·alla stmttura del . palcoscenico del mystè,·e medievale, vuole suggerire l'im– plicita idea. di una modificazione degli usuali rapporti psi– cologici tra '.l)alcoscenico e platea, di un più intimo e . immediato contatto tra l'attore e il suo pubblico. A' ciò ' consentono mirabilmente le luci di scena, per le quali, aboliti gli effetti «divisori» delle bilance e della ribalta, vengono impiegate soltanto alcune batterie di proiettori esterni, che concentrano i loro effett-i sui recitanti, accom- 1 pagnandoli nel loro emergere dall& zone d'ombra del fondo, seguendoli e isolandoli nel corso dell'azione. Si capisce così come un tale genere di teatro sia fondato essenzial– mente sul personaggio, sull'attore, sull'uomo. In J ean Vilar doti di chiarissimo dicitore si fondono con eccezionali qualità ginnastiche e mimiche, capaci di consentirgli in ogni momento della permanenza in scena un'assoluta·pulizia di gesti e di atteggiamenti. Al riguardo non mi sembra esagerato affermare che ogni quadrn di uno spettacolo di Vilar suggerisce continuamente, nella dina- . mica d'assieme e più ancora nelle positure dei singoli at– tori, il ricordo di una serie di documenti iconografici del– l'epoca cui appar-tiene il testo, rivissuti ~ interpretati se– condo una vigile fantasia moderna. Lo Sgana.relle del Don Juan, impersonato da Daniel Sorano, che tanto entusia– smò il pubblico di Venezia, evocava ad es. una ininter- . - rotta successione di ricalchi figurativi da dipinti e stampe teatrali contemporanei a Molière, di cui non si faceva a. tempo· a rintracciare il modello o a formulare mentalmente il nome dell'autore, che già la positura si era risolta ~ un'altra non meno esattamente inclividuat~ e recensibile. E' superfluo sottolineare quale tipo di cultura e quale sforzo di adeguamento plastico e di incessante esercizio mimico sottintenda. un simile procedimento, in cui l'at– tore è obbligato a costruirsi qnasi da sè, solo aiutato da– gli splendidi accuratissimi costumi che indossa; i. quali, se rappresentano l'unica (e ricca) concessione fatta da Vilar sul piano dell'effetto spettacolare, contribuiscono per altra via a concentrnre vieppiù l'attenzione del pubblico sul- ·, l'interprete, risolvendosi per quest'ultimo in un nuovo mezzo di isolamento, che affida il meccanismo dell'intero spettacolo alle sue capacità· di reggere e farè scena da solo. Altra costante delle messinscena del TNP è la fedeltà al principio di offrire i testi in edizione integrale: prin– cipio di cui ho avuto diretta conferma seguendo col testo sott'occhio non soltanto (ed era ovvio) la rappresentazione del Don Ji,an di Molière, ma anche la letteraria Ville di Claudel, pièce che à tutta prima non si potrebbe pens,are più antiteatrale e declamatoria. Rispettando scropolqsa– mente e inte~ralmeute il testo, rifiutando di assumedo 7 DELLA RIBALTA Da sinistra a destra: Georges Wilson (Lambert), Alain Cuny (Coeuvre), Maria Casarès (Lila), Jean Vilar (Isidoro), nel primo atto de « La Ville » di Paul Claudel come mezzo di esibizione personale, cui sottoporre l'esito dello spettacolo, e ponendosi piuttosto nella· condizione di chi eseguisce (sia pure magistralmente) una partitura mu– sicale dagli inalterabili nessi logici e sintattici, Vilar dimo– stra in quale alto concetto egli e i suoi attori tengano la professione teab-ale. Allo stesso criterio di «esecuzione» è ispirato lo 'stile generale della recitazione: sonoro, ampiamente descrittivo e fecondo, e nel contempo d'impronta decisamente anti– realistica, fondato su un metodo in base al quale l'inter– prete deve sforzarsi di mantenere 1.m atteggiamento stac– cato nei confronti del personaggio da « presentare » al pub– blico, rimanendo in un certo senso al di fuori di esso e tuttavia ·suggerendo con l'estrema puntualità del gesto e dell'intonazione una esatta corrispondenza con la sua fi– gura; sdoppiandosi, per così dire, tra la propria indivi– dualità anagrafica e la personalità contingente della parte che gli è stata affidata. Abolita così ogni possibilità di il– lusione naturalistica, lo spettatore dovrebbe entrare in uno stato di attenta consapevolezza, capace di preservarlo da suggestioni estranee alla specifica funzione del teatro, dove la realtà acquista una d·imensione assolutamente inconfon– dibile coi dati della realtà circostante, di cui è assurdo pre– tendere Gbe il teatrn debba fornire delle copie. Anzichè investire il pubblico di sentimenti, ia realtà scenica do– vrebbe trasmettergli conoscenze, consentirgli cli gustare lo spettacolo (e il testo) dal punto di vista stilistico e tecnico, indurlo ad emozioni di ordine intellettuale e morale. Teatro, dunque, tradizionale e moderno, nel senso mi– gliore della parola, di fronte al quale sorge spontane~ l'aspirazione che qualcosa di simile possa venir creato an– che in Italia, dove la direzione generale dello spettacolo sperpera miliardi in sovvenzioni elargito nel peggior<' dei modi, in misura proporzionale alla simpatia politica ispi– rata da questo o quell'attore o regista, o alle adel'enze che lo stesso può vantare in parlamento o in Vaticano. E non è detto che una simile Università ciel Teatro non potrebbe contribuire al miglioramento del gusto e delle abitudini, oltrecché del pubblico, dei nostri attori e dei critici. In– fatti, per tacere del titolare di un grande quotidiano mi– lanese, che dmante l'intervallo di una recita al Teatro Verde si sfogava a sbraitare che a ltù il Don Juan, reci– tato così « senza scene », finiva per non dire più nulla (in ciò calorosamente approvato da uno stuolo di piccoli cretini che lo festeggiavano accalcandoglisi intorno), udivo echeggiare per la cavea, due « gironi » sopra di me, i belati cli un altro nostro « grandissimo », attore questo dei più celebrati, che disturbava i vicini commentando lo spet– tacolo con osservazioni e intuizioni di una sufficienza pari all'idiozia. Un istante dopo, la voce era _però sommersa dall'immensa ovazione ciel pubblico, scatenantesi ininter– rotta per almeno dieci minuti, mentre sul limite del pro– scenio Vilar e i suoi, tenendosi pel' mano, si inginocchia– vano in un atteggiamento di grazia comunicativa, non si capiva se più rivolta. alle suggestioni della loro arte or– mai irripetibilmente dileguata nel notturno cielo veneziano, o alla commozione di noi che li ring\'aziavamo di avercene fatto dono. LUDOVICO ZORZI ... FILOSOFI.A E VITA MORALE PREMIO A GARIN D EL PREMIO VIAREGGlO HJ55 si sono occupate ab– bastam,a ampiamente le cronache dei quotidiani. E poichè al Metello di Pratolini, vincitore ciel premio per la letteratllJ'a, altri dedicò ,, suo tempo un discorso critico proprio ~ulle colonne cli questo giornale (Gianni Scalia, Pratolini verso la storia, « Nuova Repubblic~ », n. 12 del 2() maggio 1()55), riteniamo di poter cogliere l'oc– casione, adesso, pe,· parlare di Eugenio Garin, delle sue Cro,wche di filosofia italiana - l!J00-HJ43 (Bari, Laterza, 1()55) cui è andato, insieme a Uomini visti di Giuseppe Ra– vegnani, il premio per la saggistica. Il futuro storico dell'Italia imperiale non potrà pre– scindere eia questo libro se vor,·à rendersi conto del pano– rama della società italiana nelle sue espressioni culturali. Certo alcuni giudizi occorrerii rivedere e approfondire, ma il pathos sevcrn che ispiJ·a Je pagine migliori è nella. sde– gnosa protesta contro i falsi sofi assu-rti a1 rango di mae– stri, contro colol'O che furono spesso mercanti di ipocrisie intellettuali e morali. Il Ga.rin scorge, oltre i sillogisrni ed oltre i sistemi, una società incerta ma fervida di speranze e si sforza di co– gliere il significato delle parole nel ritmo della vita so– ciale. Dietro un linguaggio apparentemente castigato e con– trollatissimo vibra nelle pagine cli questo libro una pas– sione che è sforzo cli chiarezza interiore ed è, soprattutto, testimonianza di serietà morale. Garin avve,·te d'istinto il nesso filosofia-vita morale. E' perciò che osserva i sistemi in controluce, per coglierne la filigrana politica, la segrnta musa che ispira gli uomjni nei giorni dell'azione. E' ormai un luogo comune l'emergenza e la premi– nenza della prassi nella filoso!ia contemporanea. E' altresì luogo comune la complementarità e l'interdipendenza delle forme vitali. Il pmo filosofo, il loico sistematico, apparten– gono ad alt,·i orizzonti, lontani nel tempo. Esistenzialisti e pragmatisti, marxisti e storicisti, neopositivisti e neouma– nisti sono d'accordo sull'impegno umano integrale del fi– losofo. Muovenùo eia tale premessa il Garin, con una coe– renza spietata, con una penetrazione arditissima, si viene arroccando entrn le mura della cittadella filosofica. Egli scopre così che, per gran parte dei maestri che hanno dato un accento e un ideale alla cultura della nostra classe dirigente, non si può certo parlare di « buona in– tenzion che !è mal frutto>. La filosofia non vive nel limbo delle forme pure; essa è norma di vita e costume dei sin– goli e delle comunità. l'ertanto, anche se ci costa l'ama-

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