Nuova Repubblica - anno III - n. 21 - 31 luglio 1955
, nuol'a repubblica POLONIA 1942: TESTIMONIANZA DI UN CONTADINO EBHEO ILGIOCO DEL MASSACRO Il racconto é stato dettato dal protagonista della vi– cenda, il contadino polacco Chmolll Niedzwiedz,. alla signora llfyriam Novitch, nel 1946, allorché egli si trovava a Mar– stglia in attesa di essere imbarcato per Israele. La si– gnora Novttch - anch'essa sopravvissuta alle tragiche vi– cende dì Polonia e ·di Francia che travolsero l'intera sua famiglia - si trattenne nel campo dì Marsiglia con i pro– fughi ebrei in attesa dell'imbarco e poU cogliere dalla viva voce di moltt la loro storia, che trascrisse diretta– mente sotto dettatura. La signora Novttch, che ha dedicato la sua vita a una grande missione 11 quella di non far dimenticare le sofferenze del suo popolo e dt lottare perchè non si ripe- . iano », vtve attualmente in Israele, in un villaggio «Kibutz», la cui popolazione è /armata quasi interamente da profu– ghi polacchi, ognuno det quali è l'unico superstite di una inter~ famiglia distrutta. I L NOSTRO BORGO, Wloszewo, conta,·a circa quindi– cimila abitanti, di cui ottomila ebrei. Gente modesta, soprattutto sarti, calzolai, negozianti e contadini, come me, rhe abitavano nei dintorni ciel villaggio. Dal giorno dell'occupazione, i tedeschi hanno comin– cialo da noi, come dappertutto, una sede cli pe1·secuzioni. Ma si . oppo,tava tutto, come solo gli ebrei sanno soppor– t,ùe. JI nostl'O « Consiglio ebreo » contava delle brave per– sone, Katchkes, Apelstein: le guardie della poli;oia d'ordine ebraiche non volevano affatto far ciel male alla Comunità, n1a non le fecero egua1111ente del bene. La nostra ammini– strazione dipendeva eia Jedrzejok. Questa città ha subìto la tragedia della deporta><ione qualche giorno prinrn di noi. Avevo una piccola fattoria vicinissima al villaggio. Un· pezzo di terra, un cavallo, una mucca: e1·0 sposato e padre di un bambino. Durnnte tutta la guena non ebbi a lamentarmi. Come tutti gli altri contadini, mangiavo a sufficienza. M'ingegnavo anche per ottenere dei viveri da passa,·e ai parénti, agli amici del ghetto. Fui requisito d'au– torità insieme al cavallo. Ero a disposizione della munici– palità ebrajca. Ebbi anche il permesso di allontanarmi ad una distanza cli oltre un chilometro dal villaggio: altri, per una simile cosa, prano puniti con la morte. I giorni passavano e rnalgrado·la miseria, io mi dicevo: « Mio vecchio Chmoul, vogliono farci soffrire, vogliono farci c,·eparn, ci hanno rubato tutto, ma rnalg,.ado tutto, non ci avranno Finit-à anche questa dannata guerra >. E mai, ci avrebbel'O avuto. Perchè si sopportava tutto e con coraggio, come solo, io dico, sanno sopportare gli ebrni e soprattutto gli ebrei polacchi. llfa ecco che per ucciderci hanno inventato queste macchjne diaboliche, con– tro cui il coraggio nullii poteva. E ci hanno uccisi tutti, pensate, più di tre milioni di ebrei solo polacchi. La fine del mondo I N PIENO AUTUNNO 1942, proprio due giorni prima della nostra festa ebraica del Perdono, quando ancora nulla sospettavamo, il nostro villaggio subi una vera in– vasione. Delle S.S., dei soldati e dei «neri»: quelle helve della brigata speciale dei boja che noi chiamavamo « neri » .per i loro kepis. Tutti, veri selvaggi. Circondano il quar– tiere ebreo entrando dovunque ed a colpi di scudiscio e con il calcio dei fucili ci scacciano eia.Ile nostre case e ci so. pingono nella grande piazza. Nessuno riesce a nascon– dersi. E sl!lla piazza i bambini piangono e cosi pure le donne. Che faranno, ora, di noi? Tutta la giornata di ve– nerdi e tl!tta la notte ci lasciano sulla piazza, noi uomini e le donne sopportiamo, ma i piccoli hanno farne, hanno sete, hanno freddo. E il mattino eravamo una folla, come una mandria di bestiame, che dico, non vidi mai un onesfo contadino trattare il bestiame come essi ci tratta– vano. Ci spingono verso la stazione ed i vagoni merci. Durante la strada ci battono, battono le donne ed i ragazzi. Oh, quel viaggio! Più di cento persone in un vagone. lo sono là, stretto in un angolo accanto a mia moglie ed al mio bambino. « llfa clo,·e ci condurranno in questo mo– do?>, ci si domanda. Ci si conosceva tutti, come accade nei piccoli villaggi. Ecco il nostro panettiere, il nostro ~ chames » con i suoi ban1bini, i miei vicini, i 1niei an1ici. Il treno eone. Nessuno sa dove. Rallenta, e poi di nuovo 1·iprende veloce. Tutta la notte si viaggia così, stretti gli uni contro gli altri, si respira appena. La domenica mat– tina è il giorno del Perdono. Tutti gli ebrei digiunano quel giorno e noi da due giorni siamo a bocca asciutta, ma non si ha fame, ve lo giuro. cosa valgo, sono un semplice contadino, so >tppena leggel'0 al "Thorn", ed è tutto ma quelli, sono delle grnndi menti, li uccidono tutti, ma è la fine del mondo! ». ciel mondo! >. «Vestitevi> ci gridano « e andate da quella parte> e sempre gli scucli,'ci che sibilano. « Ecco» ci dicono « smistate tutto questo e fate le cose bene>. Gli abiti da una parte, le camicie dafl'altra, le sca,·pe dall'altra ancora. E qnanclo vidi quell'ammasso di indumenti, di biancheria, di cappotti da bambino, di berretti, di scarp_oni e di pantofole persino un mucchio di occhiali, « No», mi dico « sono dunque tutti impazziti, questi tedescacci, spo– gliano i morti, indosseranno poi tutte queste cose, forse è per a,·ere tutte queste cose che essi uccidono, ma quando un giorno il mondo lo saprà, gliela farà pagare, li faranno crnpare tutti questi assassini ». Per quattro giorni ho smistato gli indumenti dei morti: quelli dei miei amici, dei miei vicini, della mia famiglia, ecco un momento fa essi li indossavano e... lunedi, all'indomani del nostro arrivo, nessuno era più in vita. Tutto il nostro villaggio ebraico non esisteva più. Quattro giorni dopo, viene un S.S.: « Chi è conta– dino?> domanda. « Io sono contàclino ». « Sai come si fa a conservare le patate?>. «Si>, dico io. « Allora prendi cinque uon1ini e seguih1i >. Per tre settimane, scaviamo fosse. dove immettiamo pa– tate per vettovagliare le assassine S.S. ed il « personale». «No» dico io agli uomini che lavorano con me « qui si irnpazzil'à a forza di senti1·e tutti i giorni il via-vai di quei treni che arrivano pieni, carichi di umniui, di donne, cli bambini e che ripartono \'UOti, vuoti e che ritornano an– cora pieni, e vengono di lontano, dalla Francia, dal Belgio, tutti ebrei, Treblinki è solo per gli ebrei >. «Fuggiamo» dico io; « che ci uccidano, non voglio più vedere questi massacri ». Allora una notte nern come il destino degli ebrei e che pioveva a dirotto, le guardie a,.'3vano cercato un riparo; i reticolati' non erano ancora, elettrificati, uno, due, tre, presto, tagliamo i tre ultimi fili e ci strisciamo sotto. Tre uomini: Chaskel Kozecki, un gioYane cli Yentitrè anni, Saul Danziger de Radom d'una quarantina d'anni, ed io. « Ventrn a terra» dico io « e attenzione, non fate rumore>. Arriviamo sino ad un bosco in faccia al campo. «Alt» ci grida un «nero». Ecco qui il piccolo coltello che gli ho infilato nella schiena: Saul gli indirizzò un buon colpo al petto-ft~,quell'assassino, e quello cade, e noi cor– riamo come beJtie inseguite. I nostri abiti inzuppati cli piog– gia e cli sudore, fumano. Corriamo per tutta la notte e verso l'alba, sfiniti, ci gettiai110 a terra e dormiamo. Il freddo ci risrnglia e ci fa soffrire più della fame. Riprendiamo la -inarcia per tutta la notte ancora: « Se andassimo da un contadino a comprare qualcosa da mangiare?». Bussiamo alla porta di un contadino. Ci vende del pane, del latte, delle uova. « E se gli domandassimo cli farci clorm.ii -e in qualche posto, per tct'l'a nell'isba, o nella stalla, non importa clO\·e, purchè non sia nella fore. ta dove il terreno è indurito dal gelo». « Stiamo facendo una be– stialità > dico io, ma rimango lo stesso, sono troppo stanco, dopo tutto quello che si ò visto e passato. All'alba ho an– cora la testa pesante, ma Yedo il contadino che si alza ~cl esce. « Partiamo - dico - il Yecchio ci sta combinando qualcosa ». Ci alziamo e ci vestiamo in fretta: ecco il con– tadino che ritorna: « Vi mostrerò la strada», ci dice gen– tilmente. «Bene» dico· io e faccio segno ai compagni cli non seguirlo. 111a è il contadino che ci segue e più lontano, in un campo, ecco un altro contadino che sta in attosa, munito - come il nostro - di un grosso bastone. « No, non cadremo più nelle mani di quelle belve, senza clifen– clerci pl'ima ». Alza il bastone per colpirmi sulla testa, allora io mi curvo e gli infilo il mio piccolo coltello nel 7 ventre e l'altro contadino l'iceve lo stesso regalo da Saul. Filian10 verso la foresta. E passian10 ancora due giorni e due notti a digerire quello che abbiamo mangiato. li terzo giorno cl troviamo al margine cli un bosco, vicino ad 1111 grnnde villaggio. Esitiamo ad entral'vi. All'im– provviso, ecco con1paril'e cinque u01nini annati di fucile, sono a cento metri eia noi. Coniamo verso il villaggio: ci sparano diet,·o ed una pallottola colpisce al cuol'e Chaskel Kozecki che cade ucciso. J.o mi nascondo dietro una ca– panna. Poi, quando le fucilate cessano, esco. « Chi è quella gente?> chiedo ad un contadino. « Dei prigionjeri evasi», Mi sono appena avviato su una strada quando un uomo mi ferma: « I vost,·i documenti». E' .:,n agente boche i11 bo,·ghe,;,e. Faccio fì11ta di non capire. Egli grida, si arrabbia, mi conduce al posto di polizia cli Gawroline. Invento una storia: « Sono polacco, sono andato a Bialy. stock e ritomo a casa mia a ,v10:osewo, ho perduto i miei clocume,;ti >. Mi mettono le manette ed un gendarme boche mi accompagna al posto di polizia polacca, a quattro chilometri. « Di, le tue preghiere> mi dice il commissario. « Nel nome ciel Padre, del l?igliolo o dello Spirito Santo» . « E poi continua». « Non lo so più», dico io. « Come di– sgra,;iato, sei polacco e non sai le tue preghiere». « Mio pa– dre è 11101-toquando aveYo tre anni e mja mad,·e era sen·a, dal mattino alla sern lavorava e non a,·eva tempo d'insegnarmi le mie preghiere>. « Svestiti e co1·icati per terra>. Le guardie polacche mi spogliano di tutto e mi chiu– dono in prigione. Viene po,·tato un gruppo di polacchi e di polacche, selvaggina raccolta dopo una caccia all'uomo. Vengo unito a questo grnppo di lavoratori «volontari», e sotto il nome di llfal'cinkowski, vengo mandato alla capi– tale stessa di questi assas irii. Nessuno mi ha riconosciuto come ebl'eO. La mia testa e la mia parlata contadina mi hanno salvato la vita. 1\ppena avevo tll) momento di re– spiro, sapete doYe anelavo? A vedere le rovine, certo, tutti quei bei palazzi distrutti dai bombardamenti, quelle strade intere ridotte in macerie, quelle migliai'I di uccisi che essi portavano via con i can1ion. « No, non è abbastan,.a - dicevo - uon p,igherete mai abbasta11za per Treblinki ». Riprendo l'ai•atro Q UEL GIORN'O IN Cli r, fì11almente, li ho visti per terra, ero libero e non sapeY0 che farne delhi mia li– bertà. I francesi che lavoravano con n1e rientravano in Fran– cia, i cechi in Cecoslovacchia, gli jugoslavi in Jugoslavia e tu, mio vecchio Chmoul, mi dico, bisogna che tu ,·itorni nella tua Polonia. Mi metto in cammino. Arrivo a Loclz: qua e 1,\ incontro un raro sop,·av,·issuto, uno o due per vil– laggio e spesso >!1eppure quelli e tutti mi dicono che i polacchi non sono cambiati, che sono anco1·a più astiosi ~he prin,a: si dà la caccia, si uccidono gli ebrei, hanno pama che si venga a riprender loro ciò che hanno preso. No, dico io, non voglio piè, restare in questo paese, dove il nostl'0 sangue eb1·eo è scorso fl lìurni. Andare a Wloszewo, l'ivedere il mio pezzo cli terra che un altro lavora, forse an– cora la mia vacca, il mio ca,·allo che avevo appe,rn attacca- / to il mattino che sono Yem,ti ad arrestarci, poi le stanze dove Yi,·evano mia moglie, mio fìglio e trovarvi degli estra– nei. No, n1i dico, no, n1io vecchio Chmoul, vi è ancora un solo posto per te, ,·a in Palestina e là riprendi il tuo aratro. Ed eccomi che rifaccio la strada. Alla frontiera te– desca, incontro dei soldati russi. « Dove vai?», mi chie– dono. « Tn Palestina», dico. « Ma è lontano, e perché vai a piedi? Sai condurre un cavallo?». « Eh, sono conta– dino», dico io. « Allora, vieni con noi». Aneliamo in una fattoria. tedesca. Hanno cli tutto. Mi domandavo anche se dentro i loro armadi non ci fossero per caso degli indu– menti di Treblinki, di quelli che a,·evo smistato. Ci fac– ci.amo servire del pane bianco, salsiccia, frittata, poi i sol– dati dicono: « Attaccate, svelto, il più bel cavallo: questo cittadino va in viaggio e non deve mancargli nulla». « Y a., ya », rispondono tremanti. Sanno •bene che hanno dei grossi peccati da espiare. E così, mi sono messo snl carretto e sono arrivato in Francia. Ed aspetto che mi diano una nave, per andare più lontano, come i soldati russi mi hanno dato il cavallo .. CHMOUL NIEDZWIEDZ A cura di ANNA MALVEZZI Finalmente, dissigillano le porte e quando vediamo le teste di quelle belve, tutti comprendiamo, è per ucciderci, è per morire, è Treblinki, le macchine per massacrarci. Appena scesi, mettono le donne ed i bambini da una parte e noi uomini dall'altra, e tutto vien fatto cosi in fretta che ecco che se ne vanno già, le donne circondate dai bambini, non si ha nemmeno il tempo cli salutarli, di abbi·acciarli per un'ultima volta. Vam10 a morire, a morire ... Ed i vec– chi ebrei vedendole allontanarsi si mettono tutti a 1·ecitare il « Kadclych », la preghiera pe1· 'Coloro che sono già morti. E per noi, l'« Isor », la preghiera dei morenti. E le S.S. che corrono, che gridano: « Spogliatevi, tutti, fate presto». Ci si spoglia, non si sa più quello che si fa e, tutti nudi - siamo una folla - ci si stringe uno all'altro. Vento gla– ciale, freddo. Un ufficiale delle S.S. ci passa in rivista. Sce– glie una cinquantina d'uomini. lo, fra quelli. E gli altri, tutti, tutti - almeno quattromila uomini - li vedo avviarsi dalla parte dove sono andate le donne ed i bambini. < Ma è la fine del mondo > dico « la fine ciel mondo: tutta quella gente; il nostro grande ,·abbino, il nostro dottore, i nostri maestri e g_liuomini del nostro ".Consi~lio", - io che (Dall'arclliuio del Kibulz dei rom– l>atlenti del• {Jhetto iii Jsraele). ,Rovine del ghetto di Varsavia
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