Nuova Repubblica - anno III - n. 16 - 26 giugno 1955

.. nuo-,a· rèpubbJica . CINEMA E CENSURA di LUDOYICO ZORZI I A CENSURA AI PUBDLICI SPETTACOLI è eser- ~ citata in Italia in base alla apposita l~gge del 1923, varata dunque all'inizio del periodo fascista e pub– blicata nella « Gazzetta Ufficia1e > del 6 novembre di quel– l'anno. Conviene citare qualche articolo dei pii, significativi: l'art. 3, per es., che è quello più frequentemente utilizzato per la sua applicazione, aispone che il nulla osta per i fìlms non possa essere concesso quando si tratta: a) di scene, fatti e soggetti ofjensivi del pudore, della morale, del buon costume e della pubblica decenza; b) di scene, fatti e soggetti contra,·i alla i·eputazione e al decoro nazionale e all'o,·dine pubblico, ovvero che pos– sano turbare i buoni rapporti internazionali; c) di scene, fatti e soggetti otJensivi del decoro e del prestigio delle istituzioni e autorità pubbliche, dei funzio– nari e agenti della forza pubblica, del regio esercito e della 1·egia a1'!nata, ovvero offensivi dei privati cittadini, e che costituisca,io comunque tapologia di un faUo che la legge prevede come i·eato e incitino all'odio frn le varie classi socic,li; · cl) di scene, fatti e soggetti tr~wi, 1·ipugnanti e d·i crudeltà, anche se a danno d·i animali, di delitti e su-icidi impressionanti, di operazioni chirurgiche e di fenomeni ipnotici e medianici e, in generale, di scene, fatti e soggetti che possano essere di scuola e incentivo al delitto. Ora, senz·a volere facilmente ironizzare sui soliti ana– cronismi istituzionali (a rigor di termini, l'esercito e l' « ar– mata> - la marina - repubblicani potrebbero essere cine– matograficamente vilipesi, e quelli regi no: vedi caso Renzi– Aristarco !) o sulle consuete genericità del linguaggio giu– ridico ( o0en$ivi della morale: in quale accezione ed esten– sione va preso questo termine?), non si può fare a meno di insistere sulla fisionomia tipicamente fascistica, e:tota– litaria> di questa legge. Si consideri attentamente l'articolo che abbiamo riportato, e si concluderà che in pratica qua– lunque film può offrire ~n pretesto per essere « legalmente » censurato. Mi servo, per qualche rapido esempio, di alcuI)i fra i maggiori fìlms di questi ultimi anni: Sciuscià, Ladri di biciclette, Riso· ama1'0, La terra trema e in genere tutti i maggiori prodotti della scuola neoralistica diventano fa– cilmente, lo si è visto anche per la parte benpensante del pubblico, « contrari al decoro e alla reputazione nazionale >; Miracolo a Milano e Umberto D. possono benissimo essere ritenuti « offensivi dei· privati cittadini»; 14" orn, almeno in una delle due versioni finali, è la storia di « un suicidio impressionante > ; le torture inflitte dalle SS al partigjano cli Roma città aperta, o anche le innocenti operazioni chi– rurgiche di films fumettistici sul tipo di Anna si trasfor– mano, sempre per individui particolarmente impressionabili, in < soggetti truci o ripugnanti > ; un capolavoro come Giungla d'a-sfalto può « essere di scuola e incentivo al de– litto>. Per contro, films come La grande svolta o La caduta di Berlino, distribuiti con successo a Parigi, Londra e New York, da noi vengono sistematicamente respinti per– chè « costituiscono un'esaltazione della potenza militare so– vietica atta a tmbare i buoni rapporti internazionali>. Gravissima è infine la formula che parla di incitamento ali' odio di classe, che può consentire, per la discordanza di opinioni esistente circa l'effettivo ordinamento classistico della società, un'altra serie di abusi scandalosi, come i re– centi ai danni dell'ungherese Un palmo di terra e del sovietico Stadio Dinamo, respinti con tale motivazione. SE PERO' LE LEGISLATURE che si sono succedute ad assimilare nello stato democratico l'ingombrante eredità delle Jegiferazioni fasciste, non siano in grado o • non ravvisino l'opportunità di modificare questa e le altre i\Umerosissime leggi della stessa origine, tutto,·a felicemente vigenti, si dovrebbe almeno sperare che l'applicazione di– screzionale di esse si sottintenda affidata al sentimento de– mocratico degli uomini chiamati a interpretarle. 'Sembrn- 1·ebbe altresì ovvio che nel campo della censura alle arti dello spettacolo, il sentimento democratico compredesse an– che una certa considerazione delle necessità ·e dei pròblemi inerenti al fatto artistico. · In realtà la composizione delle nostre due commissioni di censura - di I e di II grado - offre invece scarse garanzie in questo senso. Esse sono rispettivamente compo– ste, la prima dal direttore generale dello Spettacolo, coa– diuvato da un rappresentante di polizia designato dal mi– nistero dell'intemo, e da un magistrato; la seconda dà! sot– tosegretario alla presidenza del consiglio· (da cui dipendono com'è noto i servizi relativi allo spettacolo, anche dopo la costitt1zione del dicastero-fantasma presieduto dall'onore– vole Ponti) e da due funzionari dello stesso rango cli quelli della prima commissione. \ Ma la formazione rnppresentativa delle commissioni diventa in fondo nn problema secondario rispetto al prin– cipio stesso della libertà dell'espressione artistica, che la censura viene spesso ad intaccare. Esso si riduce a un aspetto particolare del più vasto problema della libertà dei rappoi'ti umani, secbndo il ·quale l'artista ha assoluto di– ritto di rendere pubblica la propria opera. In ·una struttlll'a sociale modernamente progredita, il riconoscimento dell'au- DELLA Sogno di mezza estate dell'on. Ermini tonomia e reciproca indipendenza dei valori estetici da quel– li etici dovrebbe risiedere trn le porrne oi·mai. istintivamente acquisite; da noi purtroppo esso ha ancora un senso pu– ramente formale, un peso tutt'al più libresco, è ironizzato come una delle tante fisime di quel "culturame > verso cui si appunta il disprezzo di avvocaticchi e chierichetti ignoranti e presuntuosi, improvvisati reggitori della cosa pubblica. Non staremo qui ad indagare quali siano le cause cli questo curioso fenomeno, che per un osservatore super– ficiale potrebbe passare, semplicisticamente, per una mani– festazione di quella costituzionale intolleranza e faziosità di cui è ricca la tradizione del clericalesimo nostrano; di– ciamo piuttosto che l'opera della ceosura post-fascista è apparsa finora ispirata da preoccupazioni affatto estrnnee a criteri di rigorosa selezione artistica. Risparmiamo al let– tore una nuova serie cli esempi cbe potrebbero raccogliersi da altrettanti documentatissimi episodi; basti dire che an– che qui, come in tutti g\i altri settori della vita nazipnale, si avverte la massiccia pressione esercita dalle org·anizza– zioni cattoliche (clero, AA, CCC, ecc.), ansiose di impron– tare l'intera vita pubblica ai propri schemi di « integra– lismo> confessionale. R IMANCONO PERO' incomprensibili alcune contraddi- zioni: la censura proibisce opere quali Le diable au corps o La ronde (che tranne pocbi fortunati, nessuno in Ita– lia ha potuto vedere), e approva per la proiezione· in pubblico filmacci di infìlnò'livello artistico, con situazioni e dialoghi che sfiorano la peggiore pornografia e che oltretutto offen– dono il comune buon gusto; non solo, ma concede il bene– stare per l'esportazione (in particolare verso la Francia) di apposite edizioni di nostri films, che in Italia non si vedono o vi circolano rivedute e corrette. Recentissimo e significativo l'episodio della djserzio,:ie in massa degli spet: tatori itaLiani a una proiezione ufficiale del Festival di Can– nes per recarsi in un cinema secondario a vedere Silvana Pampanini completamente svestita nel film La tour de Nesle:_ convinti com'erano della sicura elimjnazione, nel– l'edizione destinata al nostro pubblico, di quegli straordi– nari fotogr_ammi. Al problema della censura sono legati, come si diceva, altri pr.oblemi particolari, quali il controÌlo sulla lavora– zione dei films esercitato dalla direzione generale dello · Spettacolo, che con la scusa delle sovvenzioni va assu– mendo l'aspetto sempre più allarmante di Ùna vera e pro– pria censura preventiva, e il controllo sulle importazioni di films di produzione straniera. Specialmente quest'ultimo ha suscitato aspre critiche per la par~ialità con cui viene esercitato. Ora è vero che la questione è complicata da in– tederenze di na._tura finanziaria difficili a risolversi, ma 1·esta il fatto che i films prodotti dai paesi dell'Europa 01·ien– tale occupano nelle statistiche ufficiali w1a percentuale irri~ soria rispetto a quelli di produzione americana. L'accol'do stipulato nel gennaio 1954 tra l'avv. Monaco, presidente dell' AN!CA, e un dirigente della Sovexportfìlm giace tut– tora presso il mù1istero degli esteri senza che sia stato ratificato, nonostante che esso sia a noi largamente favo– revole. Ora è certo che sottrarre al giudizio del pubblico la cinematografia russa, o scegliere il poco ammesso con cri– teri di non assoluta buona fede (come il mediocre Sadko preferito all'ultimo grande 61m di Pudovkin Il ,·itomo di Vassili Bo,·tnilcov), pt\Ò essel'8 pericolosp, e può apparire indice di un timore di troppo definita natura, che non avrebbe invece ragione di essere. Concludendo, si è inteso soltanto precisa,·e alcuni punti della discussione, chiusa finora nella cerchia delle riviste teèniche; ma anche recare, se possibile, il nostro modesto contributo alle voci di allarme e di denuncia che da più parti si levano contro i pericoli che minacciano il nostro cinema, già impliciti nell'involuzione di alcune delle sue personalità maggiormente rappresentative, da De Sica a Visconti, da Zampa a De' Santis. Artisti e scrittol'i illustri di cose cinematografiche ne hanno analizzato le cause, concordi tutti nell'attribuirle allo sfacciato desiderio del, governo democristiano di asservire questo potente mezzo di comunicazione tra i popoli, di diffusione del pensiero, « per mantenerlo - sono parole di Luigi Chiarini - entro i limiti del più ossequiente conformismo >; per trasformarlo, è il caso di aggiungere, in uno. strumento di bassa pro– paganda e, spesso, in una fonte di facili e redditizie spe– culazioni. 7 * IJIBLIOTECA * ELOGIO DEI GIUDICJ A VEVO LETI'O l'Elog·io dei giudici scritto da un av– vocato quando uscì nella sua prima edizione. Ne conservavo un ottimo ricordo proprio per quella « sorridente e distaccata sernnjtà lettera.ria ad umanisti– ca~ che Cala•mandrei stesso indica come la nota saliente del suo bel volume. Poi il lib1·0 andò perduto. Una bomba, durante la gnerra., cadde sull'ampio studio cli mi@ padre,. così scomparve la biblioteca che, vol'ume su vo~tune, si era creato in cinquant'anni di lavore e di parsin1onia, e scon1parve, neU·e 1nacerie, anche l' Elogio dei giudici. Ero desideroso di rileggerlo, non solo per la buona impressione ricevuta o per l'attrattiva che hanno per me i lavori del Calamandrei, i:na anche perchè il saggio di Achille Battaglia in Dieci anni dopo, mi aveva lasciato perplesso sulla misura in cui i giudici meritano, varamento, elogio. La lettma della terza edizione (Firenze, Le Mon– nier, Hl55) ha confermato in me l'opinione ~he già mi ero fatta, e mi è stata di largo confol'to. L'esperienza quoti– diana ci induce, spesso, all'amarezza ed alla delusione, così da rendere difficile reagil'e col nostro coraggio, e da fa,·ci sentire 11 bisogno di una parola amica che dia nuova sostanza alla nostrn fede e risvegli le energie so– pite. Ho ascoltato con animo grato la parola di Cala– mandrei. Se; dopo quarant'anni di avvocatma in tempi difficili, uno spirito vigile e critico come il· S1'10;crede-' anco1·a, con fermezza, nel la giusti,oia, ciò significa che quella fiducia ha sicuro fondamento. Calamandrei esprime la sua fede in modo suasivo, vela dietro l'arguzia il suo dubbio, ma non lo nasconde; la sna certezza è intessuta di perplessità, esalta la virtù e indulge alle debolezze, afferma e si cimtradice. Senza le ombre che danno risalto alla luce l'« Elogio> non avreb– be convinto. « La giustizia c'è - bisogna che ci sia - voglio che ci sia >. E' una realtà, un desiderio o un atto di vo– lontà? Se Cala;;,andrei ne avesse affermato l'esistenza non lo avremmo creduto, forti delle infinite ingiustizie di cui sian1-o quotidiani testi,noni, n1a ne accettian10, invece, il mutevole aspetto poichè sentiamo che la ribellione al– l'iniquità è un segno di vita della giustizia e, soprattutto, lo è la lotta che pe1· essa si impegna. « Nella p 0 arola elogio non si nasconde alcun pungi– glione satirico come dimostra l'onesta reverenza con la quale nel libro si parla del giudicare». Del giudicare, è vero, più che del giudice. E' compito sovrumano, ma poi– chè è necessario adempiel'io anche in terra, ogni sforzo dovrebbe essere inteso ad assolverlo nel modo migliore. Calamandrei indica, con la competenza che gli è propria, quali debbono essere gli strumenti e le forme che meglio consentono di amministi'are rettamente la giustizia e, so– prattutto, quale dove essere il comportamento dei giudici e degli avvocati. In verità egli sembra raffigurarsi un prncesso ideale deducendolo, per. contrasto, dal processo che egli ha visto attuarsi nelle aule giudiziarie. Così, nel– l'intento di mostrare ad un Marziano il grado di civiltà, raggiunto, dopo millenni·, dal nostro pianeta, Calaman– drei immagina di farlo assistere ad una udienza giudizia– ria, ma, obimè, con poca probabilità di destare la sua ammirazione. Infatti su tante udienze alle quali Calaman– d1·ei ha partecipato solo « qualche volta (una su cento) ha avuto là fortuna di a.ssistere a una scena capace cli commuoYere un abitante di Marté ». « Ilabent sua sidern lites > - Calamandrei si ribella, « l'autore del motto è tm causidico senza scrupoli>; ep– pure... un procuratore generale, supera.ndo ogni ostacolo giuridico, dichiarò fondato ed accoglibile un ricorso, solo perchè la causa verteva su un cavallo presunto mordace e una volta un cavallo aveva morso suo figlio; eppure ..• un giudice istruttore mutò avviso da una udienza all'al– tra, ~olo perchè seppe che una delle parti era moglie di un alto magjstrato che faceva parte della commission, giudicatrice della su_a promozione. Episodi,_ rari forse, an– che se molti altri potrebbero essere tratti dal libro di Calamandrei, moltissimi da altre fonti. Le stelle non pre– siedono al corso delle liti! Peccato, sarebbe stato più bello connetterle ad una giustizia cosmica. Invece, sono legate al sonno, all'udito, agli umori, agli scrutini dei gjudici, all'interesse, all'astuzia e all'istrionismo degli avvocati. Il terribile dovere di giudicare incombe all'uomo, - nemmeno l'anarchia consente di sottrarvisi - e l'uomo giu– dica con i suoi limiti. «In tempi di terrore, la Magistratura, come corpo, meglio di tutti gli ordini costituiti ha continuato a con– siderare il proprio ufficio come una missione e un impe– gno di fedeltà. La trahison des clercs ha avuto dai giudici il minor contributo che ogni altra categoria di intellet– tuali. I giudici rimasero a testimoniare la continuità della giustizia». E' l'elogio più grande. Il giudice non è « la bouche de la loi >; « secondo che la sua coscienza morale e la sua opinione politica la approvi o la biasimi, la applicherà con maggiore o minor convinzione, cioè con maggiore o minore fedeltà>. Cala– mandrei si domanda: « Sotto il fascismo i giudici inter– pretarono le leggi con cuore fascista?>, e risponde: « cre– do cli no». Sotto la Repubblica la interpretano con spi– rito democratico? La risposta è più cauta: « vorrei cre– dere di sì.». La ndstra speranza è che i giudici di domani meritino ancora l'elogio di un· avvocato nobile come Piero Calamandrei. . PIERO ZERBOGLIQ •

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